Immobile donato e vincolato all'uso? Solo se è prevista la restituzione quando la finalità non è stata realizzata

Salva la parrocchia che aveva ricevuto un complesso dall'ente pubblico. Legittima la decisione di vendere, sempre che il ricavato venga utilizzato per gli scopi fissati nell'atto di donazione.

Dall'ente pubblico alla parrocchia. Un intero complesso immobiliare ceduto gratuitamente. Con finalità precise esercizio del culto cattolico realizzazione di un centro di accoglienza per tossicodipendenti attività di recupero per la rieducazione e il reinserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Vendita bloccata, quindi? Assolutamente no. Perché l'ipotesi di una successiva alienazione, da parte della parrocchia - chiarisce la Corte di Cassazione, con ordinanza numero 21376, sesta sezione civile, depositata ieri -, è ammissibile, sempre che il ricavato venga destinato alle finalità previste per l'utilizzo del complesso immobiliare. Complesso immobiliare 'bloccato'. Il 'pacchetto' ceduto, gratuitamente, da un ente pubblico a una parrocchia è di quelli di grosso valore un intero complesso immobiliare. Unico vincolo, almeno sulla carta, è l'utilizzo ad hoc, da parte della parrocchia, ovvero che quel complesso immobiliare sarebbe stato destinato esclusivamente all'esercizio del culto cattolico e di un centro di accoglienza per tossicodipendenti e per il recupero della rieducazione e il reinserimento nel mondo del lavoro dei giovani . Utilizzo bloccato, quindi ma il vincolo non viene rispettato. E lì nasce la querelle Vendita a sorpresa. Difatti, a distanza di qualche anno dalla cessione, la parrocchia opta per l'alienazione del complesso immobiliare. Che, secondo l'ente pubblico, cessa di essere destinato alle finalità indicate nell'atto di donazione . Ecco spiegata la decisione, sempre dell'ente pubblico, di adire le vie legali, chiedendo la condanna della parrocchia al risarcimento del danno da inadempimento di una disposizione modale inserita in un contratto di donazione di un compendio immobiliare . Risultati? Richiesta respinta prima dal Tribunale e poi dalla Corte d'Appello. Con due motivazioni il vincolo di destinazione impresso ai beni dal donante non si risolveva in un vincolo d'inalienabilità dei beni e la volontà del donante doveva ritenersi rispettata tutte le volte in cui la vendita degli immobili fosse servita ad assicurare il fine che muoveva il donante . Destinazione mutabile? La strada del ricorso in Cassazione, però, è quella scelta dall'ente pubblico. Obiettivo è, come detto, il risarcimento dei danni. A sostenere il ricorso una considerazione precisa quella effettuata nei confronti della parrocchia non era una generica elargizione con il solo vincolo alla finalità indicata nel contratto , piuttosto la possibilità di alienare i beni donati era limitata dalla condizione implicita del mantenimento della destinazione esclusiva dei beni . In questa ottica, l'effettiva destinazione degli immobili assumeva rilievo determinante . Senza tale destinazione, non ci sarebbe stata donazione questa è l'ottica dell'ente pubblico. Eppure, per i giudici della Cassazione, la qualificazione di modo e non di condizione , data dai giudici di primo grado alla clausola inserita nell'atto di donazione , è condivisibile . Per quale ragione? Perché non era previsto un obbligo di restituzione, ove le finalità non fossero state realizzate . Di conseguenza, nessun vincolo di inalienabilità e domanda risarcitoria assolutamente non fondata. Piuttosto, secondo i giudici di piazza Cavour, è legittimo, come fatto in Appello, 'leggere' la clausola modale come strumento per vincolare i beni al fine . Quindi, la volontà del donante si può considerare rispettata se il ricavato di un'eventuale vendita di una parte o di tutti gli immobili fosse stato destinato a realizzare opere per il raggiungimento del fine indicato dal donante .