La falsità non è provata senza l’originale del documento

In tema di querela di falso, a norma dell’art. 313 c.c., il giudice non può ritenere provata la falsità del documento sulla base di un presunto comportamento processuale, senza acquisire l’originale della scrittura recante la quietanza oggetto della querela. Pertanto, se la parte che si oppone alla querela dimostra mediante la prova testimoniale che l’originale della scrittura in questione non è nella sua diretta disponibilità, il giudice ne dispone l’ordine di esibizione.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12407, depositata il 3 giugno 2014. In particolare, nel la predetta sentenza i Giudici di legittimità hanno ritenuto che nell’ambito del giudizio per querela di falso è necessaria, al fine di ritenere o meno la falsità del documento impugnato, l’acquisizione in giudizio dell’originale della scrittura, quest’ultima indispensabile per l’esame della querela. Il fatto. La controversia trae origine dalla richiesta di pagamento di un corrispettivo per opere condominiali. I condomini ingiunti, nel corso dell’esecuzione immobiliare subita in relazione a detto debito, convenivano il Condominio chiedendo la revocazione della sentenza emessa dal Giudice di Pace territorialmente competente. Gli attori, esponevano di essere proprietari di un’unita immobiliare, sita nel Condominio in questione, in forza di un acquisto fatto da un proprietario che, a sua volta l’aveva acquistata precedentemente da taluni eredi, divenuti a loro volta proprietari. Gli attori sostenevano di aver appreso, successivamente alla sentenza, che all’atto della prima, delle predette stipule, gli eredi avevano versato una somma di denaro a saldo quote condominiali e spese straordinarie corrispondente a parte di quella che era stata loro indebitamente richiesta e in forza della quale subivano l’azione esecutiva. L’Amministratore di condominio allora proponeva querela di falso, disconoscendo la copia della ricevuta di pagamento prodotta dagli attori nella parte in cui quietanzava anche le spese straordinarie. Il Giudice di Pace, pertanto, sospendeva il procedimento assegnando termine per la riassunzione. L’amministratore di Condominio proponeva il giudizio per querela di falso dinanzi al Tribunale territorialmente competente che decideva con l’accoglimento della querela. Tale decisione veniva confermata anche dalla Corte di appello. I condomini, infine, proponevano ricorso per Cassazione. La prova per testi dimostra l’impossibilità oggettiva di produrre in giudizio l’originale del documento oggetto della querela. I Giudici di Legittimità avevano ritenuto fondato il quarto motivo di doglianza dei ricorrenti con cui essi lamentavano che la falsità del documento era stata decisa dai giudicanti in primo e secondo grado meramente sulla base di un presunto comportamento processuale, senza che si fosse proceduto ad acquisire l’originale della scrittura recante la quietanza oggetto della querela. I ricorrenti, infatti, avevano espressamente richiesto ordine di esibizione della scrittura stessa e avevano, altresì, dedotto prova testimoniale per dimostrare che il documento in questione era custodito dal notaio rogante il primo atto di compravendita che li vedeva del tutto estranei, in quanto stipulato da soggetti diversi. Concludendo. Pertanto, gli Ermellini hanno concluso statuendo che il Tribunale avesse erroneamente respinto l’istanza di ordine di esibizione sulla scorta di una motivazione incongrua, atteso che i ricorrenti avevano provato per testi che si trovavano nell’impossibilità oggettiva di produrre in giudizio la quietanza giacché la stessa non apparteneva loro e non era custodita dal notaio nel loro interesse. Infatti, i ricorrenti non potevano pretendere dal notaio del quale non erano stati clienti, la consegna del documento, custodito dal professionista su mandato conferito dai venditori, parti di un atto di compravendita in cui gli stessi non erano stati contraenti.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 febbraio – 3 giugno 2014, n. 12407 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo La causa nasce dalla richiesta di pagamento di lire 2.117.500 per opere condominiali effettuate nel 1989 nel Condominio omissis . Gli odierni ricorrenti M.L. e L.A. nel 1998, nel corso dell'esecuzione immobiliare subita in relazione a detto debito, convenivano il Condominio per la revocazione di sentenza n. 90 del 1998 del giudice di pace di Casoria. Esponevano di essere proprietari di un'unità immobiliare sita nello stabile, per acquisto fatto nel 1992 da G.G. , che l'aveva acquistata a sua volta nel dicembre 1990 per atto notaio Monda, dagli eredi di B.R. . Gli attori sostenevano di aver appreso, dopo la sentenza, che all'atto della stipula gli eredi B. avevano versato una somma di 3 milioni di lire a saldo quote condominiali e spese straordinarie. L'amministratore del Condominio, B.L. , proponeva querela di falso, disconoscendo la ricevuta di pagamento prodotta dagli attori nella parte in cui quietanzava anche le spese straordinarie. Il giudice di pace sospendeva il procedimento assegnando termine per la riassunzione. Stando al ricorso, la citazione a comparire per l'udienza del 16.11.1999 davanti al tribunale di Napoli veniva notificata per due volte alle parti personalmente e non al loro difensore domiciliatario, dando luogo a due procedimenti che venivano riuniti, su istanza della B. , innanzi a uno dei giudici istruttori, sempre senza dare avviso al difensore dei ricorrenti. Altro disguido si verificava quando veniva disposto il rinnovo della notificazione dell'atto di riassunzione per l'udienza del 23 maggio 2000 con termine di 45 giorni per l'adempimento, che veniva effettuato indicando la data del 25 maggio. Seguiva rinvio d'ufficio al 21 settembre e nuovo ordine di rinnovo per il 31 maggio 2001, con successiva trattazione della causa. Consta altresì che la causa sfociava nell'accoglimento della querela proposta dall'amministratrice del Codominio da parte del tribunale di Napoli, con sentenza 20 ottobre 2003 n. 10489, confermata da parte della Corte d'appello con sentenza 16 marzo 2006. I L. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 30 aprile 2007 e iscritto a ruolo per due volte. Il Condominio ha resistito con controricorso. B.L. , già contumace in appello, è rimasta intimata. Motivi della decisione 2 Preliminarmente va rilevato che parte ricorrente, come aveva già fatto in appello, forse per malintesa cautela, ha notificato e iscritto a ruolo per due volte il medesimo atto di impugnazione. Nel caso odierno i ricorsi sono stati registrati con i numeri 13411 e 13412 del 2007. Il secondo di essi è inammissibile, perché inutile duplicazione del primo. La trattazione unitaria non elimina l'obbligo di dichiararne l'inammissibilità, con il conseguente onere delle spese, liquidate in dispositivo, giacché il Condominio intimato è stato indotto a costituirsi in giudizio anche contro il secondo, dovendo formulare per ogni evenienza processuale le proprie difese. 3 Con i primi tre motivi, parte ricorrente lamenta vizi del procedimento oggetto di riassunzione, relativi a alla mancata comunicazione delle ordinanze emesse fuori udienza dal giudice istruttore b alla estinzione del giudizio e alla conseguente erronea rinnovazione del termine per la riassunzione del processo c all'omesso esame di un motivo di impugnazione. Quest'ultimo motivo è inammissibile per la completa genericità e astrattezza del quesito di diritto. Esso, come i precedenti, è comunque da rigettare, perché superato dalla ratio decidendi adottata dal giudice di appello nel respingere le doglianze di natura processuale svolte in quella sede. La Corte ha infatti rilevato a che l'eccezione di estinzione avrebbe dovuto essere proposta, a pena di inammissibilità nel successivo grado di appello, nello stesso grado in cui l'evento dsi era verificato b che la parte ricorrente aveva avuto la possibilità di farlo perché le era stato ritualmente notificato in data 21 gennaio 2001 presso lo studio dell'avv. Pepe la terza notifica dell'atto riassuntivo, ricevuto da una congiunta dell'avvocato destinatario. Questa complessa ratio, che concerne i primi due motivi, ma anche il terzo, che sembrerebbe riguardare sempre vizi della riassunzione, non è stata puntualmente impugnata. Il ricorso ha svolto altre deduzioni, senza farsi carico di contestare puntualmente la ricostruzione giuridica offerta dalla Corte partenopea. 4 È invece fondato il quarto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 244-210 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c Con esso i ricorrenti lamentano che la falsità sia stata ritenuta provata sulla base di un presunto comportamento processuale, senza acquisire la scrittura recante la quietanza oggetto della querela. Affermano che avevano chiesto ordine di esibizione della scrittura stessa e che avevano dedotto prova testimoniale per dimostrare che la scrittura era custodita dal notaio rogante l'atto del 1990. Aggiungono che l'istanza era stata respinta con motivazione incongrua, giacché la quietanza non apparteneva loro e non era custodita dal notaio nell'interesse dei ricorrenti, ma delle parti - diverse - dell'atto di compravendita del 1990 stipulato tra soggetti diversi. La censura, da riguardare sotto il profilo del vizio motivazionale, poiché il momento di sintesi chiamato quesito fa riferimento all'art. 116 c.p.c. cioè a norma che governa il dovere di motivare congruamente, è fondata. 4.1 La Corte di appello si è liberata di tutte le doglianze che effettivamente risultano svolte nell'atto di appello , circa la disponibilità della ricevuta oggetto di querela e il mancato ordine di esibizione, senza coglierne il senso. Essa ha creduto che le doglianze esposte dai L. fossero da ricollegare esclusivamente alla non corretta costituzione del contraddittorio. Pertanto, una volta risolte dette questioni affermando che gli appellanti in primo grado avevano avuto notizia della trattazione del processo, si è limitata ad affermare che erano del tutto condivisibili le conseguenze che il Tribunale ha tratto dalla mancata ottemperanza all'ordine di esibizione da parte dei convenuti . 4.2 Cosi facendo, la Corte di appello non ha tenuto conto del fatto che in appello, come ora è ribadito in sede di legittimità, i ricorrenti avevano fatto presente anche di non poter esibire il documento originale, indispensabile per l'esame della querela, perché non era nella loro disponibilità. Il notaio Monda era infatti rogante l'atto di compravendita da B. a G. , non dell'atto successivo di acquisto da parte dei L. . Egli aveva ricevuto dai primi danti causa — e non dai L. - la ricevuta di versamento delle spese condominiali asseritamente a copertura anche di quelle straordinarie, secondo la dicitura oggetto di querela . I ricorrenti non potevano pertanto pretendere dal notaio la consegna del documento, consegnato al professionista dai primi venditori nell'interesse delle parti di quell'atto e non dei successivi acquirenti. Era dunque errato il diniego dell'istanza di esibizione del documento, sul presupposto che i ricorrenti potessero liberamente disporre di esso. 4.3 L'accoglimento di questo profilo del ricorso rende ovvia e in parte assorbe ogni valutazione circa la mancata ammissione della prova testimoniale, dedotta per dimostrare che il documento era a mani del notaio nella sua veste relativa al primo rogito e che quindi la omessa produzione del documento non dipendeva da volontà delle parti, ma dall'impossibilità di pretendere dal notaio la consegna dell'originale di un documento pertinente un atto di compravendita in cui gli istanti non erano contraenti. La mancata ammissione del mezzo di prova è stata quindi respinta dalla Corte di appello con motivazione del tutto incongrua, dipendente dalla erronea concezione circa la disponibilità del documento. Discende da quanto esposto l'accoglimento del quarto motivo di ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per il riesame dell'impugnazione, da condurre tenendo conto dei rilievi svolti dalla Corte di Cassazione in ordine all'ultimo motivo di ricorso. Il giudice di rinvio curerà anche la liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso 13412/07 e condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle relative spese di lite, liquidate in Euro 1000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge. La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso 13411/07. Accoglie il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.