Immobile donato al Comune per allestire una casa di riposo: termini non rispettati, restituzione al donante

Confermata la pronuncia in Appello, che rende la struttura, completa degli ultimi lavori eseguiti dal Comune, alla donna che la aveva donato perché fosse utilizzata per gli anziani del paese. Decisivo il mancato rispetto delle scadenze temporali messe nero su bianco. Non sufficiente, per salvare il Comune, il richiamo alle tante norme da rispettare per mettere la struttura in regola, l’accoglienza di alcuni ospiti e la delibera ad hoc per affidare il servizio a una cooperativa.

Il gesto di umanità va rispettato in toto , sia nella forma che nella sostanza. Soprattutto se esso riguarda la concessione – da un privato a un Comune – di un edificio da destinare a ‘casa di riposo’ per anziani. Altrimenti si corre il rischio di vedere azzerata la liberalità Non può bastare, difatti, l’aver offerto ospitalità ad alcuni anziani nella struttura – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 5702, Sezioni Unite Civili, depositata oggi – per considerare portato a termine il progetto originario. Modus donandi. La donazione in ballo è di grosso valore, soprattutto considerato il contesto, ossia un piccolo paese meridionale viene concesso al Comune, da una donna, un immobile da adibire a casa di riposo per anziani . Tutto ciò, però, va realizzato entro cinque anni. In caso contrario, cioè nell’ipotesi che l’opera non venga realizzata e non sia funzionante , il Comune sarà obbligato a restituire gratuitamente e senza pagamento di alcuna somma di denaro l’intero immobile alla donante . Ebbene, a oltre quindici anni dalla liberalità, secondo la donna nessun anziano è mai stato ricoverato e la struttura non è funzionante . Conseguenziale, quindi, la richiesta, dinanzi al Tribunale, di vedere dichiarata la risoluzione di diritto della donazione e di ottenere la restituzione dell’immobile . Ritorno al passato La questione, assai controversa, vista anche l’operatività parziale della struttura, vive un andamento giudiziario altalenante Difatti, in primo grado, la richiesta della donante viene respinta, mentre, invece, in secondo grado, viene accolta. Con gli effetti che sono facilmente immaginabili donazione risolta di diritto per essersi verificata la condizione risolutiva prevista nel relativo atto , Comune condannato alla restituzione dell’immobile , peraltro nello status ultimo, compresi i lavori già effettuati a proprie spese dell’amministrazione pubblica. Secondo i giudici, quindi, il Comune non ha rispettato il ‘patto’, ossia non ha operato in maniera adeguata, non rispettando i tempi fissati su carta, perché l’immobile avuto in dono potesse essere utilizzato, a tempo pieno, per dare ospitalità ed accoglienza agli anziani del paese. Struttura operativa. Questa visione, però, viene respinta dal Comune, che presenta ricorso per cassazione, rivendicando la legittimità del proprio operato e contestando, innanzitutto, la valutazione della clausola apposta alla donazione , considerata, in Appello, condizione risolutiva mista . Su quest’ultimo aspetto, comunque, i giudici di Cassazione confermano in toto la presa di posizione dei giudici di secondo grado. Nodo gordiano, poi, è quello relativo alla complessità dei lavori – questa la prospettiva delineata dal Comune – da porre in essere per attrezzare una adeguata ‘casa di riposo’. Tale complessità, secondo la pubblica amministrazione, avrebbe dovuto essere tenuta in debito conto. Anche perché, era stata proprio la donante a concedere un differimento del termine originario per la chiusura del progetto, alla luce della impossibilità di rispettare il termine originariamente previsto per l’esecuzione delle opere di adeguamento dell’immobile, conseguente a cause non imputabili al Comune , come l’obbligo di osservare le molteplici norme sopravvenute quali quelle sull’abbattimento delle barriere architettoniche . E seguendo questa falsariga, il Comune, tramite il proprio legale, evidenzia anche che, in realtà, il progetto era già avviato, come testimoniato dalla delibera ad hoc con cui era stato disposto l’affidamento in concessione del servizio di gestione del centro residenziale a una cooperativa difatti, tale servizio era pienamente funzionante, con numerosi anziani ricoverati . Ulteriore elemento, poi, è quello relativo alla collocazione temporale della domanda di risoluzione avanzata dalla donante, che, secondo il Comune, ne mette in discussione la buonafede la richiesta è stata presentata, difatti, solo dopo il completamento dei lavori Vivibilità. Eppure la visione proposta dal legale della pubblica amministrazione non trova accoglimento in Cassazione, laddove i giudici mostrano di condividere le valutazioni compiute in Appello. Più precisamente, nessuna particolare categoria di lavori da compiersi nell’immobile ma semplicemente la garanzia di condizioni di sicurezza e di igiene e l’istituzione di una ‘casa di riposo’ funzionante In questa ottica, il ricovero di alcuni anziani non può sostituire l’esistenza di un protocollo per l’ammissione e l’allestimento di un apparato organizzativo , anche perché esso va inquadrato come mera ospitalità Ciò comporta il superamento dei termini stabiliti nell’atto di donazione, che non può essere sanato da un’apertura della ‘casa di riposo’ a posteriori . Legittima conseguenza è, quindi, l’applicazione della condizione risolutiva fissata nella donazione ecco perché il ricorso del Comune viene rigettato, con la conferma della pronuncia d’Appello e con la restituzione dell’immobile alla donante.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 28 febbraio – 11 aprile 2012, n. 5702 Presidente Rovelli – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione del 29-4-2004 A.R.M. esponeva che con atto a rogito notaio L. del 25-3-1987 aveva donato al Comune di Pontelandolfo un immobile di sua proprietà sito in viale dell’Impero dello stesso Comune, e che la liberalità, come riportato nello stesso atto, era stata effettuata in memoria del proprio coniuge G.R. al fine di adibire l’immobile a casa di riposo per anziani aggiungeva che per la suddetta istituzione erano stati concessi e convenuti due anni di tempo per l’inizio dei lavori di ristrutturazione, decorrenti dalla data di stipula dell’atto, ed ulteriori tre anni per completare l’opera, al termine dei quali, se tale opera non fosse stata iniziata, realizzata e funzionante, la donazione si sarebbe risolta di diritto con obbligo del Comune di restituire gratuitamente e senza pagamento di alcuna somma di denaro l’intero immobile alla donante ed ai suoi aventi causa nello stato di fatto in cui si sarebbe trovato al momento della restituzione e della retrocessione. L’attrice, rilevato che, nonostante fossero trascorsi più di quindici anni, nessun anziano era stato mai ricoverato e la struttura non era funzionante, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Benevento il Comune di Pontelandolfo chiedendo dichiararsi la risoluzione di diritto della suddetta donazione e, per l’effetto, condannarsi il convenuto alla restituzione dell’immobile senza corresponsione di alcuna somma di denaro. Costituendosi in giudizio il Comune convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario e contestava inoltre nel emerito le domande attrici di cui chiedeva il rigetto. Il Tribunale adito con sentenza del 19-5-2004, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, rigettava le domande attrici. Proposta impugnazione da parte della R.M., cui resisteva il Comune di Pontelandolfo, la Corte di Appello di Napoli con sentenza del 25-3-2010, in accoglimento del gravame, ha dichiarato risolta di diritto la donazione sopra menzionata per essersi verificata la condizione risolutiva prevista nel relativo atto e, per l’effetto, ha condannato il predetto Comune alla restituzione, in favore della donante, dell’immobile oggetto dell’atto di liberalità nello stato di fatto in cui esso si trovava, senza corresponsione di alcuna somma di denaro da parte della donante. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Fontelandolfo ha proposto un ricorso articolato in sei motivi cui ai R.M. ha resistito con controricorso le parti hanno successivamente depositato delle memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 37 c.p.c., assume che il giudice di appello ha omesso di rilevare il proprio difetto di giurisdizione, considerato che la presente controversia era devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, essendo essa correlata all’espletamento di un servizio pubblico nell’esclusivo interesse della collettività, e dunque con richiamo ad atti, provvedimenti e comportamenti comunque correlati all’esercizio di un pubblico potere, inequivocabilmente riconoscibile nella delibera del Consiglio Comunale del 2-10-2004 - del tutto ignorata dalla Corte territoriale - con la quale era stato istituito il servizio di assistenza degli anziani ed era stato dato detto servizio e l’ex Palazzo Rivellini oggetto della donazione in affidamento alla Cooperativa Primula Service. La censura è inammissibile. Infatti è decisivo rilevare che il Tribunale di Benevento aveva respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, e che il Comune di Pontelandolfo in sede di appello non ha riproposto la questione di giurisdizione con appello incidentale, come pure era suo onere invero, allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intenda contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa diversamente l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione Cass. S.U. 9-10-2008 n. 24883 Cass. S.U. Ord. 28-1-2001 n. 2067 . Deve poi essere esaminato prioritariamente il sesto motivo di ricorso con quale il Comune di Pontelandolfo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 793 c.c., assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la clausola apposta alla donazione integrasse una condizione risolutiva invece che una donazione modale ricorreva invece tale ultimo istituto, perché la clausola risolutiva espressa faceva derivare la risoluzione del contratto non già dal verificarsi di un avvenimento futuro ed incerto, ma dall’adempimento dell’onere imposto al Comune donatario che costituiva una vera e propria obbligazione da eseguire entro un termine, peraltro non essenziale. La censura è infondata. Premesso che il giudice di appello ha ritenuto che la clausola apposta alla donazione del 25-3-1987 - secondo la quale, se i lavori di ristrutturazione dell’immobile donato per adibirlo a casa di riposo per anziani del luogo non fossero stati realizzati entro il termine ivi previsto e successivamente prorogato al 31-10-1994, consentendo l’effettivo esercizio di una attività di ricovero di detti anziani, la donazione si sarebbe risolta di diritto ed il Comune di Pontelandolfo sarebbe stato obbligato a restituire gratuitamente l’intero immobile alla donante - integrava una condizione risolutiva mista e non un modus”, si rileva che il ricorrente, lungi dal censurare specificatamente l’interpretazione della predetta clausola resa dal giudice di merito con la specifica indicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale in ipotesi violati e con la precisazione delle modalità attraverso le quali il giudice si era da essi discostato, ovvero dal dedurre vizi di motivazione in effetti neppure prospettati , si è limitato inammissibilmente ad offrire apoditticamente una diversa interpretazione della clausola in oggetto, non considerando l’evidente inidoneità in tale sede di una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nelle contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte. Può comunque aggiungersi che la trascrizione nel ricorso di alcune espressioni contenute nell’atto di donazione menzionato sembrano confortare il convincimento al riguardo espresso dalla Corte territoriale in tal senso rileva il fatto che nella delibera del 15-10-1986 del Comune di Pontelandolfo espressamente richiamata nel contratto di donazione veniva previsto che se tale opera” non fosse stata iniziata e realizzata con il ricovero manifesto di cittadini bisognosi di assistenza ” la donazione stessa avrebbe dovuto intendersi risoluta di diritto” con l’obbligo da parte del Comune donatario di restituire gratuitamente e senza pagamento di alcuna somma di denaro, con regolare atto pubblico notarile, l’intero immobile alla donante ”, considerato che la condizione risolutiva si distingue dal modus” per il fatto di risolvere automaticamente, al suo verificarsi, gli effetti del negozio, come appunto previsto nella fattispecie, a prescindere dalla valutazione di un inadempimento imputabile al donatario, indagine che invece comporta la donazione modale in caso di mancato avveramento del modus”. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, assume che la sentenza impugnata, nel procedere all’interpretazione della condizione risolutiva prevista nel contratto di donazione predetto, ha ritenuto che essa non individuava particolari categorie di lavori da compiersi, da parte del Comune donatario, nell’immobile donato, che taluni lavori di adeguamento”, pure oltremodo opportuni e diretti a migliorare il livello di vita dei ricoverandi, non rientravano, secondo il volere dei contraenti, tra gli elementi dedotti nella condizione risolutiva stessa, ben potendo la struttura funzionare anche senza di essi, e che pertanto sarebbe stato sufficiente realizzare, nei tempi pattiziamente convenuti, quei lavori essenziali per l’avvio dell’attività, anche se con offerta di un modesto livello di conforts. Il ricorrente rileva che in tal modo il giudice di appello non ha individuato gli interventi prescritti da leggi anche sopravvenute all’atto di donazione per cui è causa relativamente ad una casa di cura per anziani, interventi la cui esecuzione preventiva era prescritta da norme inderogabili di legge d’altra parte la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato l’inequivocabile volontà manifestata dalla R.M. nell’atto di donazione di adibire gli immobili a casa di riposo per anziani”, con la conseguente volontà manifestata da parte del Comune di Pontelandolfo di provvedere alla radicale ristrutturazione dell’immobile oggetto di donazione ed al necessario adeguamento costruttivo, tecnico e funzionale alla stregua di tutte le prescrizioni inderogabili vigenti in materia, come in effetti era avvenuto con l’esborso della somma di oltre 500.000,00 euro. Il ricorrente poi assume che sotto altro profilo, sempre attinente all’interpretazione della volontà delle parti riguardante la condivisa intenzione di destinare l’immobile a casa di riposo per anziani, era rilevante l’atto aggiuntivo intervenuto il 29-12-1993 con il quale la R.M., nel dare atto dell’impossibilità di rispettare il termine originariamente previsto per l’esecuzione delle opere di adeguamento dell’immobile conseguente a cause non imputabili al Comune di Pontelandolfo, aveva concesso in differimento di detto termine. Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 1457 c.c. ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione, sostiene che la sentenza impugnata ha affermato che la mera inosservanza del termine originario, successivamente prorogato dalle parti per consentire il completamento degli interventi già in parte eseguiti per l’adeguamento strutturale e funzionale dell’immobile donato a casa di riposo per anziani, aveva determinato la risoluzione automatica del contratto in tal modo non è stato considerato che il ritardo verificatosi nell’esecuzione dei lavori, lungi dal poter essere addebitato ad inerzia e/o negligenza del Comune di Pontelandolfo, era stato causato dall’obbligo dell’esponente di osservare in materia le molteplici norme sopravvenute, come in particolare quelle sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Il ricorrente inoltre evidenzia che, anche qualora si ritenesse che le parti avessero voluto pattuire un termine essenziale per l’esecuzione dei lavori dalla cui scadenza far discendere lo scioglimento del contratto, in ogni caso non avrebbe potute essere pronunciata la risoluzione contrattuale, atteso che difetta comunque l’indispensabile requisito della colpevolezza dell’inadempimento. Con il quarto motivo il Comune di Pontelandolfo, deducendo vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso, sulla base dell’incarto processuale e del libero interrogatorio delle parti, la sussistenza di un apparato organizzativo segnatamente afferente l’attività propria della asserita casa di riposo in tal modo, rileva il ricorrente, da un lato era stata valorizzata la dichiarazione resa in sede di interrogatorio libero delle parti da un dipendente comunale non informato, e dall’altro lato era stata omessa la valutazione della delibera comunale sopra già menzionata del 2-10-2004 prodotta ritualmente per la prima volta nel giudizio di appello in quanto successiva alla sentenza di primo grado con la quale era stato disposto l’affidamento in concessione del Servizio di gestione del centro residenziale Comunità Alloggi per Anziani” ex Palazzo Rivellini alla società Cooperativa Primula Servite, cosicchè tale servizio era pienamente funzionante con numerosi anziani ricoverati. Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1366-1367 e 1375 c.c., afferma che la Corte territoriale è pervenuta alla Declaratoria di risoluzione dell’atto di donazione per cui è causa in esito ad un sommario iter” argomentativo, sostanzialmente assertivo, in contrasto con il criterio ermeneutico di conservazione degli atti giuridici e con gli obblighi di interpretazione ed esecuzione del contratto secondo buona fede era infatti pacifico che l’ex Palazzo Rivellini era stato radicalmente trasformato e destinato a casa di riposo per anziani a cura e spese del Comune esponente mediante l’esecuzione di onerosi e complessi interventi, e che esso era attualmente utilizzato come ricovero per anziani che, allo stato, ne usufruiscono in numero consistente era quindi evidente che la domanda di risoluzione della donazione formulata dalla R.M. solo dopo il completamento dei lavori da parte dell’esponente forniva la prova di un comportamento da parte di quest’ultima in contrasto con le regole di cui agli artt. 1366-1367 e 1375 c.c. Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondate. Il giudice di appello, premesso che la sopra richiamata condizione risolutiva non prevedeva particolari categorie di lavori da compiersi nell’immobile oggetto della donazione, ha ritenuto che i lavori per i quali erano previsti i termini di inizio e completamento dovevano intendersi quelli occorrenti per consentire, in condizioni di sicurezza e di igiene, l’istituzione di una casa di cura funzionante orbene alla luce degli elementi probatori acquisiti ed anche delle risultanze del libero interrogatorio delle parti la Corte territoriale, pur dando atto dell’avvenuto ricovero nel predetto immobile di alcuni anziani nei termini pattuiti, ha escluso l’esistenza di alcun protocollo per l’ammissione di coloro che avevano fruito di fatto dell’ospitalità in esso, nonché di un apparato organizzativo segnatamente afferente l’attività propria di una casa di riposo ha poi aggiunto che tale mera ospitalità - inidonea a dimostrare l‘avveramento dell’evento dedotto in condizione - era comunque venuta meno nel 1989 per consentire la realizzazione di quei lavori strumentali rispetto ad una effettiva gestione della casa di riposo, non ultimati né nel termine previsto nell’atto di donazione, né in quello prorogato nell’atto aggiuntivo ha quindi concluso che il superamento di tali termini rendeva irrilevante stabilire se in seguito le opere strutturali fossero state compiute e l’attività gestionale esercitata, perché anche in tale ipotesi comunque esclusa dalle risultanze istruttorie , non sarebbe stato escluso l’avveramento del fatto dedotto in condizione e, quindi, la fondatezza della pretesa restitutoria della donante. Orbene in presenza di tale convincimento, frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, devono essere disattese le censure del ricorrente che tendono inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione a sé più favorevole della vicenda che ha dato luogo alla presente controversia. Sotto ulteriore profilo, attinente alla non imputabilità al Comune di Pontelandolfo della mancata realizzazione dell’immobile donato della casa di cura per anziani nei termini contrattualmente pattuiti per le diverse ragioni esposte nei motivi in esame, occorre evidenziare l’irrilevanza di tali argomentazioni una volta configurata la clausola sopra richiamata come una condizione risolutiva e non come un modus” invero, mentre nella donazione modale l’onere imposto al donatario costituisce una vera e propria obbligazione, con la conseguente rilevanza dell’indagine volta ad accertare se la sua mancata esecuzione dipenda da inadempimento imputabile al donatario, l’avveramento dell’evento futuro ed incerto previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti in ordine al verificarsi dell’evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni del contratto non possono trovare applicazione i principi che regolano l’imputabilità in materia di obbligazioni Cass. 13-12-1979 n. 6505 Cass. 6-9-1991 n. 9388 . Il ricorso deve pertanto essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro 4000,00 per onorari di avvocato.