Revocatoria di atti a titolo gratuito: l’inefficacia del credito non è coperta dal giudicato sull’accertamento dello stesso

La declaratoria di inefficacia si limita a rendere inopponibile al fallimento il titolo alla base del credito, senza incidere sul suo accertamento in quanto non costituisce fatto impeditivo, estintivo o modificativo del credito.

Lo ricorda la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7774/12, depositata il 17 maggio. La vicenda. La fattispecie al centro della controversia in esame tratta di un’opposizione alla domanda, proposta da una banca, per l’ammissione allo stato passivo del fallimento di una s.p.a. di un credito chirografario. Tale credito derivava da fideiussioni che la s.p.a. aveva rilasciato a garanzia delle obbligazioni assunte verso la banca da due società dello stesso gruppo della s.p.a Il giudice di prime cure aveva ritenuto il credito inopponibile al fallimento ai sensi dell’art. 64 l. fall., secondo il quale sono inefficaci rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità , in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante. La Corte di appello, inoltre, reputava che l’inefficacia degli atti a titolo gratuito non incidesse sulla loro esistenza e validità. Di conseguenza, la circostanza che i crediti derivanti dagli atti a titolo gratuito siano accertati definitivamente non assume rilevanza ai fini della loro opponibilità al fallimento. Atto a titolo gratuito? occorre osservare la causa concreta. Risulta opportuno premettere in tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito, ai sensi dell’art. 64 l. fall., che la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio deve essere compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dallo scopo pratico del negozio. Infatti, come hanno affermato recentemente le Sezioni Unite n. 6538/2010, ai fini dell’accertamento del titolo oneroso o gratuito occorre valutare la sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente finalizzato a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, a prescindere dal modello astratto utilizzato. Ne consegue che la relativa classificazione non può più fondarsi sull’esistenza o meno di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma deriva inevitabilmente dall’apprezzamento dell’interesse alla base all’intera operazione da parte del solvens . Bisognerà dunque avere riguardo all’entità dell’attribuzione, alla durata del rapporto, alla qualità dei soggetti e soprattutto alla prospettiva di subire un depauperamento collegato o non collegato ad un guadagno o ad un risparmio di spesa, sia pur indiretto. Pertanto, nell’ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi dichiarato fallito, di un’obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l’atto solutorio può dirsi gratuito – agli effetti dell’art. 64, l. fall. – unicamente quando dall’operazione che esso conclude sia essa a struttura semplice perchè conclusa in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto composta da un collegamento di atti e di negozi il terzo non ne riceva nessun concreto vantaggio patrimoniale, mentre abbia voluto così procurare un vantaggio al debitore. Al contrario, dovrà ritenersi a titolo oneroso tutte le volte che il terzo ottenga un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, in modo da recuperare, anche indirettamente, la prestazione adempiuta ed evitare il pregiudizio, cui l’ordinamento pone rimedio con l’inefficacia ex lege . Il giudicato sull’accertamento del credito non preclude la revocatoria. In seguito al ricorso per cassazione promosso dall’istituto di credito, la Suprema Corte si pronuncia sulla latitudine del giudicato fondato sulla domanda di ammissione al passivo. In particolare, in relazione alla preclusione o meno della questione dell’inefficacia delle fideiussioni nei confronti della massa, la Cassazione afferma che per costante e consolidata giurisprudenza non sono coperti dal giudicato i fatti e le situazioni nuove o quantomeno non deducibili nel giudizio in cui il giudicato stesso si è formato. Nella fattispecie è sicuramente ascrivibile tra i fatti anteriormente non deducibili la questione riguardante l’inefficacia rispetto alla massa del credito sorto da un atto a titolo gratuito, compiuto dal fallito nel biennio anteriore alla sentenza dichiarativa. L’unico soggetto legittimato a far valere in giudizio l’inefficacia ai sensi dell’art. 64 l. fall. sarà dunque il curatore, in quanto l’inefficacia medesima deriva direttamente dalla dichiarazione di fallimento. Quindi, il precedente giudicato formatosi fra il creditore e il fallito non preclude la declaratoria di inefficacia delle fideiussioni rispetto alla massa, declaratoria che peraltro non influisce sull’accertamento della sussistenza del credito, limitandosi a rendere inopponibile al fallimento il titolo che ne costituisce la fonte. La declaratoria di inefficacia e l’eccezione riconvenzionale. Dopo aver precisato, in aggiunta a quanto detto precedentemente, l’ammissibilità della domanda, avanzata dal fallimento, di inefficacia del rapporto sottostante l’emissione dei titoli giudiziali divenuti definitivi, la Suprema Corte afferma che le domande riconvenzionali dirette a ottenere la dichiarazione di inefficacia delle fideiussioni possono essere valutate quali eccezioni riconvenzionali. Vale ricordare che l’eccezione riconvenzionale si differenzia dalla domanda riconvenzionale in quanto non comporta una pronuncia con efficacia di giudicato, ma è diretta solo a paralizzare la domanda dell'attore. L'eccezione riconvenzionale, infatti, pur ampliando il thema decidendum , risulta esclusivamente diretta a dedurre un fatto impeditivo o estintivo della pretesa fatta valere con la domanda avversaria e come tale non urta contro il divieto di domande nuove in appello. Tali eccezioni, inoltre, anche se formulate come domande, impongono al giudice del merito di esaminare le eccezioni in esse virtualmente comprese. Ora, la domanda di revocatoria dell’atto a titolo gratuito posto in essere dal soggetto fallito non è finalizzata a rendere inefficace l’accertamento del credito contenuto nel giudicato, bensì risulta funzionale rendere in opponibile alla massa fallimentare il titolo sul quale si basa tale accertamento. Siccome in questo caso si tratta di revocatoria ex art. 64 l. fall. e non ai sensi dell’art. 67 l. fall. , non occorre che il giudice emetta una pronuncia costitutiva al fine di dichiarare inefficace l’atto, e dunque la richiesta di revocatoria può essere anche oggetto di eccezione, la quale non altera il thema decidendum del giudizio di opposizione. Infatti, quest’ultimo si forma anche in relazione alle eccezioni sollevate dal convenuto. Fideiussioni a carattere gratuito, si applica l’art. 64 l. fall La Cassazione, pertanto rigetta il ricorso promosso dall’istituto di credito, ribadendo il carattere gratuito delle fideiussioni rilasciate dalla s.p.a. fallita, a nulla valendo la circostanza che la stessa s.p.a. appartenesse allo stesso gruppo delle due società garantite. Infatti, nel momento in cui le garanzie erano prestate le suddette società erano già in stato di decozione e quindi la s.p.a. garante non poteva ricavare nessun vantaggio dall’operazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 febbraio – 17 maggio 2012 n. 7774 Presidente Fioretti – Relatore Cristiano Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza del 2.2.2010, ha respinto il gravame della Banca Popolare di Vicenza soc. coop. p.a. a r.l. in seguito, per brevità, BPV avverso la sentenza 18.7.05 del Tribunale di Rovigo, che aveva a sua volta respinto l'opposizione ex art. 98 L.F. proposta dalla banca per ottenere l'ammissione allo stato passivo del Fallimento della Fin Tess s.p.a. del credito chirografario di Euro 2.277.524,77, vantato in virtù di fidejussioni rilasciate dalla fallita a garanzia delle obbligazioni assunte verso l'istituto di credito da due società appartenenti al suo stesso gruppo, che, benché portato da decreti ingiuntivi definitivamente esecutivi, ottenuti dalla BPV nei confronti della Fin Tess in bonis, il G.D. aveva ritenuto inopponibile al Fallimento ai sensi dell'art. 64 L.F La Corte territoriale - premesso che la domanda riconvenzionale ex art. 64 L.F., avanzata tardivamente in giudizio dal curatore, ben poteva essere apprezzata quale mera eccezione, tempestivamente dedotta, volta a paralizzare l'avversa pretesa - ha affermato che l'inefficacia, nei confronti della massa dei creditori, degli atti a titolo gratuito posti in essere dal fallito nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento non incide sulla loro esistenza e validità, sicché, ai fini della loro opponibilità al fallimento, non rileva che i crediti da essi derivanti risultino definitivamente accertati in un giudicato formatosi fra le parti dell'atto medesimo ha infine osservato che, nel merito, i motivi di appello della banca erano in parte inammissibili, perché privi di attinenza alla decisione impugnata, ed in parte infondati, in quanto la prestazione delle garanzie non aveva arrecato alcun vantaggio alla Fin Tess, non essendo contestato che, alla data di rilascio delle fidejussioni, le società garantite versassero già in stato di insolvenza. BPV ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sorretto da cinque motivi, cui il Fallimento della Fin Tess ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo di ricorso, BPV denuncia violazione degli artt. 2908/09 c.c., 647,696 c.p.c. e 95 L.F. Osserva che il passaggio in giudicato dei decreti ingiuntivi sui quali si fondava la domanda di ammissione copriva il dedotto e il deducibile e dunque precludeva al Fallimento di introdurre la questione dell'inefficacia delle fidejussioni nei confronti della massa. La censura è infondata. Secondo la giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte, invocata dalla stessa banca a sostegno del proprio assunto, l'efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti c.d. giudicato esplicito , anche alle ragioni di fatto o di diritto che si presentano come un antecedente logico necessario della pronuncia c.d. giudicato implicito e che pertanto non possono essere fatte valere in un successivo giudizio per contrastare il diritto definitivamente accertato cfr, fra tante, Cass. nn. 3434/011, 8650/010, 18791/09, 15343/09 . È tuttavia altrettanto consolidato il principio che può, del resto, ricavarsi a contrario dalle medesime pronunce richiamate dalla ricorrente che non sono coperti dal giudicato i fatti e le situazioni nuove o che, quantomeno, non erano deducibili nel giudizio in cui il giudicato medesimo si è formato Cass. n. 15807/09, 21069/04 . Fra i fatti anteriormente non deducibili certamente rientra la questione concernente l'inefficacia, nei confronti della massa, del credito consacrato nel titolo giudiziale, in quanto nascente da un atto a titolo gratuito compiuto dal fallito nel biennio anteriore alla sentenza dichiarativa la sanzione di inefficacia di cui all'art. 64 L.F. discende infatti direttamente dalla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che l'unico soggetto legittimato a farla valere è il curatore. La questione non può pertanto ritenersi preclusa dal precedente giudicato formatosi fra il creditore e il fallito, che abbia definitivamente accertato la sussistenza e la validità del titolo azionato dal primo nei confronti del secondo. La declaratoria di inefficacia, d'altro canto, non costituisce fatto impeditivo, estintivo o modificativo del credito, ma, limitandosi a rendere inopponibile al fallimento il titolo che ne costituisce la fonte, non incide in alcun modo su detto accertamento cfr. Cass. n. 1180/78 . 2 Col secondo motivo, lamentando violazione dell'art. 112 cpc, la ricorrente rileva che, poiché essa aveva chiesto l'ammissione al passivo in forza di titoli giudiziali divenuti definitivi, il fallimento avrebbe potuto eccepirne l'inopponibilità, ma non dedurre l'inefficacia del rapporto sottostante alla loro emissione, in tal modo introducendo in giudizio una causa petendi nuova e diversa, sulla quale il giudice non poteva pronunciare. La censura rivolta alla sentenza di primo grado, ma ammissibile, in quanto già avanzata in sede d'appello e respinta dalla Corte territoriale , ove diretta effettivamente a denunciare un vizio di ultrapetizione della sentenza, risulterebbe manifestamente infondata, posto che, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., il giudice è tenuto a statuire sia sulle domande dell'attore sia sulle eccezioni del convenuto e che, non decidendo su queste ultime eventualmente limitandosi, se ne ricorrono i presupposti, a dichiararle inammissibili , incorrerebbe, piuttosto, nel vizio di omessa pronuncia. Qualora, poi, BPV avesse inteso lamentare il mancato rilievo, da parte del giudice del merito, dell'inammissibilità dell'eccezione svolta dal Fallimento, siccome preclusa dal giudicato da essa azionato in sede di verifica, il rigetto della censura discenderebbe dalle considerazioni appena svolte in sede di esame del primo motivo. 3 Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 166,167, 345 - 349 c.p.c., la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che le domande riconvenzionali, tardivamente proposte dal Fallimento per ottenere la declaratoria di inefficacia delle fideiussioni, potessero essere apprezzate quali eccezioni riconvenzionali. Osserva a riguardo che, per contrastare un diritto definitivamente accertato in giudizio, è necessaria l'emissione di un provvedimento giudiziale affermante il diritto contrapposto, che presuppone un'apposita domanda. Anche questo motivo deve essere respinto. Come si è già in precedenza rilevato, la richiesta di declaratoria di inefficacia ex art. 64 L.F. dell'atto compiuto dal fallito non è volta a porre nel nulla l'accertamento contenuto nel giudicato, ma solo a rendere inopponibile alla massa il titolo sul quale detto accertamento si fonda e poiché a differenza di quanto accade allorché l'inefficacia sia fatta valere ai sensi dell'art. 67 L.F. tale declaratoria non comporta la necessità di emissione di una pronuncia costitutiva, non v'è dubbio che la richiesta possa essere oggetto di un'eccezione, con la quale il curatore miri semplicemente a paralizzare la pretesa del creditore Cass. n. 23269/06 . Erra, infine, la banca nel ritenere che l'eccezione, in quanto fondata sul rapporto sottostante all'emissione dei decreti ingiuntivi, abbia inammissibilmente alterato il thema decidendum oggetto del giudizio di opposizione, che, a suo dire, avrebbe dovuto essere limitato alle questioni concernenti i titoli giudiziali da essa azionati. L'assunto non trova fondamento in norme processuali, dalle quali, in contrario, si ricava artt. 112, 167, 183 c.p.c. che il thema decidendum si forma anche in relazione alle eccezioni sollevate dal convenuto né, d'altro canto, è richiesto che le stesse dipendano, pena la loro inammissibilità, dal titolo dedotto in giudizio dall'attore. 4 Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2901 comma 2 c.c. e 64 L.F. Premette che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la prestazione di garanzia per debito altrui non può essere considerata a titolo gratuito quando sia contestuale al sorgere del credito garantito e rileva che, nel caso di specie, era rimasto del tutto incontestato in sede monitoria e risultava, comunque, provato dai documenti prodotti, aventi data certa anteriore al Fallimento che Fin.Tess. aveva prestato le fidejussioni in coincidenza, logica e temporale, con la concessione alle società garantite dei fidi dai quali era poi scaturito il debito del quale le era stato ingiunto il pagamento. Osserva, sotto altro profilo, che i rapporti pacificamente intercorrenti fra la fallita e le altre società del gruppo avrebbero dovuto comunque portare ad escludere il carattere gratuito delle fidejussioni. Il motivo va dichiarato inammissibile. Come si è accennato nella parte espositiva, la Corte territoriale - cui, con l'atto d'appello, era stata devoluta anche la questione di merito concernente l'inefficacia ex art. 64 L.F. delle fidejussioni - ha dichiarato inammissibile il motivo di gravame di BPV inteso a far valere la contestualità fra erogazione dei finanziamenti e concessione delle garanzie, rilevando che il suo laconico contenuto, consistente nel mero richiamo dei documenti dai quali la circostanza avrebbe dovuto evincersi, non teneva conto delle motivazioni di rigetto addotte, sul punto, dal primo giudice, che aveva escluso la rilevanza probatoria di quegli stessi documenti, aventi natura di atti interni, per di più privi di data certa il giudice d'appello ha poi ritenuto infondato il motivo con il quale la banca aveva dedotto il carattere oneroso delle fidejussioni in ragione dell'appartenenza della Fin.Tess al medesimo gruppo delle due società garantite, osservando che queste ultime, allorché le garanzie vennero prestate, versavano già in stato di insolvenza, sicché doveva escludersi che la società poi fallita potesse trarre vantaggi, quantomeno indiretti, dall'operazione. PBV, anziché censurare la prima statuizione riportando in ricorso il motivo d'appello dichiarato inammissibile ed illustrando le ragioni per le quali il suo contenuto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, era idoneo a rimuovere la pronuncia del Tribunale, si è limitata a rinviare ai documenti prodotti ed a dedurre che questi erano forniti di data certa, senza neppure considerare che in sede di legittimità le era precluso muovere contestazioni ad un accertamento compiuto dal giudice di primo grado e ormai coperto da giudicato interno analogamente, la ricorrente, anziché contestare la statuizione di rigetto dell'altro motivo d'appello attraverso la denuncia dell'omesso esame, da parte della Corte territoriale, di circostanze decisive, dalle quali si sarebbe potuto evincere che le due società garantite non versavano ancora in stato di insolvenza allorché la Fin.Tess. sottoscrisse le fidejussioni, si è limitata a richiamare in ricorso quei principi giurisprudenziali, in tema di interesse di gruppo e di onerosità della garanzia, che il giudice del merito aveva ritenuto inapplicabili al caso di specie proprio perché le società garantite erano ormai decotte. Le censure si rivelano, pertanto, prive di attinenza al decisum, e, in definitiva, carenti di motivi rientranti nel paradigma normativo di cui all'ari 366 comma 1 n. 4 c.p.c. Cass. n. 17125/07 . 5 Manifestamente infondato è, infine, il quinto motivo di ricorso, con il quale BPV, denunciando violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., lamenta la mancata compensazione delle spese del doppio grado del giudizio. La banca, la cui domanda di ammissione è stata respinta, é rimasta interamente soccombente nel giudizio la Corte di merito ha dunque correttamente applicato il disposto dell'art. 91 c.p.c., per di più ampiamente e congruamente motivando sulle ragioni che escludevano la possibilità di disporre la compensazione delle spese. Anche le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la Banca Popolare di Vicenza soc. coop. p.az. a r.l. a pagare al Fallimento della Fin.Tess. s.p.a. le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 15.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.