Il difensore cancellato dall’albo si comporta come se non lo fosse? La notifica dell’appello non è nulla

Non vi può essere impiego abusivo o deviato degli strumenti processuali posti a tutela del diritto di difesa, essendo le parti chiamate a tenere un comportamento corretto nell’agire e difendersi in giudizio, che non smarrisca mai il fine della tutela dei diritti, che è quello di rendere giustizia secondo i canoni del giusto processo.

La Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione si è occupata con la sentenza n. 12478 del 21 maggio 2013 di una vicenda insolita un avvocato si era fatto cedere un consistente presunto credito da un appaltatore per poi agire in giudizio contro l’asserito debitore, vale a dire il committente. La cessione del credito ha però avuto esito conclusivo ben poco favorevole al cessionario. Il caso è peculiare. Infatti, un avvocato si era fatto cedere il credito vantato da un appaltatore nei confronti di un committente. In pratica oggetto della cessione era il corrispettivo maturato dall’impresa esecutrice delle opere in relazione al contratto di appalto. In primo grado la spuntava l’avvocato cessionario del credito. In appello, però, il leguleio rimaneva contumace e, forse anche per questo, la committente riusciva a ribaltare la situazione, ottenendo la riforma della sentenza di primo grado e la condanna alle spese di entrambi i gradi di giudizio dell’avvocato. In pratica, per i giudici di secondo grado, l’appaltatore non aveva invero maturato alcun credito. Il legale, ovviamente poco soddisfatto della decisione d’appello, proponeva ricorso per cassazione. L’esito? Ancor meno soddisfacente conferma della sentenza di secondo grado ed ulteriore condanna alle spese di lite. La notifica dell’appello al difensore di primo grado nel mentre cancellato dall’albo per ragioni disciplinari. Il ricorrente aveva eccepito la nullità della sentenza d’appello perché il gravame era stato notificato presso il difensore di primo grado, nel domicilio ivi eletto, anche se lo stesso era stato nel mentre cancellato dall’albo per motivi disciplinari . Ma per la Cassazione la censura è infondata. A tale proposito la Suprema Corte ricorda due principi, in linea teorica comunque favorevoli al ricorrente. Anzitutto, la cancellazione dall’albo determina la decadenza dall’ufficio di avvocato e, facendo venir meno lo ius postulandi, implica la mancanza di legittimazione di quel difensore a compiere e a ricevere atti processuali. In secondo luogo, la contestualità della elezione di domicilio rispetto al rilascio della procura come peraltro molto spesso avviene determina una connessione tra i due atti sicché l’elezione di domicilio segue la sorte del conferimento della rappresentanza processuale, divenendo inefficace per effetto della perdita dello ius postulandi, e con questa della rappresentanza, del difensore stesso a seguito della sua cancellazione dall’albo. La notifica dell’appello, successiva alla cancellazione dall’albo dell’avvocato domiciliatario avrebbe dovuto essere effettuata alla parte personalmente. Poste queste premesso, i giudici di legittimità si domandano se, nel caso specifico, la notifica effettuata all’avvocato domiciliatario cancellato dall’albo per effetto di una sanzione disciplinare era inesistente ovvero nulla, con conseguenze diverse sotto il profilo della insanabilità, ovvero sanabilità, del vizio. La giurisprudenza sul punto non è univoca. Tuttavia, la Cassazione ritiene di valorizzare l’orientamento che punta sulla nullità”, scartando quindi l’ipotesi più radicale della inesistenza”. Questo anche perché la categoria della inesistenza” è una categoria residuale, per cui è inesistente l’atto processuale che per mancanza di uno degli elementi costitutivi indispensabili per la loro identificazione come atti appartenente ad uno dei tipi previsti dall’ordinamento, è assolutamente inidoneo a produrre alcun effetto, sostanziale e processuale, tanto da non poter essere preso in considerazione come atto di un determinato tipo. Laddove è invece nulla quell’atto che, pur presentando tutti gli elementi necessari e sufficienti a qualificarlo come atto di un cero tipo, è affetto, sotto il profilo sostanziale o formale, da carenze o vizi che incidono sulla sua validità, cioè sull’attitudine a produrre in modo definitivo gli effetti propri del tipo di atto ci appartiene. Ma questi principi devono essere applicati meglio disapplicati tenendo conto delle peculiarità del caso concreto. A questo proposito la Suprema Corte osserva che dalla documentazione in atti il difensore già cancellato dall’albo per ragioni disciplinari, prima di riceve la notificazione dell’atto di appello aveva continuato a svolgere attività difensiva nell’interesse della parte rappresentata. Ed invero, dopo aver chiesto alla Cancelleria del Tribunale una copia autentica e poi una copia in forma libera della sentenza di primo grado, successivamente, su carta intestata dello Studio professionale, e sottoscrivendo vantando ancora il titolo di avvocato”, aveva inviato al difensore della controparte una nota di quanto spettante al suo cliente in esecuzione della sentenza di primo grado. Inoltre, sempre dopo l’avvenuta cancellazione dall’albo, e dopo aver ricevuto la notificazione dell’appello, lo stesso ex avvocato si era messo in contatto con il difensore dell’appellante per richiedere copia della documentazione prodotta con il gravame. L’avvocato aveva così creato le condizioni per la configurabilità di una situazione di apparenza di persistenza di titolarità, in capo a lui, dello ius postulandi. Nonostante la cancellazione in via disciplinare dall’albo professionale, continuando pertanto a curare, all’esterno, la pratica del proprio assistito, e qualificandosi ancora come avvocato. Non solo nei confronti della cancelleria, attraverso la richiesta di copia autentica e poi una copia in forma libera della sentenza, ma anche nei confronti del difensore della società appellante, prima con l’invio di un riepilogo di quanto spettante al proprio cliente in forma della sentenza di primo grado, e poi, una volta ricevuta la notificazione dell’atto di appello, con la richiesta di ottenimento della copia dei documento dell’appellante nel giudizio di gravame. Un comportamento decettivo e contrario a buona fede . In definitiva, questo comportamento è stato obiettivamente decettivo ed idoneo a recare pregiudizio all’efficace esercizio del diritto di impugnazione dell’avversario, posto in essere in violazione dei principi di buona fede, di lealtà e correttezza, che ha determinato, in ordine alla persistente legittimazione del difensore a rappresentare processualmente il ricorrente, un affidamento incolpevole nella controparte, la quale quando ha proceduto alla notifica dell’atto di appello si è sentita autorizzata a non effettuare il previo riscontro delle risultanze dell’albo professionale, essendo eccessivo pretendere che l’appellante, in evenienza siffatta, sia tenuto a verificare che la situazione di apparenza coincida con l’effettiva realtà. Va tutelato chi ha fatto comprensibilmente affidamento su una situazione apparente creata dall’avversario. Per tutte queste ragioni, la regola generale, per cui la sanzione della nullità compisce la notifica dell’atto di appello all’avvocato domiciliatario cancellato dall’albo per ragioni disciplinari dopo l’esaurimento della fase di primo grado, non opera, perché essa finirebbe con il giovare a chi, con la propria attività, ha creato una situazione di affidamento sulla persistenza della iscrizione all’albo. Del resto, l’applicazione anche al caso concreto del generale principio in materia poco fa ricordato, contrasterebbe con un altro principio, a tenore del quale non vi può essere impiego abusivo o deviato degli strumenti processuali posti a tutela del diritto di difesa, essendo le parti chiamate a tenere un comportamento corretto nell’agire e difendersi in giudizio, che non smarrisca mai il fine della tutela dei diritti, che è quello di rendere giustizia secondo i canoni del giusto processo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 aprile - 21 maggio 2013, n. 12478 Presidente Triola – Relatore Giusti Svolgimento del processo 1. - L'Avv. M C. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la Sogef s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 664.600.536, che assumeva a lui dovuta a titolo di cessione del credito maturato dalla cedente impresa edile Mauro Bonaita, appaltatrice dei lavori di costruzione di immobili da erigersi in Segrate, nei confronti della committente società Segrate 83 s.r.l., poi incorporata dalla convenuta Sogef. La società convenuta si costituì, resistendo. Il Tribunale adito, con sentenza in data 17 gennaio 2005, pubblicata il 7 giugno 2005, accolse la domanda dell'attore, rilevando che l'ammontare del credito ceduto consisteva nel corrispettivo dell'opera svolta dall'impresa Bonaita prima del giudizio per inadempimento contrattuale di quest'ultima che in base al contratto il pagamento del corrispettivo doveva essere eseguito mensilmente su presentazione da parte dell'appaltatore di stati di avanzamento dei lavori vistati dalla direzione dei lavori che l'attore aveva prodotto un verbale tecnico di liquidazione all'appaltatore di quanto a lui competeva in base agli accordi che l'eccezione di prescrizione era infondata. 2. - Avverso questa sentenza la s.p.a. Sogef ha proposto appello, con atto notificato il 28 luglio 2005. L'Avv. C. non si è costituito e ne è stata dichiarata la contumacia. La Corte d'appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 15 luglio 2006, ha accolto il gravame e, in riforma della pronuncia del Tribunale, ha respinto tutte le domande proposte nel giudizio dall'Avv. C. , condannandolo a rifondere le spese del doppio grado. La Corte distrettuale ha ritenuto l'inesistenza del credito ceduto, avendo Sogef dimostrato, sia con le produzioni documentali, sia attraverso la prova orale, che l'impresa Bonaita, dopo avere ricevuto da s.r.l. Segrate 83 l'incarico di realizzare le opere edili, non aveva in realtà eseguito nessuna opera nel cantiere, cedendo, di fatto, alla s.r.l. Erreduemme Costruzioni, in violazione del contratto ed all'insaputa della committente, detto incarico. La Corte di Milano ha altresì sottolineato che Sogef, a seguito di ciò, aveva introdotto una controversia civile per sentire accertare l'intervenuta risoluzione del contratto di appalto, nel corso della quale il giudice istruttore, in accoglimento di apposita istanza ex art. 700 cod. proc. civ., ordinava all'impresa Bonaita il rilascio del cantiere e che, da quel momento in poi, l'impresa Bonaita non aveva più preso possesso del cantiere e tutte le opere erano state eseguite dalla Erredueemme Costruzioni ed alla stessa integralmente pagate. Di qui la conclusione che in data 30 marzo 1990, il credito ceduto da impresa Bonaita all'Avv. M C. non esisteva affatto, dovendo, in ipotesi, considerarsi, in quel momento, alla stregua di un credito futuro credito futuro, peraltro, che non è mai sorto, non essendo maturata, nemmeno in epoca successiva, alcuna ragione di credito in capo all'impresa Bonaita in forza del contratto di appalto stipulato con Segrate 83 . 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello l'Avv. C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 giugno 2007, sulla base di tre motivi. L'intimata ha resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza la controricorrente ha depositato una memoria illustrativa. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 301, 305 e 307 cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza d'appello il ricorrente deduce che la notifica dell'atto di appello da parte della s.p.a. Sogef è avvenuta in data 28 luglio 2005 al patrono di primo grado, l'Avv. N T. , allorché questi era ormai privo di ius postulandi per essere stato cancellato, a partire dal 19 maggio 2005, dall'albo professionale a causa di sanzione disciplinare intervenuta in epoca precedente. Ad avviso del ricorrente, l'instaurazione e la prosecuzione del giudizio di appello malgrado il verificarsi di tale evento interruttivo hanno determinato l'invalidità dell'intero procedimento e la nullità della sentenza che lo ha definito. Di qui il quesito se la notificazione dell'impugnazione al procuratore di primo grado cancellato con provvedimento disciplinare debba ritenersi nulla ovvero inesistente e se la mancata interruzione del processo determini la nullità della sentenza e/o dell'intero procedimento . 1.1. - Il motivo è infondato. 1.2. - Sono incontestati, e risultano dalla documentazione in atti, i seguenti dati di fatto - l'Avv. N T. , difensore dell'Avv. C.M. nel primo grado del giudizio con procura estesa anche al grado di appello, è stato, a seguito di procedimento disciplinare, cancellato dall'albo degli avvocati del foro di Milano a far data dal 19 maggio 2005, quindi successivamente alla data di deliberazione, il 17 gennaio 2005, della sentenza di primo grado poi pubblicata il 7 giugno 2005 - con la procura ad litem , rilasciata a margine dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, l'Avv. C.M. aveva eletto domicilio in OMISSIS , presso lo studio dell'Avv. N T. - l'atto di appello è stato notificato all'Avv. C.M. nel domicilio dallo stesso eletto presso il proprio procuratore costituito, Avv. N T. , con studio in OMISSIS , dove l'ufficiale giudiziario ha consegnato una copia, conforme all'originale, dell'atto notificando a mani di M. , impiegato dipendente, incaricato alla ricezione - durante tutto il corso del giudizio di appello il C. è rimasto contumace. 1.3. - Alla presente vicenda sono applicabili due principi già affermati dalla giurisprudenza di questa Corte Sez. Un., 21 novembre 1996, n. 10284 . Il primo è che la cancellazione dall'albo nella specie, per ragioni disciplinari determina la decadenza dall'ufficio di avvocato e, facendo venir meno lo ius postulando, implica la mancanza di legittimazione di quel difensore a compiere e a ricevere atti processuali. Il secondo è che la contestualità della elezione di domicilio rispetto al rilascio della procura determina una connessione tra i due atti, sicché l'elezione di domicilio segue la sorte del conferimento della rappresentanza processuale, divenendo inefficace per effetto della perdita dello ius postulandi , e con questa della rappresentanza, del difensore stesso a seguito della sua cancellazione dall'albo. 1.4. - La notificazione dell'atto di appello, successiva alla cancellazione dall'albo dell'avvocato domiciliatario, avrebbe dovuto essere effettuata alla parte personalmente Cass., Sez. lav., 21 settembre 2011, n. 19225 . 1.5. - Si tratta, a questo punto, di determinare se la notifica effettuata all'avvocato domiciliatario cancellato dall'albo per effetto della irrogazione di sanzione disciplinare sia inesistente ovvero nulla, con le evidenti conseguenze sotto il profilo della insanabilità del primo vizio e della sanabilità del secondo. La giurisprudenza sul punto non è univoca. Il primo indirizzo è seguito da Cass., Sez. I, 17 luglio 1999, n. 7577, da Cass., Sez. II, 6 marzo 2003, n. 3299, e da Cass., Sez. Lav., 4 agosto 2006, n. 17763 al secondo orientamento sono invece riconducibili Cass., Sez. V., 28 luglio 2003, n. 11623, Cass., Sez. Ili, 13 dicembre 2005, n. 27450, e Cass., Sez. Ili, 22 aprile 2009, n. 9528. Applicando la ratio decidendi alla base di Cass., Sez. Un., 29 aprile 2008, n. 10817, con cui è stato risolto, nel senso della nullità, il contrasto sulla sorte della notificazione del ricorso per cassazione effettuata alla parte, rimasta contumace in appello, nel domicilio eletto nel giudizio di primo grado, il Collegio è dell'avviso che debba darsi continuità al secondo indirizzo, giacché la notifica - certamente viziata perché eseguita al di fuori delle previsioni dell'art. 330, primo e terzo comma, cod. proc. civ. - nondimeno è avvenuta mediante consegna in un luogo e a persona in qualche modo collegabili al destinatario. Invero, muovendo dal rilievo del carattere residuale della categoria dell'inesistenza giuridica dell'atto processuale la quale, per la sua radicalità, riceve un ben diverso trattamento giuridico rispetto alla nullità sanabile , occorre ribadire che è inesistente quell'atto processuale che - per la mancanza di uno degli elementi costitutivi indispensabili per la loro identificazione come atti appartenenti ad uno dei tipi previsti dall'ordinamento - è assolutamente inidoneo a produrre alcun effetto, sostanziale o processuale, tanto da non poter essere preso in considerazione come atto di un determinato tipo laddove è nullo quell'atto che, pur presentando tutti gli elementi necessari e sufficienti a qualificarlo come atto di un certo tipo, è affetto, sotto il profilo sostanziale o formale, da carenze o vizi che incidono sulla sua validità, cioè sull'attitudine a produrre in modo definitivo gli effetti propri del tipo di atto cui appartiene. 1.6. - La nullità della notificazione dell'atto di appello - nella specie non rilevata dal giudice d'appello, che non ne ha pertanto disposto la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., né sanata dalla costituzione dell'appellato - dovrebbe comportare tra le tante, Cass., Sez. I, 5 ottobre 1999, n. 11050 Cass., Sez. II, 11 aprile 2001, n. 5410 Cass., Sez. III, 19 dicembre 2006, n. 27139 la nullità dell'intero processo di secondo grado e della sentenza che lo ha definito, non anche l'inammissibilità dell'impugnazione, essendo stata questa tempestivamente proposta con la conseguenza che questa Corte, nel dichiarare la nullità della notifica, del processo e della sentenza, dovrebbe disporre il rinvio ad altro giudice di pari grado, dinanzi al quale, essendo l'atto di impugnazione oramai pervenuto a conoscenza dell'appellato con conseguente superfluità di una nuova notificazione, sarebbe sufficiente effettuare la riassunzione della causa nelle forme di cui all'art. 392 cod. proc. civ 1.7. - Il Collegio tuttavia ritiene che la vicenda all'esame della Corte presenti delle peculiarità che impediscono di sanzionare con la nullità la notificazione dell'atto di appello avvenuta in data 28 luglio 2005 presso lo studio del difensore domiciliatario, Avv. N T. , con consegna di copia conforme a mani di persona addetta allo studio ed incaricata alla ricezione. Occorre infatti rilevare che, come risulta dalla documentazione in atti, l'Avv. N T. , già disciplinarmente cancellato a partire dal 19 maggio 2005 dall'albo professionale, prima di ricevere la notifica dell'atto di appello ha continuato a svolgere attività difensiva nell'interesse della parte rappresentata. Ed invero - dopo avere richiesto alla cancelleria del Tribunale di Milano, in data 5 luglio 2005, una copia autentica della sentenza di primo grado, e, in data 6 luglio 2005, una copia libera di detta sentenza - l'11 luglio 2005, su carta intestata Studio legale T.N. e firmandosi con il titolo di avvocato, ha inviato al difensore di Sogef, Avv. Al Co. , una nota di quanto spettante al C. in esecuzione della sentenza di primo grado. Ricevuta la notifica dell'atto di appello, l'Avv. T. ha poi richiesto per le vie brevi all'avvocato di controparte come si ricava dalla missiva dell'Avv. Co. in data 31 agosto 2005 copia dei documenti dallo stesso depositati nel giudizio di gravame a sostegno dell'impugnazione. Con il suo comportamento, l'Avv. T. ha creato le condizioni per la configurabilità di una situazione di apparenza di persistente titolarità, in capo a lui, dello ius postulandi, nonostante la cancellazione in via disciplinare dall'albo professionale, continuando a curare, all'esterno, la pratica del proprio assistito qualificandosi come avvocato non solo nei rapporti con la cancelleria, attraverso la richiesta di copia autentica e di copia in forma libera della sentenza ma anche - quel che qui importa - nei riguardi del difensore della società Sogef, prima con l'invio anteriormente alla ricezione della notifica dell'appello di un riepilogo di quanto spettante al proprio cliente in forza della sentenza di primo grado, e poi una volta ricevuta la notificazione dell'atto di appello con la richiesta e l'ottenimento della copia dei documenti prodotti dal difensore dell'appellante nel giudizio di gravame. Si tratta di un comportamento obiettivamente decettivo ed idoneo a recare pregiudizio all'efficace esercizio del diritto di impugnazione dell'avversario, posto in essere in violazione dei principi di buona fede, di lealtà e correttezza, che ha determinato, in ordine alla persistente legittimazione del T. formalmente munito di una procura alle liti estesa anche al giudizio di appello a rappresentare processualmente il C. , un affidamento incolpevole nella controparte, la quale, quando ha proceduto alla notifica dell'atto di appello, si è sentita autorizzata a non effettuare il previo riscontro delle risultanze dell'albo professionale, essendo eccessivo pretendere che l'appellante, in evenienza siffatta, sia tenuto a verificare che la situazione di apparenza coincida con l'effettiva realtà. Nella specie, la sanzione della nullità, che normalmente colpisce la notifica dell'atto di appello all'avvocato domiciliatario cancellato dall'albo per ragioni disciplinari dopo l'esaurimento della fase di primo grado, non opera, perché essa finirebbe con il giovare a chi, con la propria attività rivolta ad ottenere l'esecuzione della sentenza in favore del proprio cliente pur non avendo più titolo a rappresentarlo e a difenderlo, ha creato la indicata situazione di affidamento sulla persistenza della iscrizione all'albo. E ciò contrasterebbe con il principio per cui non vi può essere impiego abusivo o deviato degli strumenti processuali posti a tutela del diritto di difesa Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726 , essendo le parti chiamate a tenere un comportamento corretto nell'agire e difendersi in giudizio, che non smarrisca mai il fine della tutela dei diritti, che è quello di rendere giustizia secondo i canoni del giusto processo. 1.8. - Né, cosi decidendo, si corre il rischio di far ricadere sull'ignara parte rappresentata dall'Avv. T. , l'Avv. C.M. , le conseguenze della condotta posta in essere dal suo, oramai ex, avvocato. Occorre infatti considerare che il C. , pur avendo ottenuto una sentenza provvisoriamente esecutiva di primo grado, che condannava Sogef a pagargli l'importo di Euro 343.237,53, oltre ad interessi legali dalla domanda al saldo ed alle spese di lite, dopo lo scambio epistolare tra l'Avv. T. e l'Avv. Co. non ha più posto in essere iniziative rivolte ad ottenere il recupero del proprio credito e l'unica spiegazione logica di questo comportamento di attesa interrotto soltanto con la proposizione del ricorso per cassazione per eccepire l'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per la denunciata inesistenza della notifica dell'atto di citazione in appello può rinvenirsi proprio nel l'aver saputo, tramite l'Avv. T. , dell'interposto gravame e della sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, disposta dalla Corte d'appello di Milano con ordinanza in data 10 gennaio 2006 in considerazione delle qualità personali della controparte - sentenza della Corte di cassazione penale n. 29704 del 16 luglio 2003 ed alcune notizie di fonte ANSA - che sono suscettibili di ingenerare non infondate perplessità in ordine alla possibilità che le somme corrisposte in esecuzione della impugnata sentenza di primo grado non siano più restituite dall'appellato . 2. - Il secondo mezzo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ Il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ 2.1. - Entrambi i motivi sono inammissibili, in quanto del tutto carenti di un momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, che valga a circoscrivere puntualmente i limiti della censura proposta a norma dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Cass., Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17838 . Alla stregua della letterale formulazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ. - introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dall'art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall'art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 cfr. art. 58, comma 5, della legge n. 69 del 2009 - questa Corte è ferma nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, nel caso previsto dall'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., allorché, cioè, il ricorrente lamenti un vizio della motivazione della sentenza impugnata, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo al quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603 . Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che l'indicazione del fatto controverso e delle ragioni della non adeguatezza della motivazione sia esposta nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, occorrendo a tal fine una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata Cass., Sez. II, 30 gennaio 2013, n. 2219 . 3. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.200, di cui Euro 7.000 per compensi, oltre ad accessori di legge.