Strada sbarrata al debitore “furbetto” che tenta di evitare il pignoramento

La ratio dell’istituto della domanda di conversione del pignoramento è quella di favorire il debitore che voglia evitare l’esecuzione, impedendo però che lo stesso attraverso istanze reiterate rallenti la procedura esecutiva attraverso il divieto di reiterazione dell’istanza medesima.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15362/17 depositata il 21 giugno. Il fatto. Nell’ambito di una procedura esecutiva, il debitore proponeva istanza di conversione del pignoramento ma versava un importo inferiore a quello richiesto dalla legge, pari al 20% della somma precettata. L’istanza veniva quindi dichiarata inammissibile. Il debitore reiterava dunque la richiesta ma il Tribunale ne dichiarava l’inammissibilità per il divieto di reiterazione di cui all’art. 495 c.p.c Il procedimento proseguiva dunque con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. , domanda che trovava accoglimento sottolineando il Giudice che il divieto di reiterazione opera nel caso in cui il debitore, già ammesso alla conversione, ne sia decaduto per inadempimento e non nel caso in cui una prima istanza sia risultata inammissibile per vizi formali. Il creditore impugna ora la pronuncia in Cassazione. L’istanza di conversione. La Suprema Corte coglie l’occasione per ripercorrere le caratteristiche dell’istituto della conversione del pignoramento di cui all’art. 495 c.p.c., il cui ultimo comma specifica che l’istanza può essere avanzata una sola volta a pena di inammissibilità . Come sottolineano gli Ermellini, la ratio della norma è quella di favorire il debitore che voglia evitare l’esecuzione, impedendo però che lo stesso attraverso istanze di conversione reiterate rallenti la procedura esecutiva, richiamando al contempo il debitore a formulare con attenzione la domanda essendo egli ben consapevole dell’impossibilità di riproporre l’istanza medesima. La sentenza impugnata risulta dunque erronea nella parte in cui ha escluso l’applicabilità del divieto di reiterazione nel caso in cui la prima istanza sia stata dichiarata inammissibile per vizi formali. Infatti anche un’istanza di conversione affetta solo da vizi formali può in teoria essere proposta per finalità dilatorie , fermo restando che l’interpretazione del giudice di merito finirebbe con lo svilire lo scopo di coazione indiretta sul debitore che anima il divieto in parola. La Corte dunque accoglie il ricorso del creditore e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, decide nel merito la controversia e rigetta l’opposizione proposta dal debitore avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 marzo – 21 giugno 2017, n. 15362 Presidente Vivaldi – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel corso di una procedura esecutiva introdotta da G.A. , la società WIP di C. e Gi. s.n.c. d’ora innanzi, per brevità, la WIP , debitore esecutato, propose istanza di conversione del pignoramento. Contestualmente all’istanza versò una somma inferiore a quanto stabilito dalla legge 20% dell’importo precettato , e l’istanza venne dichiarata inammissibile. La WIP reiterò l’istanza, che anche questa volta venne dichiarata inammissibile, sul presupposto che l’art. 495 c.p.c. ne vietava la reiterazione. 2. La WIP propose opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato inammissibile la seconda istanza di conversione da essa proposta. 3. Il giudice nella fase sommaria dell’opposizione revocò l’ordinanza e dichiarò ammissibile l’istanza di conversione. Introdotta la fase di merito, il Tribunale di Messina con sentenza 12.1.2015 n. 52 accolse l’opposizione e dichiarò di confermare l’ordinanza emessa in via provvisoria del giudice dell’esecuzione, dichiarando ammissibile l’istanza di conversione. Il Tribunale osservò che il divieto di reiterare l’istanza di conversione si applica quando il debitore, già ammesso alla conversione, ne sia decaduto per inadempimento, ma non quando una prima istanza di conversione sia dichiarata inammissibile per vizi formali, come nel caso di specie. 4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il creditore esecutante G.A. , fondato su due motivi. Ha resistito con controricorso la WIP. Ragioni della decisione 1. Questioni preliminari. La controricorrente ha sollevato eccezione di giudicato, per tardività del ricorso. L’eccezione è infondata, perché calcola il dies ad quem del termine per proporre ricorso per cassazione con riferimento alla data di perfezionamento della notifica, e non a quella di consegna dell’atto all’ ufficiale giudiziario. 2. Il primo motivo di ricorso. 2.1. Col primo motivo il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c È denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 495 c.p.c Deduce, al riguardo, che il Tribunale avrebbe violato l’art. 495 c.p.c., perché l’istanza di conversione può essere proposta una sola volta. 2.2. Il motivo è fondato. L’articolo 495, primo comma, c.p.c. consente al debitore esecutato di chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese . L’ultimo comma della medesima norma, tuttavia, dispone che l’istanza di conversione può essere avanzata una sola volta a pena di inammissibilità . La ratio di tali previsioni è duplice. Scopo della norma che consente la conversione è favorire il debitore il quale voglia evitare l’esecuzione, ed i rischi connessi - ad esempio ad una vendita dei propri beni a prezzo vile. Scopo della disposizione che impedisce la reiterazione dell’istanza di conversione, invece, è da un lato impedire che il debitore esecutato, attraverso istanze di conversione formulate all’ultim’ora, rallenti il corso della procedura esecutiva dall’altro richiamare l’attenzione del debitore sull’importanza della sua richiesta, ed indurlo a formularla con attenzione, consapevole che in caso di rigetto non potrà reiterarla. Non può dunque condividersi l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il divieto di reiterazione non sussiste quando la prima istanza di conversione sia stata dichiarata inammissibile per vizi formali . Anche un’istanza di conversione affetta solo da vizi formali, infatti, può in teoria essere proposta per finalità dilatorie ed in ogni caso una tale interpretazione della norma ne svilisce l’aspetto di coazione indiretta sulla posizione del debitore. Ha, quindi, errato il tribunale nel ritenere ammissibile una seconda istanza di conversione, dopo che la prima era stata dichiarata inammissibile per mancato versamento del 20% della somma pignorata. 3. La ritenuta fondatezza del ricorso non rende necessaria la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, in quanto non essendo necessari ulteriori accertamenti, è possibile decidere l’opposizione nel merito. Dall’esame degli atti risulta che la WIP, vistasi notificare un precetto per l’importo di Euro 22.850,96, propose una prima istanza di correzione corredata dal versamento dell’importo di Euro 3.000, sul presupposto che la somma indicata dal creditore nel precetto non corrispondesse a quella effettivamente dovuta la quale, secondo il debitore, non avrebbe dovuto eccedere l’importo di Euro 15.000 circa . Dichiarata inammissibile tale istanza, per insufficienza del versamento del quinto, la WIP la ripropose. La riproposizione dell’istanza di conversione, dopo che la prima istanza analoga era stata dichiarata inammissibile, non era consentita dalla legge, per quanto già detto, e correttamente il giudice dell’esecuzione dichiarò anch’essa inammissibile. Il rischio che il debitore, nel determinare il 20% della somma per la quale è stato eseguito il pignoramento possa errare anche in buona fede per approssimazione, non può essere evitato ammettendo incondizionatamente la reiterazione dell’istanza di conversione una simile soluzione, infatti, tradirebbe la ratio dell’articolo 495, ultimo comma, c.p.c., della quale si è già detto. Il rischio di errori incolpevoli, da parte del debitore, nella determinazione della somma da versare unitamente all’istanza di conversione, va infatti evitato con altri strumenti ad esempio l’integrazione del versamento da parte del debitore, prima che sia formalmente adottato il provvedimento di inammissibilità. Ne consegue che l’opposizione proposta dalla WIP avverso l’ordinanza del 19 luglio 2012, con la quale il giudice dell’esecuzione dichiarò inammissibile l’istanza di conversione del pignoramento, deve essere rigettata. 3. Il secondo motivo di ricorso. 3.1. Col secondo motivo di ricorso G.A. ha impugnato la sentenza del tribunale di Messina nella parte in cui gli aveva addossato le spese di soccombenza. La censura resta assorbita dall’accoglimento del primo motivo di ricorso. 4. Le spese. Le spese dell’intero giudizio vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione della novità della questione. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta dalla WIP di C. e Gi. s.n.c. avverso l’ordinanza del 19 luglio 2012 pronunciata dal giudice dell’esecuzione del tribunale di Messina - compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.