Contratto di lavoro individuale: a quale giudice spetta la giurisdizione?

In tema di competenza giurisdizionale in materia di contratti individuali di lavoro, l’art. 21 del regolamento Cee n. 1215/2012, come l'art. 19 del regolamento Cee n. 44/2001, stabilisce, tra l'altro, che il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro può essere convenuto in un altro Stato membro davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell'ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente [ ] o davanti all'autorità giurisdizionale del luogo in cui è o era situata la sede d'attività presso la quale è stato assunto .

Da ciò consegue che sussiste la giurisdizione del giudice italiano ove l’azienda datrice di lavoro abbia sul territorio nazionale un proprio recapito, ai fini fiscali e contributivi, da considerarsi come sede d’attività”, secondo la terminologia dei richiamati regolamenti Cee. Così affermato dalla Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, con l’ordinanza n. 4308/17, pubblicata il 20 febbraio. La vicenda esaminata ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione proposto nella fase sommaria del giudizio ex l. n. 92/2012 rito Fornero . Nell’ambito del procedimento di impugnazione di licenziamento disciplinato dal cd. rito Fornero, un’azienda proponeva regolamento preventivo di giurisdizione, affermando spettare al giudice dello Stato in cui ha la sede legale Repubblica Ceca anziché al giudice italiano, come ritenuto dal lavoratore. Resiste quest’ultimo, affermando la giurisdizione italiana. Il regolamento Ce n. 1215/2012. Ai fini dello stabilire quale giudice debba essere chiamato a decidere la controversia proposta, occorre prima di tutto analizzare quanto previsto dall’art. 21 Regolamento UE n. 1215/2012 norma che così recita Il datore di lavoro domiciliato in uno Stato membro può essere convenuto a davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato in cui è domiciliato o b in un altro Stato membro i davanti all'autorità giurisdizionale del luogo in cui o da cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell'ultimo luogo in cui o da cui la svolgeva abitualmente o ii qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, davanti all'autorità giurisdizionale del luogo in cui è o era situata la sede d'attività presso la quale è stato assunto . Datore di lavoro con recapito in Italia Nel caso deciso dalle Sezioni Unite, il datore di lavoro che ha promosso il regolamento di giurisdizione usufruiva di un recapito sul territorio nazionale. Precisamente l’azienda aveva posto il proprio domicilio ai fini fiscali e contributivi, presso il proprio consulente del lavoro. Inoltre, pur avendo sede legale in altro Stato europeo Repubblica Ceca , aveva in Italia una propria iscrizione Inps, Inail e un codice d’azienda ai fini fiscali. Elementi che possono sicuramente essere considerati quali sede d’attività”, secondo la terminologia utilizzata dal regolamento comunitario. e rapporto sorto e cessato in Italia. Inoltre il rapporto di lavoro oggetto del giudizio è sorto in Italia, essendo avvenuta l’assunzione a Reggio Emilia e presso la medesima città si è perfezionato il licenziamento. E d’altro canto le parti hanno pattuito nel contratto individuale di voler fare riferimento alla normativa italiana, così come, infine, nell’intimazione di licenziamento l’azienda ha esplicitamente richiamato la normativa nazionale art. 3, l. n. 604/1966 . Giurisdizione al giudice italiano. L’insieme degli elementi sopra analizzati porta a concludere per la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, posto che il recapito della società nel Comune di Reggio Emilia, presso il proprio consulente del lavoro, ben può essere inteso come quella sede d’attività” cui fa riferimento la normativa regolamentare UE. La stessa azienda ricorrente afferma che tale elezione di domicilio era volta alla ricezione delle comunicazioni riguardanti il rapporto di lavoro da parte degli uffici pubblici italiani. La Corte, dichiarata la giurisdizione del giudice italiano, ha rimesso la causa al Tribunale di Reggio Emilia, giudice del lavoro, per la decisione nel merito.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza 7 – 20 febbraio 2017, n. 4308 Presidente Rordorf – Relatore Tria Esposizione del fatto Ritenuto che la società LASSELSBERGER s.r.o., avente sede in omissis propone regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 cod. proc. civ., chiedendo che venga dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano nella controversia instaurata dinanzi al Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, con ricorso proposto da T.G. per impugnare ai sensi e per gli effetti della legge n. 92 del 2012 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli dalla suindicata società, in data 21 ottobre 2014 che la società ricorrente riferisce che, nel costituirsi tempestivamente in giudizio, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello ceco e aggiunge che il Tribunale adito, sulla base degli artt. 18 e 19 del Regolamento CE n. 44/2001, con ordinanza del 18 agosto 2015, ha respinto tale eccezione, ponendo l’accento sulla duplice circostanza che il ricorrente da anni è residente in Italia e che quivi è stato assunto dalla società convenuta, concludendo per la sussistenza nella specie della giurisdizione del giudice nazionale con l’applicazione del diritto italiano, in base al principio del favor lavoratoris , come applicato in materia dalla giurisprudenza sia della Corte di giustizia UE sia di questa Corte di cassazione che la società ricorrente sostiene, invece, l’inapplicabilità, nella specie, sia dell’art. 18, comma 2, del Regolamento CE n. 44/2001, in quanto la propria sede si trova in uno Stato membro UE la Repubblica Ceca sia dell’art. 19 dello stesso Regolamento perché la società non avrebbe alcun domicilio in Italia, il che escluderebbe che l’assunzione del T. possa essere avvenuta a Reggio Emilia che la società precisa, inoltre, che il dipendente ha lavorato in più Stati Europei e, fra questi, solo sporadicamente in Italia, in occasione di fiere o visite a fornitori e non presso inesistenti sedi o stabilimenti italiani della società, non rilevando in contrario il recapito presso la consulente del lavoro, che la società aveva indicato solo per la ricezione delle comunicazioni inviate da parte uffici pubblici nazionali che la società aggiunge che l’avvenuta pattuizione tra le parti contrattuali circa l’applicabilità al rapporto di lavoro del diritto sostanziale italiano non significa che le controversie sul rapporto stesso possano essere devolute alla giurisdizione del giudice italiano perché tra le parti non esiste alcun accordo in tal senso, come previsto dall’art. 23 del Regolamento CE n. 44/2001 cit. che T.G. resiste, con controricorso, chiedendo, in via gradata, che il regolamento preventivo di giurisdizione in oggetto a sia dichiarato improcedibile, perché la questione di giurisdizione è già stata decisa con la suindicata ordinanza del Tribunale ordinario di Reggio Emilia b sia dichiarato inammissibile per violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione c sia respinto nel merito, con conseguente dichiarazione della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano che il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ., il quale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del proposto regolamento di giurisdizione, perché l’ordinanza del 18 agosto 2015 cit. deve essere considerata come un provvedimento avente carattere non meramente interlocutorio ma decisorio con il quale il giudice ha definitivamente provveduto sulla giurisdizione dopo aver autorizzato il deposito di note sul punto, senza che rilevi in contrario che il giudice abbia con l’ordinanza stessa disposto anche lo svolgimento di attività istruttoria ed abbia infine rinviato la discussione all’udienza del 2 ottobre 2015 che, in prossimità della camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, nelle quali hanno rispettivamente sviluppato argomenti di contestazione la società ricorrente e di condivisione il controricorrente delle conclusioni scritte del pubblico ministero. Ragioni della decisione Considerato, in primo luogo, che il presente regolamento preventivo di giurisdizione essendo stato proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui all’art. 1, commi 47 e segg., della legge 28 giugno 2012, n. 92, va dichiarato ammissibile, dandosi continuità all’orientamento espresso in tal senso da queste Sezioni Unite ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674 che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 78 del 2015, questa Corte di cassazione, a partire dalla suindicata ordinanza n. 19674, ha - con una interpretazione ormai consolidatasi in termini di diritto vivente per effetto delle successive conformi pronunce Cass. 20 novembre 2014, n. 24790 Cass. 17 febbraio 2015, n. 3136 Cass. 16 aprile 2015, n. 7782, cui possono aggiungersi le recenti Cass. 3 marzo 2016, n. 4223 Cass. 25 agosto 2016, n. 17325 Cass. 30 settembre 2016, n. 19552 - chiarito che il carattere peculiare del rito impugnatorio dei licenziamenti introdotto dal legislatore del 2012, sta nell’articolazione in due fasi del giudizio di primo grado che, in particolare, è stato precisato che dopo la fase iniziale concentrata e deformalizzata - finalizzata ad offrire al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata luce dei soli atti di istruzione indispensabili per dimostrare la fondatezza prima facie della domanda azionata - il procedimento, nella fase dell’opposizione, si riespande alla dimensione ordinaria della cognizione piena nel medesimo grado, con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti che tale seconda fase, non costituendo una revisio prioris instantiae della fase precedente ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado non postula l’obbligo di astensione del giudice che abbia pronunziato l’ordinanza opposta , previsto dall’art. 51, primo comma, numero 4 , cod. proc. civ. con tassativo riferimento al magistrato che abbia conosciuto della controversia in altro e non dunque, nel medesimo grado del processo Corte cost. ord. n. 205 del 2014 e sent. n. 78 del 2015 cit. che si è soggiunto che la prima fase del procedimento di impugnativa, pur caratterizzata da sommarietà dell’istruttoria, non ha natura cautelare in senso stretto, non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice, né sussistendo un’instabilità dell’ordinanza conclusiva di tale fase, che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione che l’opposizione non verte sullo stesso oggetto dell’ordinanza opposta pronunciata su un ricorso semplificato e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato, indispensabili , né tantomeno è circoscritta alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase, ma può investire anche differenti profili sia soggettivi stante anche il possibile intervento di terzi sia oggettivi in ragione dell’ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli stessi fatti costitutivi sia procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedotte circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche diversi da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori che ciò esclude che la fase oppositoria nell’ambito del giudizio di primo grado possa configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta, la quale - in esito alla fase di opposizione - è destinata, comunque, ad essere assorbita nella statuizione definitiva che conclude il primo grado del giudizio decisione, quest’ultima, che può ben condurre ad un esito differente rispetto a quello dell’ordinanza opposta in virtù del nuovo materiale probatorio apportato al processo e del suo ampliamento soggettivo od oggettivo nei limiti consentiti , anche alla luce della pressoché totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti nell’ambito della prima fase che, nell’anzidetta ordinanza n. 19674 del 2014, alla soluzione in senso affermativo della questione dell’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione proposto - al pari dell’attuale - nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento di cui all’art. 1, commi 47 e segg., della legge n. 92 del 2012 cit. queste Sezioni Unite sono giunte anche attraverso il richiamo sia di Cass. SU 10 luglio 2012 n. 11512, ove è stato ritenuto ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel procedimento sommario ex art. 702-bis ss. cod. proc. civ., trattandosi di rito avente natura cognitiva e non cautelare, cui è assimilabile il particolare procedimento avente ad oggetto l’impugnativa di licenziamento che, in tale ultima decisione, è stato ricordato l’indirizzo di queste Sezioni Unite secondo cui la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare, pur se, ai fini della pronuncia, abbia risolto in senso affermativo o negativo una questione attinente alla giurisdizione, ovvero sia intervenuta pronunzia sul reclamo avverso il provvedimento cautelare, in quanto il provvedimento reso sull’istanza cautelare non costituisce sentenza e la pronunzia sul reclamo mantiene il carattere di provvisorietà proprio del provvedimento cautelare Cass. SU 9 febbraio 2011, n. 3167 cui adde Cass. SU 20 giugno 2014, n. 14041 che, pertanto, mutatis mutandis anche l’avvenuta emissione di uno specifico provvedimento sulla giurisdizione - quale è, nella specie, l’ordinanza del 18 agosto 2015 del Tribunale adito - non esclude l’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione della prima fase del procedimento de quo , essendo già stato precisato con riguardo all’ammissibilità del regolamento di competenza in relazione ad una pronuncia sulla litispendenza che il pieno rispetto dei principi di unitarietà della giurisdizione e di economia processuale rende necessario che il giudice della fase sommaria del procedimento di cui all’art. 1, comma 48, ammetta ed esamini eventuali questioni di rito, decidendo sulle stesse che, da un lato, questo non collide con la configurazione della anzidetta fase sommaria come un passaggio processuale diretto a favorire una rapida definizione della causa, perché è jus receptum che l’esigenza di accelerare la definizione delle controversie non deve pregiudicare lo scopo e la funzione del processo e compromettere l’effettività della tutela giurisdizionale vedi, per tutte Corte cost. sentenze n. 42 del 1999 e n. 28 del 2010 e la pronuncia sul regolamento preventivo di giurisdizione, istituzionalmente finalizzata a consentire una sollecita definizione della questione di giurisdizione Cass. SU 7 marzo 2005, n. 4805 , è in linea con tali esigenze, perché rappresenta una corsia accelerata per sgombrare il campo da una questione quella del giudice dotato di giurisdizione che deve essere inquadrata nella fisiologia del sistema processuale, in coerenza col principio della ragionevole durata del processo arg. ex Cass. SU n. 17443 del 2014 cit. che, d’altra parte, la suddetta ammissibilità neppure è incompatibile con l’idoneità al passaggio in giudicato dell’ordinanza conclusiva della fase sommaria in oggetto Cass. SU 31 luglio 2014, n. 17443 , in quanto tale definitività si può verificare solo se la fase del giudizio a cognizione piena non viene attivata, mentre se tale fase viene attivata essa non può configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta, tanto che la decisione definitiva di conclusione del primo grado del giudizio può ben condurre ad un esito differente rispetto a quello dell’ordinanza opposta, destinata, comunque, ad essere in essa assorbita che si può ricordare infine che, con consolidato indirizzo, da queste Sezioni Unite è stata affermata l’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione durante la pendenza del giudizio di opposizione al decreto conclusivo del procedimento di repressione della condotta antisindacale ex art. 28 St. lav., posto che tale decreto costituisce, fino al momento in cui venga confermato o revocato in sede di opposizione, un atto processuale provvisorio che non può contenere alcuna implicita statuizione concernente la giurisdizione, sulla quale possa formarsi il giudicato vedi Cass. SU 24 settembre 2010, n. 20161 Id. 10 dicembre 2003, n. 18895 Id. 24 gennaio 2003, n. 1127 Id, 7 febbraio 2002, n. 1761 Id. 16 gennaio 1987, n. 309 ed in epoca ancor più risalente Cass. SU 23 marzo 1974, n. 815 che, infatti, ai fini che qui interessano, il procedimento di cui all’art. 28 St. lav. presenta importanti analogie con quello previsto dalla legge Fornero, circa la previsione di un provvedimento che conclude la fase sommaria e che, in difetto di opposizione, produce effetti sostanziali di carattere definitivo, salve restando le differenze tra i due istituti con riguardo al rapporto tra le due fasi del procedimento, sotto il profilo della imparzialità-terzietà del giudice vedi, per tutte Corte cost. n. 387 del 1999 e n. 78 del 2015 cit. che escluso, per quanto finora argomentato, che la suindicata ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia abbia determinato l’inammissibilità del ricorso per regolamento preventivo in oggetto, va conseguentemente respinta l’eccezione di improcedibilità proposta al riguardo dal controricorrente che neppure merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità proposta dal T. , per asserita violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione di cui all’art. 366 che, com’è noto, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di queste Sezioni Unite il ricorso per regolamento di giurisdizione, non essendo un mezzo di impugnazione, ma soltanto uno strumento per risolvere in via preventiva ogni contrasto, reale o potenziale, sulla potestas judicandi del giudice adito - salvo il rispetto dell’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. vedi Cass. SU 7 novembre 2013, n. 25038 - deve contenere, a pena di inammissibilità, soltanto l’esposizione sommaria dei fatti di causa per consentire alla Suprema Corte di conoscere dal ricorso, senza attingere aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo, e delle posizioni in esso assunte dalle parti, pur se in funzione della sola questione di giurisdizione che essa è chiamata a decidere, potendo anche non contenere i motivi specifici di ricorso, e cioè l’indicazione del giudice che ha la giurisdizione o delle norme e delle ragioni di fatto o di diritto su cui è sostenuto Cass. SU 18 maggio 2015, n. 10092 Cass. SU 16 maggio 2013, n. 11826 Cass. SU 9 giugno 2004, n. 10980 Cass. SU 20 ottobre 2000, n. 1129 nonché Cass. SU n. 1542 del 1977 Id. n. 1923 del 1977 Id. n. 4837 del 1977 Id. n. 1290 del 1983 Id. n. 224 del 1984 Id n. 1540 del 1993 che, nella specie, il ricorso risulta essere formulato in modo conforme al suddetto principio perché in esso sono esposti gli estremi della controversia necessari per la definizione della questione di giurisdizione, con l’indicazione delle parti, dell’oggetto e del titolo della domanda nonché con la specificazione del procedimento cui si riferisce l’istanza e della fase in cui si trova, il che consente la verifica del rispetto delle condizioni per la proponibilità del mezzo, imposte dall’art. 41 cod. proc. civ. vedi spec. Cass. SU 18 maggio 2015, n. 10092 cit. che, d’altra parte, il suddetto principio si raccorda con il costante indirizzo di questa Corte secondo cui, in ordine alle questioni di giurisdizione, queste Sezioni Unite svolgono anche il ruolo di giudici del fatto e pertanto possono apprezzare direttamente i fatti , anche non processuali, traendone conseguenze in piena autonomia e indipendenza sia dalle deduzioni delle parti che dalle valutazioni del giudice del merito Cass. SU 21 aprile 2015, n. 8074 Id. 17 luglio 2008, n. 19603 Id. 2 aprile 2007, n. 8095 Id. 22 luglio 2002, n. 10696 Id. 10 agosto 2000, n. 560 Id. 19 febbraio 1999, n. 79 Id. 9 ottobre 1984, n. 5028 Id. 19 novembre 1979, n. 6025 che la questione di giurisdizione proposta dalla società LASSELSBERGER s.r.o. è quindi esaminare nel merito, ma deve essere respinta, dovendosi affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, per considerazioni sostanzialmente coincidenti con quelle sviluppate dal Tribunale di Reggio Emilia nell’ordinanza del 18 agosto 2015 citata che tale ordinanza merita soltanto alcune puntualizzazioni, la prima delle quali consiste nel fatto che ai fini dell’individuazione della normativa comunitaria da applicare per stabilire quale sia il giudice cui spetta la giurisdizione va applicato il principio secondo cu,i ai fini della pronuncia sulla giurisdizione in genere, occorre avere riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda giudiziale, principio che trova riscontro sia nella normativa nazionale sia in quella comunitaria vedi Cass. SU 19 maggio 2009, 11532 che, nella specie, l’art. 66, comma 1, del regolamento UE n. 1215/2012 regolamento Bruxelles I - rifusione stabilisce che Il presente regolamento si applica solo alle azioni proposte, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati e alle transazioni giudiziarie approvate o concluse alla data o successivamente al 10 gennaio 2015 che il citato regolamento UE ha sostituito - a decorrere dal 10 gennaio 2015 - il regolamento CE n. 44/2001, il quale, a sua volta, aveva sostituito, fra gli Stati membri firmatari, le disposizioni della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale ratificata con legge n. 804 del 1971 , il cui art. 5, n. 1, nella formulazione introdotta dalla Convenzione di San Sebastian 26 maggio 1989 ratificata con legge n. 339 del 1991 , aveva dettato uno specifico criterio di collegamento per il contratto individuale di lavoro, stabilendo che per luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita deve intendersi quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività e che, qualora il lavoratore non svolga abitualmente la propria attività in un unico Paese, il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale il lavoratore è stato assunto vedi, per tutte Cass. SU 26 giugno 2003, n. 10164 che, essendo stato il ricorso introduttivo del presente giudizio depositato il 30 aprile 2015, è esatto il rilievo del controricorrente secondo cui si deve fare applicazione del regolamento UE n. 1215/2012 e non del regolamento CE n. 44/2001, mentre a tale ultimo regolamento fanno riferimento sia il Tribunale nella suddetta ordinanza sia la società ricorrente in questa sede che, peraltro, si tratta tuttavia di una precisazione ininfluente ai fini che qui interessano che, infatti, la normativa prevista sul punto nei due suddetti regolamenti è uguale, visto che 1 tanto l’art. 18 comma 2 del reg. n. 44/2001 quanto l’art. 20, comma 2, del reg. n. 1215/2002 stabiliscono che qualora un lavoratore concluda un contratto individuale di lavoro con un datore di lavoro che non sia domiciliato in uno Stato membro ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede d’attività in uno Stato membro, il datore di lavoro è considerato, per le controversie relative al loro esercizio, come avente domicilio nel territorio di quest’ultimo Stato 2 in entrambi i regolamenti si prevede che il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro possa essere convenuto davanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato o in un altro Stato membro a davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente, oppure b qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo Paese, davanti al giudice del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto art. 19 reg. n. 44/2001 e art. 21 reg. n. 1215/2012 che, nella specie, è pacifico che 1 il T. , nato in , è cittadino italiano e da anni è residente in Italia ove ha anche il proprio domicilio, mantenendo qui i propri interessi e legami 2 che la società LASSELSBERGER s.r.o. pur avendo sede nella Repubblica Ceca, ha in Italia una propria iscrizione INPS, INAIL e un codice di azienda a fini fiscali elementi riportati nell’ordinanza e non smentiti dalla ricorrente 3 l’assunzione del T. è stata effettuata in Italia ove si è perfezionato anche il licenziamento 4 il dipendente ha lavorato in più Stati Europei e, fra questi, solo sporadicamente in Italia 5 peraltro, le parti hanno pattuito di applicare al rapporto di lavoro il diritto sostanziale italiano e nell’intimazione del licenziamento la società ha esplicitamente fatto riferimento alla normativa italiana art. 3 della legge n. 604 del 1966 6 la società ha un c.d. recapito in Reggio Emilia presso la propria consulente del lavoro, che, come afferma la stessa ricorrente, è stato indicato per la ricezione delle comunicazioni afferenti il rapporto di lavoro da parte degli uffici pubblici nazionali, il che - in assenza di specifica contestazione sul punto - implicitamente conferma l’esattezza del rilievo del dipendente secondo cui quivi è stata effettuata l’assunzione, onde consentire alla datrice di lavoro di poter fruire di tutti i benefici contributivi previsti dalla legislazione italiana che, in questa situazione, non possono esservi dubbi sulla sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in quanto, diversamente da quanto affermato - ma non dimostrato - dalla società, il c.d. recapito in Reggio Emilia può bene essere inteso, usando la terminologia dei suddetti regolamenti, come sede d’attività , ai soli fini della giurisdizione che qui interessano che, del resto, in base alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia UE, qualora le prestazioni lavorative siano eseguite in più di uno Stato membro, in accordo anche quanto stabilito dal regolamento CE n. 593/2008 del 17 giugno 2008, l’individuazione del giudice competente per le relative controversie deve ispirarsi ai principi del favor lavoratoris , in quanto le parti più deboli del contratto devono essere protette tramite regole di conflitto di leggi più favorevoli CGUE 15 marzo 2011, C 29/10 CGUE 10 aprile 2003, C-437/00 CGUE, 27 febbraio 2002 C-37/00 CGUE 9 gennaio 1997, C 383/95 CGUE 13 luglio 1993, C 125/92 che tale orientamento è stato recepito anche dalla giurisprudenza di questa Corte vedi, per tutte Cass. SU 13 dicembre 2007, n. 26089 Id. 9 gennaio 2008, n. 169 Id. 17 luglio 2008, n. 19595 , in applicazione dell’usuale criterio ermeneutico dell’interpretazione del diritto nazionale in conformità con il diritto UE come interpretato dalla CGUE vedi, al riguardo Cass. Sez. Lav. 12 settembre 2014, n. 19301 che, in conclusione, diversamente da quanto sostenuto dalla la società LASSELSBERGER s.r.o. ricorrente, deve essere dichiarato che la presente controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice italiano, rimettendo la causa, anche per le spese, al Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice italiano e rimette la causa, anche per le spese, al Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro.