Il terzo rivendica la proprietà dei beni dati in pegno? Ha diritto alla restituzione se si raggiunge la prova

Pur corrispondendo il concetto di buona fede, di cui all’art. 1153 c.c., a quello dell’art. 1147 c.c., questo rileva ai fini dell’acquisto della proprietà di beni mobili a non domino , non potendo essere mutuato nel rapporto di pegno e non potendo neppure essere sfruttato con riferimento al terzo proprietario che ha dimostrato di avere diritto alla restituzione delle cose di sua proprietà, che è stato accertato dal giudice del merito.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19653, depositata il 18 settembre 2014, si occupava di una vicenda occorsa in tema di pegno. Il caso è singolare poiché dopo l’attivazione della procedura di intimazione, cui al comma 1 dell’art. 2797 c.c., ed a seguito dell’opposizione da parte dell’intimato, vi era l’intervento volontario del terzo proprietario dei beni conferiti in pegno, finalizzato all’accertamento del suo diritto di proprietà. Il fatto. Il creditore, in cui favore era stato costituito un pegno, notificava al debitore una intimazione contenente l’invito ad eseguire il pagamento dell’importo dovuto a titolo di mutuo, minacciando, in caso contrario, la vendita dei beni dati in pegno. Avverso tale intimazione proponeva opposizione la debitrice. Nel giudizio, l’intimante eccepiva l’inammissibilità dell’opposizione, sostenendo che i quadri dati in pegno si trovassero presso l’abitazione dell’intimata ed erano stati dalla stessa costituiti in pegno a garanzia dell’obbligazione restitutoria della somma ricevuta in mutuo. Nel giudizio interveniva il presunto proprietario dei quadri, egli chiedeva l’accertamento del suo diritto di proprietà sulle opere nonché la loro restituzione in suo favore. Il primo grado si concludeva con la dichiarazione d’improcedibilità della procedura di vendita. La decisione era appellata dall’intervenuto volontario, la Corte di Appello adita accertava la proprietà dei beni in capo all’appellante, con contestuale pronuncia di restituzione delle opere d’arte in suo favore. Le ammissioni del convenuto rilevano nel riconoscimento del diritto di proprietà in capo al terzo rivendicante. Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione la creditrice. Essa criticava la decisione della Corte Territoriale nella misura in cui questa aveva affermato la giuridica inesistenza del titolo costitutivo del pegno a causa della mancanza della scrittura richiesta ab substantiam dall’art. 2787, comma 3, c.c La Cassazione argomentava che, pur essendo erronea una simile affermazione sostanziale, la stessa non incideva comunque sull’impianto argomentativo della sentenza con cui era stata provata la proprietà dei beni in capo ad un terzo estraneo alla convenzione di pegno. Ulteriore motivo di censura era mosso dalla ricorrente con riguardo alla violazione dell’art. 948 c.c A tale proposito gli Ermellini puntualizzavano, in termini generali, come se da un lato chi rivendica la proprietà di una cosa deve provare il proprio diritto, risalendo ad un titolo di acquisto originario ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione in suo favore, dall’altro il convenuto può limitarsi a sostenere semplicemente la sua posizione di possessore. Quando invece il convenuto, come nel caso di specie, non contesti la proprietà del terzo ma rivendichi un proprio differente diritto, il Giudice deve tenere conto delle ammissioni del convenuto, ricavandone all’occorrenza eventuali elementi di prova in tal senso Cass., n. 1098/1981 . Nella vicenda odierna, infatti, la beneficiaria del pegno non aveva affermato di esserne proprietaria, bensì di avere ricevuto i quadri in pegno dalla sua debitrice quest’ultima, a sua volta, non aveva mai sostenuto di essere proprietaria dei quadri riconoscendo pacificamente il diritto di proprietà delle opere in capo al terzo che ne aveva rivendicato il diritto dominicale. La buona fede non giova a chi non adottando la diligenza minima non abbia percepito la violazione dell’altrui diritto . L’ultimo motivo di censura sollevato dalla ricorrente atteneva alla violazione del principio di buona fede di cui agli artt. 1147 e 1153 c.c. detti principi rilevano ai fini dell’acquisto della proprietà di beni mobili a non domino , senza possibilità di essere applicati in via analogica nel rapporto di pegno nonché con riferimento al terzo proprietario che aveva dimostrato di avere diritto alla restituzione delle cose di sua proprietà. A tutto voler concedere la Cassazione escludeva che della buona fede possa comunque giovarsi chi compie l’acquisto ignorando di ledere l’altrui diritto per colpa grave, nelle ipotesi in cui l’acquirente abbia omesso di adottare la diligenza minima richiesta che gli avrebbe consentito di percepire l’idoneità dell’acquisto alla lesione dell’altrui diritto. Per queste ragioni il giudizio si concludeva con il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 giugno – 18 settembre 2014, n. 19653 Presidente Amatucci – Relatore Vivaldi Svolgimento del processo R.I. convenne, davanti al tribunale di Milano, I.D.S. opponendosi, ai sensi dell'art. 2797 c.c., all'intimazione di pagamento della somma di £. 17.436.833 - asseritamene dovutale a titolo di restituzione di mutuo - con l'avvertenza che, in difetto di pagamento, essa D.S.avrebbe provveduto alla vendita di una serie di opere d'arte, elencate nell'atto di intimazione, che la stessa asseriva esserle state date in pegno, a garanzia della suddetta obbligazione . La D.S , costituitasi, eccepì l'inammissibilità dell'opposizione sostenendo, nel merito, che i quadri elencati nel suo atto di intimazione si trovavano presso di lei perchè oggetto di pegno costituito dalla hic a garanzia della propria obbligazione restitutoria della somma ricevuta in prestito. Nel giudizio così instaurato intervenne volontariamente G.V. chiedendo che fosse accertato il suo pieno ed esclusivo diritto di proprietà sulle opere d'arte indicate nell'atto di intimazione ex art. 2797 c.c., con la conseguente restituzione in suo favore. Nel frattempo la D.S. chiese ed ottenne l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della hic per il pagamento della somma di £. 10.950.000 quale residuo debito riconosciuto dalla debitrice che, però, proponeva opposizione avverso tale decreto. Le due cause furono riunite. Il tribunale, con sentenza del 25.3.2002 dichiarò improseguibile la procedura di vendita ex art. 2797 c.c. e revocò il decreto ingiuntivo sopra indicato. L'appello proposto dal V. si concluse con sentenza del 28.12.2009, che lo accolse parzialmente accertando la proprietà in capo all'appellante e condannando la D.S. alla consegna immediata al V. dei quadri come indicati in sentenza. Quest'ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisone Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2786, 2787, e 2909 c. c. e degli artt. 324 e 346 c.p.c. Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono. Vero è che, nel rapporto tra le parti, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2786, 1° co., e 2787, 3° co. c.c., il pegno è validamente costituito con la sola consegna della cosa senza la necessità di alcuna formalità, essendo necessari la forma scritta e l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia per la prelazione vale a dire per rendere opponibile la garanzia agli altri creditori del datore di pegno. Inoltre, per non essere richiesto ad substantiam, il requisito della forma scritta può considerarsi sussistente in presenza di documento o atto idoneo che sia autentico ed idoneo a dimostrare l'esistenza del diritto fatto valere in giudizio, ovvero a documentare il rapporto negoziale o a far desumere, contro il dichiarante, la prova del contenuto e dei limiti del contratto verbale concluso tra le parti Cass. 5.9.2006 n. 19059 Cass. 26.1.2010 n. 1526 Erronea è, pertanto, sul punto l'affermazione della giuridica inesistenza del titolo per la mancanza della scrittura, richiesta ad substantiam dall'art. 2787, 3' comma cod.civ. . Ma un tale errore non incide sull'impianto argomentativo della sentenza ed è, quindi, privo di decisività. Indipendentemente dalla regolarità o meno della costituzione del pegno fra le parti, infatti, la Corte di merito ha ritenuto provata la legittima proprietà dei beni da parte del terzo rimasto estraneo alla convenzione pignoratizia ciò legittimando la restituzione delle opere detenute dall'attuale ricorrente. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 948 c.c. Omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il motivo non è fondato. Vero è che l'utile esperimento dell' azione di rivendicazione esige che l'attore provi il proprio diritto di proprietà, risalendo, attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, oppure dimostrando essersi compiuta in suo favore l'usucapione, eventualmente anche per effetto dell'accessio possessionis, mentre il convenuto non ha l'onere di fornire alcuna prova, potendo limitarsi ad assumere la posizione del possideo quia possideo. Tuttavia, quando, il convenuto rinunci a questa posizione - per esempio non contestando il diritto di proprietà dell'attore ma opponendo un proprio diverso diritto - il giudice del merito non può respingere la domanda per difetto di prova, ma deve tener conto delle ammissioni del convenuto, traendone elementi di prova, e deve considerare altresì gli altri fatti di causa, ricavandone possibili elementi presuntivi Cass. 23.2.1981 n. 1098 . Ed è ciò che la Corte di merito ha fatto rilevando che la D.S., la quale detiene ormai da venti anni e più le opere per cui è causa, lungi dal sostenere di esserne proprietaria, ha dedotto di averle ricevute in pegno dalla I. nella cui casa di abitazione esse si trovavano v. memoria D.S. dep. 26.10.1999 , senza peraltro fornire la benché minima prova del titolo legittimante la detenzione che, neppure la I., dal canto suo, ha mai sostenuto di essere proprietaria dei quadri, bensì ha sempre sostenuto che essi erano di proprietà del V. pagg. 10-11 della sentenza impugnata . Da tali elementi, uniti alle altre circostanze di fatto puntualmente indicate prelevamento dei quadri dalla comune abitazione del V. e della I. durante un periode di assenza del primo e testimonianza del teste Menzani pag. ll ,~ ha correttamente desunto, fornendone adeguata motivazione, come tale incensurabile in questa sede, la fondatezza della domanda del V. diretta ad ottenere la restituzione dei quadri in questione. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli arti. 1147, 1153 e 2909 c.c. Omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il motivo non è fondato. In primo luogo va affermato che, pur corrispondendo il concetto di buona fede, di cui all'art. 1153 c.c. a quello dell'art. 1147 c.c., questo rileva ai fini dell'acquisto della proprietà di beni mobili a non domino, non potendo essere mutuato nel rapporto di pegno e non potendo neppure essere sfruttato con riferimento al terzo proprietario che ha dimostrato di avere diritto alla restituzione delle cose di sua proprietà, come è stato accertato dal giudice del merito. Peraltro, anche se si volesse ritenere estensibile un tale concetto, varrebbe rilevare che la buona fede non giova a chi compie l'acquisto ignorando di ledere l'altrui diritto per colpa grave, la quale è configurabile quando quell' ignoranza sia dipesa dall'omesso impiego, da parte dell'acquirente, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l'idoneità dell'acquisto a determinare la lesione dell'altrui, costituendo ciò un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede Cass. 14.9.1999 n. 9782 . Ora le circostanze più sopra indicate renderebbero senz'altro ragione delle conclusioni cui è giunto il giudice del merito. Conclusivamente, il ricorso è rigettato. Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, per la mancata resistenza degli intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Così deciso in Roma, il giorno 24 giugno 2014, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.