La revocazione non può basarsi sulla mancata integrazione del contraddittorio

L'errore revocatorio si configura quando la decisione sia fondata sull'affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare.

La mancata integrazione del contraddittorio non può ingenerare la revocazione della sentenza della Cassazione. In tal caso non si tratta, infatti, di un errore revocatorio, ma di un errore di giudizio, che va fatto valere con ricorso per cassazione nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c Lo ha stabilito la Corte di cassazione con una sentenza depositata il 17 novembre scorso n. 24204 . La nozione di errore revocatorio. I giudici di legittimità hanno chiarito che in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, la configurabilità dell'errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull'affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare. L’errore di giudizio non costituisce presupposto per la revocazione. Ciò non vale quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione. L'errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Speculare l’orientamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. In tale senso anche l’orientamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sentenza 17 maggio 2010 che ha chiarito di recente un’analoga questione con chiarezza manualistica l'errore di fatto che legittima il ricorso per revocazione debba consistere nel c.d. abbaglio dei sensi - si legge nella sentenza dei giudici amministrativi - ossia in un travisamento dovuto a mera svista, che induca a considerare inesistenti circostanze indiscutibilmente esistenti o viceversa. Detto in altri termini, l'errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale e cioè in una svista - obiettivamente ed immediatamente rilevabile - che abbia portato ad affermare o soltanto supporre . l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato. Occorre in ogni caso, però, che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un errore di diritto e con la revocazione si verrebbe in sostanza a censurare la valutazione e l'interpretazione delle risultanze processuali . Deve, pertanto, ritenersi inammissibile – conclude l’Adunanza plenaria - la domanda di revocazione che si fondi sull'erroneo apprezzamento delle risultanze del fatto stesso .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 20 aprile – 17 novembre 2011, n. 24204 Presidente Cappabianca – Relatore Greco Fatto e diritto La Corte ritenuto che, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione I sigg.ri M B. e A C. propongono ricorso ex art. 391 bis c.p.c. in relazione alla sentenza Cass., 4/2/2008, n. 2589, testualmente deducendo alla concreta fattispecie v. Cass., 15/6/2010, n. 14397 Cass., 7/4/2009, n. 8463 Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020 Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054 , pure in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 cfr., da ultimo, Cass. Sez. Un., 10/9/2009, n. 19444 . La norma di cui all'art. 366 bis c.p.c. è d'altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacché una siffatta interpretazione si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658 Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258 . Va infine posto in rilievo che, come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, la configurabilità dell'errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull'affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione v. Cass., 22/6/2007, n. 14608 Cass., 28/6/2005, n. 13915 Cass., 15/5/2002, n. 7064 . L'errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 v. Cass. 20/2/2006, n. 3652 . Orbene, nel caso non risulta invero denunziato alcuno dei presupposti di cui all'art. 395, 1 co. n. 4, c.p.c. Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile. Come eccepito dalla controricorrente va anzitutto osservato che il ricorso risulta proposto in violazione del termine previsto all'art. 327, 1 co., c.p.c., nel tenore ratione temporis nel caso applicabile. Va per altro verso osservato che il motivo, oltre non recare l'indicazione della norma censurata, non si conclude invero con il prescritto quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., nel tenore ratione temporis nel caso applicabile cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2008, n. 26022 . L'art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è infatti applicabile anche al ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. avverso i provvedimenti della Corte di Cassazione pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006, con la conseguenza che la formulazione del motivo deve risolversi nell'indicazione specifica, chiara ed immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell'errore e nell'esposizione delle ragioni per cui l'errore presenta i requisiti previsti dall'art. 395 c.p.c. v. Cass., Sez. Un., 30/10/2008, n. 26022 . Al riguardo, si noti, vale sottolineare che la necessità del quesito di diritto si spiega in ragione della circostanza che l'errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 si sostanzia pur sempre in un error in procedendo del giudice, riverberante non già sotto il profilo della valutazione - per il quale trova applicazione l'art. 112 c.p.c. in ordine alla necessità del quesito v. al riguardo, da ultimo, Cass., 15/6/2010, n. 14397 Cass., 26/1/2010, n. 1405 Cass., 26/10/2009, n. 22578 Cass., 23/2/2009, n. 4329. Contra v, peraltro Cass., 10/9/2009, n. 19558 - bensì dell'erronea percezione dei fatti di causa quali emergenti, nella loro ontologica realtà, dagli atti di giudizio in termini cfr. quanto da questa Corte affermato, da ultimo, nell'ordinanza emessa sub R.G. 2519 del 2009 . Orbene, l'inottemperanza alla prescrizione di ordine formale in questione riverbera invero sulla sostanza dell'impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l'errore imputato alla sentenza impugnata in relazione. La sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione è affetta da un errore risultante dagli atti e documenti di causa, per cui dovrà essere revocata ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c Nello specifico, quanto alla procedibilità, la sentenza n. 2589/08 è stata emessa dal Supremo Collegio ai sensi e per gli effetti dell'art. 375, comma 1, n. 5 c.p.c. In tal guisa, a mente dell'art. 391 bis c.p.c., se la sentenza . pronunciata ai sensi dell'art. 375, primo comma, nn. 4 e 5 , pronunciata dalla corte di Cassazione è affetta da errore Ovvero da errore di fato ai sensi dell'art. 395 n. 4 . la parte interessata può chiedere . la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e ss . Dunque, acclarata la proponibilità del gravame, si impone la revocazione della sentenza, a fronte dell'errore che risulta in atti. L’intero processo da cui deriva la pronuncia oggetto di gravame doveva essere dichiarato nullo a principio . La questione, infatti, non ha oggetto la singola posizione debitoria di un ricorrente, ma la posizione evidentemente comune a tutti i debitori rispetto alla principale obbligazione dedotta in giudizio. Si concreta un chiaro caso di litisconsorzio necessario originario, in ragione che anche il ricorso proposto da un solo socio e/o dalla società, impone l'integrazione del contraddittorio ex art. 14 D.Lgs. 546/92 ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari sarà affetto a nullità per violazione del principio del contraddittorio, ai sensi degli art. 102 c.p.c. e 111, comma III, Costituzione, siccome rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio . Ora, è evidente che nel caso sottoposto in revocazione al vaglio del Supremo Collegio si è verificata l'ipotesi anzi descritta, non essendo mai stato integrato il contraddittorio nei confronti dei rispettivi soci della Società, sigg. B.M. e C.A. , litisconsorzi necessari ex art. 102 c.p.c Nel caso specifico, ravvisando l'errore nella corretta integrazione del contraddittorio, si doveva arrivare per forza ad una pronuncia di nullità dell'intero giudizio, inteso come 1^ e 2^ grado e di Cassazione, con regresso al 1 Giudice”. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite che non sono state depositate conclusioni scritte né memorie considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.500 oltre alle spese eventualmente prenotate a debito.