Irragionevole durata del processo: per negare l'indennizzo serve la prova della lite temeraria

Solo le ipotesi di abuso del processo fanno venir meno il diritto all'equa riparazione, ma vanno provate da chi le eccepisce.

Il diritto all'equa riparazione per la durata non ragionevole di un processo spetta a tutte le parti, siano esse risultate vittoriose o soccombenti, con l'unico limite delle situazioni comportanti abuso del processo è onere della parte che le eccepisce, per negare la sussistenza del danno risarcibile, fornire la prova di tali ipotesi di abuso. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18745 del 13 settembre. Il caso. Un uomo proponeva ricorso per cassazione contro il decreto con il quale la Corte d'Appello aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere l'equa riparazione per l'irragionevole durata di un giudizio innanzi al Tar, non ancora definito a distanza di nove anni dall'atto introduttivo. Secondo i giudici di merito il ricorrente avrebbe adito il giudice amministrativo nella piena consapevolezza dell'infondatezza della propria domanda, da considerarsi temeraria. Il diritto all'equa riparazione spetta a tutte le parti del processo, vittoriose o soccombenti. Con alcuni motivi di ricorso, l'uomo impugna il decreto sostenendo che il diritto all'equa riparazione, per violazione della ragionevole durata del processo, spetta indipendentemente dal fatto che la parte sia risultata vittoriosa o soccombente. Si tratta di un principio condiviso dalla S.C., che richiamandosi a un consolidato orientamento, ha ribadito che l'indennizzo spetta a tutte le parti del processo, come risarcimento per la sua durata irragionevole, a prescindere dall'esito del processo, dalla consistenza economica o dall'importanza sociale della vicenda. Unico limite l'abuso del processo. Che va provato. L'equa riparazione incontra il limite dell'abuso del processo non ha diritto all'indennizzo la parte che ha proposto una lite temeraria, o ha artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l'irragionevole durata di esso , o comunque in tutte le ipotesi di abuso del processo, nelle quali risulti la piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità. Di tutte queste situazioni deve fornire la prova colui che le eccepisce, per negare la sussistenza del danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione della durata ragionevole. L'infondatezza della pretesa fatta valere non è indice di temerarietà della domanda. Nel caso di specie, osserva la S.C., i giudici di merito non si sono uniformati ai principi sopra richiamati, laddove hanno erroneamente ravvisato la temerarietà della domanda nella infondatezza della pretesa fatta valere, senza però evidenziare concreti elementi, idonei a configurare una situazione di abuso del processo nella condotta del ricorrente. In assenza di tali indicazioni, deve riconoscersi l'equa riparazione per la durata irragionevole del procedimento amministrativo de quo, durato oltre nove anni. La quantificazione del danno. Il Collegio, riconosciuto che si è in presenza di una durata del processo superiore a quella ragionevole - che nel caso di giudizio amministrativo corrisponde a tre anni -, provvede a quantificare l'indennizzo secondo i parametri adottati dalla Cassazione, sulla base della giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo, l'importo non è inferiore a € 750 per ogni anno di ritardo, per i primi tre anni, e a € 1.000 per gli anni successivi. Potrebbe interessarti anche Lite temeraria, per ottenere il risarcimento non occorre provare il danno, Diritto& Giustizi@ 7 settembre 2011