Nova vietati nel giudizio di riassunzione ante novella del 1990

In un procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995 – per il quale trovano applicazione gli artt. 183, 184 e 345 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 – l’introduzione di domanda nuova con l’atto di riassunzione a seguito della sentenza ex art. 354 c.p.c. è inammissibile, a meno che non vi sia accettazione del contraddittorio al riguardo.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 987 del 20 gennaio 2014. Il caso. La vicenda sottoposta all’esame degli Ermellini riguarda un’azione instaurata nel lontano 1980 da parte attrice per ottenere il riconoscimento del retratto agrario di un terreno agricolo oggetto di un’alienazione a titolo oneroso tra acquirente e venditore. Il Tribunale accoglieva la domanda di retratto, ma la decisione veniva ribaltata in appello giacché la Corte aveva ritenuto l’assenza nel giudizio di primo grado di un litisconsorte necessario, cioè la moglie di parte venditrice in comunione legale col marito. La Corte emetteva così pronuncia ai sensi dell’art. 354 c.p.c. e rinviava al giudice di primo grado. In sede di riassunzione, l’attore originario avanzava nuove domande relative all’accertamento dell’esclusione del bene in questione dalla comunione legale e relative al risarcimento dei danni patiti. Attraverso una complicata sequela di sentenze non definitive e di sequestri giudiziari sul terreno oggetto della lite, la vertenza giungeva al cospetto della Suprema Corte. L’intricata vicenda relativa al retratto agrario e alle conseguenti richieste delle parti fa solo” da sfondo alla decisione della Corte che affronta in realtà temi squisitamente processuali. La vertenza è addirittura regolata dalla versione del codice di procedura civile anteriore alla riforma della legge 353/1990 e ai limiti del giudizio di appello e di primo grado all’epoca vigenti. Nella versione dell’art. 345 c.p.c. ante 1990, le parti potevano promuovere nuove eccezioni, nuovi documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova. Non si poteva invece proporre nuove domande, senza l’accettazione del contraddittorio da parte dell’avversario. Il divieto dei nova nel giudizio di riassunzione. La legge 353/1990 è stata ancora più radicale” eliminando il c.d. ius novorum , cioè vietando nuove eccezioni e nuovi mezzi di prova. Per completezza, si registra che sul punto è poi intervenuta anche la legge 69/2009 modificando l’art. 345, comma 3, c.p.c. e aggiungendo il divieto di produrre nuovi documenti a meno che il giudice dell’appello non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non averli potuti proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Come ricordato da Cassazione 4712/1996 anche per il primo grado vigeva il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del processo, quale principio posto a tutela diretta della parte destinataria della pretesa. Nel caso di specie, il resistente, nel riassumere il giudizio dopo la sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato ex art. 354 c.p.c. il rinvio della causa al giudice di primo grado per mancata integrazione del contraddittorio, aveva introdotto una nuova domanda, seppure in via subordinata, per richiedere il risarcimento dei danni subiti e l’accertamento dell’esclusione del bene dalla comunione legale. I giudici della Corte d’Appello infatti avevano ritenuto che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio con la chiamata di un litisconsorte necessario la moglie del venditore del terreno, stante il regime della comunione legale dei beni e decidevano così per il rinvio ai sensi dell’art. 354 c.p.c. Tale norma è applicabile quando il litisconsorte necessario non sia stato chiamato dalla parte e il giudice di primo grado non si sia accorto di simile mancanza”. Come da giurisprudenza costante della Suprema Corte sopra ricordata, secondo il regime processuale ante 1990, nel giudizio di primo grado la parte non può modificare le proprie domande introducendone di nuove, a meno che non vi sia accettazione del contraddittorio da parte dell’avversario. Una simile violazione, se avviene, è peraltro rilevabile d’ufficio dal giudice. Ribadito tale principio, i Giudici di Piazza Cavour ne fanno applicazione, a fortiori , anche alla fattispecie in esame in cui la domanda nuova viene proposta in primo grado dopo che il giudice di appello ai sensi dell’art. 354 c.p.c. ha disposto la rimessione al primo giudice. Infatti la riassunzione non è mai equiparabile a un nuovo atto di citazione poiché interviene in un procedimento già instaurato precedentemente. L’accoglimento di simile censura svolta dal ricorrente assorbe tutti gli altri vizi denunciati nel ricorso e comporta la cassazione della sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 ottobre 2013 - 20 gennaio 2014, n. 987 Presidente Segreto – Relatore Scrima Svolgimento del processo Nel 1980 Vi.Fr. proponeva, davanti al Tribunale di Roma, azione per il riconoscimento in proprio favore del retratto agrario in relazione all'atto di compravendita con cui Sa.Fa. aveva venduto a V.L. un terreno boschivo sito in agro di omissis . Il convenuto V.L. , nel costituirsi in giudizio, eccepiva il difetto dei presupposti della prelazione agraria e chiamava in causa in garanzia il suo dante causa che — a suo tempo — aveva escluso l'esistenza di diritti di prelazione sul fondo in questione. Si costituiva il S. che impugnava la domanda e proponeva, a sua volta, domanda di manleva. Il Tribunale adito, con sentenza n. 17352/86, dichiarava il diritto dell'attore al riscatto del fondo, dichiarava l'avvenuto trasferimento del relativo diritto di proprietà in favore di Vi.Fr. , condannava quest'ultimo al pagamento, in favore di V.L. , del prezzo di L. 50.000.000, condannava genericamente il S. al risarcimento dei danni in favore di V.L. per l'evizione e rigettava le domande proposte dal chiamato in causa. Avverso tale decisione proponeva appello V.L. che deduceva la violazione del contraddittorio nei confronti della moglie Sp.Ma. - con cui era in regime di comunione legale dei beni - e, comunque, l'infondatezza della domanda di riscatto. Resisteva al gravame Vi.Fr. ed interveniva volontariamente nel giudizio Sp.Ma. che aderiva alle difese dell'appellante. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2065/90 dichiarava la nullità della sentenza impugnata e dell'intero giudizio di primo grado e degli atti conseguenti, ivi compreso il sequestro giudiziario disposto nel corso del giudizio di appello, stante la non integrazione del contraddittorio nei confronti di Sp.Ma. in primo grado. Nel novembre del 1990 il processo veniva riassunto davanti al Tribunale di Roma da Vi.Fr. , il quale chiedeva dichiararsi che il fondo in questione era escluso dalla comunione legale dei coniugi V. Sp. e che, comunque, era avvenuto il trasferimento del detto bene in suo favore e condannarsi V.L. al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separato giudizio - conseguenti alla mancata menzione nel contratto notarile di compravendita e nel corso del giudizio davanti al Tribunale del suo stato di coniugato in regime di comunione legale dei beni. Non si costituiva il S. . Si costituivano invece V.L. e Sp.Ma. , eccependo che la richiesta di accertamento dell'esclusione del bene dalla comunione legale era domanda nuova e, pertanto, inammissibile il terreno rientrava nella comunione legale l'attore era decaduto, nei confronti della Sp. , dall'esercizio del diritto di prelazione e riscatto per il decorso del termine di un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, con conseguente decadenza anche nei confronti di V.L. , trattandosi di comunione senza quote. I predetti convenuti chiedevano, quindi, previa chiamata in causa del S. , la declaratoria di decadenza di Vi.Fr. da ogni diritto di prelazione e di riscatto, il rigetto delle domande di questi e, in subordine, che il S. garantisse V.L. , ai sensi degli artt. 1476 - 1483 c.c., in relazione al prezzo di L. 50.000.000, alla svalutazione monetaria, agli interessi e ai danni. Autorizzati dal Giudice i convenuti chiamavano in causa il S. che si costituiva in giudizio. Nel 1991, su istanza di Vi.Fr. , il G.I. autorizzava il sequestro giudiziario del terreno in questione. Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva n. 16897/95, rigettava la domanda di Vi.Fr. volta all'accertamento dell'esclusione dell'acquisto del terreno in questione dalla comunione legale dei beni tra i coniugi V.L. e Sp.Ma. , rigettava l'eccezione di decadenza dall'esercizio del retratto agrario sollevata dai convenuti e disponeva, con separata ordinanza, la rimessione della causa sul ruolo istruttorio. Alla prima udienza successiva alla notifica dell'ordinanza di rimessione della causa sul ruolo istruttorio si costituivano V.P. e F. nonché P.A.M. , eredi dell'attore Vi.Fr. , nelle more deceduto, i quali si riportavano alle difese già svolte dal loro dante causa e facevano riserva di appello. Anche i convenuti facevano riserva di impugnazione. Con sentenza definitiva n. 22874/03, il Tribunale di Roma dichiarava il diritto di Vi.Fr. e, quindi, dei suoi eredi al riscatto del fondo in questione e al conseguente trasferimento di proprietà, con obbligo del pagamento del prezzo di Euro 25.8822,84 da parte degli eredi dell'attore ai convenuti V.L. e Sp.Ma. nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, dichiarava l'obbligo del custode di consegnare il fondo agli eredi di Vi.Fr. con la relativa documentazione ed accoglieva la domanda di risarcimento dei danni di da evizione - da liquidarsi in separato giudizio - proposta dai coniugi V. Sp. nei confronti del S. . Avverso sia la sentenza non definitiva che quella definitiva del Tribunale di Roma da ultimo richiamate V.L. e Sp.Ma. proponevano appello, chiedendone la riforma. Gli appellati V.P. e F. e P.A.M. si costituivano chiedendo il rigetto del gravame e proponevano a loro volta appello incidentale. Si costituivano in giudizio anche Sa.Fe. , F. e Fl. , eredi di Sa.Fa. , nelle more deceduto, chiedendo che venisse dichiarata la nullità parziale della sentenza definitiva, per nullità ed inesistenza della notifica dell'atto di citazione per chiamata in garanzia nei riguardi del loro dante causa, nella parte in cui condannava quest'ultimo al risarcimento dei danni da evizione a favore degli appellanti principali e che venisse dichiarato inammissibile l'appello principale nella parte in cui veniva chiesta la garanzia del S. in favore dei coniugi V. Sp. . La Corte di appello di Roma, con sentenza del 17 febbraio 2009, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto da V.L. e Sp.Ma. , rigettava la domanda di accertamento del diritto di riscatto proposta da Vi.Fr. con l'atto di citazione in riassunzione a seguito della sentenza n. 2065/90 della medesima Corte e di quella di avvenuto trasferimento del già indicato terreno in favore dell'attore, dichiarava l'inefficacia del sequestro giudiziario concesso dal G.I. in data 3 luglio 1991 nel corso del giudizio di riassunzione, disponeva la revoca del custode giudiziario con l'attribuzione agli appellanti principali di quanto eventualmente risultante dal rendiconto della gestione e dal libretto di deposito bancario acceso all'ordine del G.I. in parziale accoglimento dell'appello incidentale proposto dagli eredi di Vi.Fr. , condannava V.L. al risarcimento, in favore di predetti appellanti incidentali, di tutti i danni — da liquidarsi in separato giudizio — subiti da Vi.Fr. e commisurati alla perdita del beneficio della prelazione del terreno in questione e degli oneri relativi, dichiarava assorbito l'appello incidentale proposto dagli eredi di Sa.Fa. , rigettava nel resto l'appello principale e quello incidentale degli eredi di Vi.Fr. e compensava integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Nelle more della decisione della Corte di merito il 16 luglio 2005 decedeva V.L. lasciando eredi la moglie Sp.Ma. , le figlie V.A.L. ed E. nonché i nipoti ex filia V.F. , premorta, C.A. e P. . In data 3 novembre 2009 decedeva anche Sp.Ma. , lasciando eredi le due figlie V.A.L. ed E. e i due nipoti C.A. e P. . V.A.L. ha impugnato la sentenza della Corte di merito con ricorso basato su quattro motivi. Hanno resistito con controricorso V.P. , V.F. e P.A.M. . Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all'art. 366 bis c.p.c. - inserito nel codice di rito dall'art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed abrogato dall'art. 47, comma 1, lett. d della legge 18 giugno 2009, n. 69 - in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata 17 febbraio 2009 . 2. Con il primo motivo, corredato di idoneo quesito, si denuncia Violazione in tema di principi di novità della domanda nel giudizio di riassunzione. Artt. 354 c.p.c. e 183 c.p.c. con riferimento all'art. 360 c.p.c. n. 3 . Rappresenta la ricorrente che, nel riassumere il giudizio dinanzi al Tribunale capitolino a seguito della sentenza della Corte di appello di Roma n. 2695/90, che aveva dichiarato la nullità della sentenza e dell'intero giudizio di primo grado per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Sp.Ma. ed aveva disposto la rimessione del giudizio al predetto Tribunale, Vi.Fr. aveva introdotto per la prima volta, seppure in via subordinata all'accertamento del suo diritto al retratto agrario, la domanda di risarcimento di pretesi danni che avrebbe subito in conseguenza del mancato tempestivo esercizio della prelazione agraria per fatto di V.L. . Assume altresì la ricorrente che la Corte di merito, avendo accertato l'inesistenza in capo a Vi.Fr. e, quindi, ai suoi eredi, del diritto al retratto agrario, con la sentenza impugnata in questa sede, ha condannato V.L. al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separato giudizio - in favore dei predetti, in quanto il mancato retratto era conseguente alla omessa dichiarazione da parte dell'acquirente V. , nell'atto di compravendita, dello stato di comunione legale con la moglie, Sp.Ma. , senza tener conto dell'inammissibilità per novità della domanda proposta a tale riguardo solo nella fase di riassunzione, con evidente violazione degli artt. 354 e 183 c.p.c 2.1. Si evidenzia che correttamente la censura andava veicolata invocando la violazione dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., il che tuttavia non rende inammissibile la censura, facendosi comunque valere un vizio della decisione impugnata astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931 Cass. 29 agosto 2013, n. 19882 Cass. 21 gennaio 2013, n., 1370 . 2.2. Il motivo è fondato. In un procedimento, come quello all'esame, pendente alla data del 30 aprile 1995 - per il quale trovano applicazione le disposizioni degli artt. 183, 184 e 345 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 - l'introduzione di domanda nuova con l'atto di riassunzione a seguito di sentenza ex art. 354 c.p.c. è inammissibile, a meno che non vi sia accettazione del contraddittorio al riguardo, accettazione che, nella specie, non viene neppure allegata. Si evidenzia che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 22 maggio 1996, n. 4712, hanno affermato il principio, reiterato anche in sentenze successive di legittimità, secondo cui, con riguardo a procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995, come quello all'esame - per il quale trovano applicazione le disposizioni degli artt. 183, 184 e 345 c.p.c. civ. nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 art. 9 D.L. n. 432 del 1995, convertito nella legge n. 534 del 1995 -, il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado risulta posto a tutela della parte destinataria della domanda pertanto la violazione di tale divieto - che è rilevabile dal giudice anche d'ufficio, non essendo riservata alle parti l'eccezione di novità della domanda - non è sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima, consistente nell'accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi l'accettazione. A quest'ultimo fine, l'apprezzamento della concludenza del comportamento della parte va effettuato dal giudice attraverso una seria indagine della significatività dello stesso, senza che assuma rilievo decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione alla domanda nuova, né potendosi attribuire, qualora questa sia formulata all'udienza di precisazione delle conclusioni, valore concludente al mero silenzio della parte contro la quale la domanda è proposta, sia essa presente, o meno, a detta udienza. Il principio affermato dalle Sezioni Unite va applicato, a maggior ragione, anche all'ipotesi, come quella in esame, in cui la domanda nuova venga proposta in primo grado dopo che il giudice di appello, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c., ne abbia disposto la rimessione al primo giudice, atteso che in tal caso l'atto di riassunzione, pur spiegando una funzione introduttiva, non è equiparabile all'atto di citazione, in quanto interviene in un procedimento già in precedenza instaurato Cass. 6 febbraio 2007, n. 2562 nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, v. Cass. 23 maggio 2013, n. 12719 , con la precisazione che i precedenti richiamati dai controricorrenti Cass. 20 settembre 1977, n. 4027 Cass. 16 aprile 1991, n. 4045 Cass. 3 ottobre 1997, n. 9671 Cass. 18 gennaio 2006, n. 821 , cui va aggiunta la più recente sentenza Cass. 5 gennaio 2011, n. 223, si riferiscono alla diversa ipotesi di riassunzione della causa dinanzi al giudice dichiarato competente, in relazione alla quale, peraltro, si segnalano precedenti in senso conforme all'impostazione qui seguita Cass. 27 luglio 2006, n. 17097 nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, v. Cass. 19 marzo 2008, n. 7392 . 2.3. Alla luce di quanto precede la domanda in questione, stante la sua novità, è inammissibile. 3. Con il secondo motivo, lamentando Violazione dei principi in tema di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e di affidamento ex artt. 1337 e 1338 c.c. con riferimento all'art. 360 c.p.c. n. 3 , la ricorrente assume che la Corte di merito, nel condannare V.L. al risarcimento del danno, sarebbe incorsa in un evidente errore di diritto, muovendo dall'assunto che la mancata dichiarazione, nel rogito di compravendita, da parte del predetto, del suo stato di coniuge in regime di comunione legale dei beni concreti un comportamento illecito, laddove, invece, come affermato pure nella sentenza impugnata, è onere del retraente di un fondo rustico verificare tempestivamente presso i registri immobiliari e dello stato civile l'eventuale rapporto di coniugio dell'acquirente del fondo e il regime patrimoniale che lo riguarda, il che escluderebbe ogni obbligo di detto acquirente in relazione a tale dichiarazione e nessun addebito potrebbe, quindi, essergli imputato per l'omessa menzione del proprio status di coniuge in regime di comunione dei beni. 3.1. L'accoglimento del primo motivo assorbe evidentemente l'esame del secondo motivo del ricorso. 4. Con il terzo motivo, denunciando Violazione dell'art. 336 c.p.c. e dei principi in tema di onere della prova - art. 2697 c.c. e n. 166 c.p.c con riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. , la ricorrente censura il, f rigetto della domanda risarcitoria proposta da V.L. e Sp.Ma. in relazione ai danni determinati dal taglio del bosco cui aveva proceduto, incassando un cospicuo corrispettivo, l'originaria parte attrice, allorché, in virtù della sentenza di primo grado, aveva ottenuto la provvisoria disponibilità del fondo di cui si discute. Assume la V. che, essendo pacifica in causa la circostanza del taglio del bosco, ammessa ex adverso , la Corte di appello avrebbe dovuto considerare provato il lamentato danno e procedere, quindi, alla sua liquidazione con l'ausilio di un CTU. 4.1. Il motivo va disatteso. 4.2. Anzitutto va evidenziato, da un lato, che la violazione delle norme processuali andava veicolata correttamente con il n. 4 dell'art. 360 c.p.c. e al riguardo si rinvia a quanto già osservato nel paragrafo 2.1., e, dall'altro, che l'onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - valido, oltre che per il vizio di cui all'art. 360, n. 5, anche per quello di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c. - sussiste pure quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum , in quanto non contestata Cass., ord., 23 luglio 2009, n. 17253 , rilevandosi che il ricorso difetta di autosufficienza, in relazione alle questioni prospettate nel motivo all'esame, posto che la parte ricorrente, nell'assumere che le prove del danno . erano agli atti del giudizio , si è limitata a far riferimento ad alcuni documenti e alla comparsa di costituzione dei sigg. V. , senza riportare testualmente il contenuto dei documenti e dell'atto che assume essere stati trascurati o sostanzialmente non correttamente valutati dal giudice di merito v. ricorso p. 17 . 4.3. Va poi rilevato che l'unico quesito articolato in relazione al motivo all'esame è inammissibile. Ed invero, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., il quesito inerente ad una censura in diritto - dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo Cass. 7 marzo 2012, n. 3530 Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 5659 . In particolare il quesito di diritto deve compendiare la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. La mancanza - come nel caso all'esame - anche di una sola di tali indicazioni nel quesito di diritto rende inammissibile il motivo cui il quesito così formulato sia riferito Cass., ord., 17 luglio 2008, n. 19769 Cass. 30 settembre 2008, n. 24339 Cass. 13 marzo 2013, n. 6286, in motivazione . 4.4. Per quanto riguarda la ricostruzione fattuale, pure censurata ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., senza peraltro che la ricorrente abbia al riguardo formulato il cd. quesito di fatto o momento di sintesi conformemente ai requisiti prescritti dall'art. 366 bis c.p.c., nell'interpretazione che di tale norma ha fornito il diritto vivente v., ex plurimis, Cass. 16 luglio 2007, n. 16002 Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603 Cass. 18 novembre 2011, n. 24255 , questa Corte ritiene che la motivazione non sia sul punto né incongrua né contraddittoria, come sostiene invece la V. , ma che trattasi di valutazioni di merito effettuate dalla Corte di appello - che ha, sia pure sinteticamente, ritenuto sfornite di prova le deduzioni dei coniugi V. Sp. al riguardo - incensurabili in questa sede, in cui non può richiedersi la rivalutazione del materiale probatorio. Questa Corte ha, infatti, più volte affermato il principio - che va qui ribadito - secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione Cass. 26 marzo 2010, n. 7394 . 5. Con il quarto motivo, lamentando Violazione dei principi di cui agli art t . 91 e 92 c.p.c. in tema di oneri delle spese giudiziali con riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. , la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia disposto là compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio. 5.1. L'accoglimento sia pure parziale in relazione al primo motivo del ricorso assorbe l'esame del quarto motivo, rimanendo travolta la sentenza della Corte di merito per quanto riguarda le spese. 6. Alla luce delle motivazioni che precedono, il ricorso va accolto in relazione al solo primo motivo. 7. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, va dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria avanzata in sede di riassunzione da Vi.Fr. . 8. Ritiene questa Corte di dover integralmente compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e dei gradi di merito, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, sussistendo giusti motivi al riguardo, tenuto conto della peculiarità delle questioni esaminate e del solo parziale accoglimento del ricorso. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il terzo, assorbiti il secondo e il quarto motivo cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda risarcitoria avanzata in sede di riassunzione da Vi.Fr. compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e dei gradi di merito.