Scale e ballatoi, la presunzione di condominialità può essere vinta da titolo contrario

di Sara Bortolotti

di Sara Bortolotti In mancanza di una specifica previsione contraria del titolo costitutivo opera la presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 c.c. Le parti comuni sono elencate, nell'articolo de quo, in maniera esemplificativa e non tassativa, e sono da ritenersi da un lato necessarie per l'esistenza del condominio e dall'altro permanentemente destinate all'uso o godimento comune. Da ciò ne consegue che per vincere tale presunzione il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva abbia l'onere di fornire la prova del proprio diritto, ed a tal fine è necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene. La problematica sottesa alla sentenza della Suprema Corte, n. 14885 del 6 luglio, inerisce alla natura stessa del condominio, posto che nel condominio i beni in comunione coesistono con la proprietà individuale di un piano o porzione di esso. Il caso. Un condomino proprietario del primo piano conviene in giudizio un altro condomino, proprietario del piano soprastante, assumendo che quest'ultimo avrebbe edificato su una porzione di pianerottolo e di vano scale, sottraendoli così all'uso comune, chiedendo quindi la condanna al ripristino dello stato dei luoghi Alla stregua di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la S.C. ha ritenuto che, in mancanza di un titolo contrario, è operante la presunzione di comproprietà di cui all'art. 1117 c.c., trattandosi di pianerottolo inserito nelle scale che conducono, come unica via di accesso, alla copertura dell'edificio condominiale. Nel caso di specie, da un lato, nel titolo non veniva fatta menzione alcuna dei beni controversi, tale da poter far ritenere gli stessi di proprietà esclusiva, dall'altro, con particolare riferimento alla natura e destinazione dei beni, si è verificata la lo loro indiscussa condominialità. Il diritto dei condomini sulle parti comuni. La ragione per cui determinati beni sono destinati all'uso comune va individuata nella natura giuridica del condominio, usualmente ritenuto semplice ente di gestione e non soggetto giuridico dotato di propria personalità. Il fatto, pertanto, che il condominio sia caratterizzato dall'assenza di un unico proprietario impone che alcune parti dell'edificio, necessarie alla sua esistenza, siano fruibili da tutti i condomini, implicando detta circostanza che ciascun condomino abbia un diritto sulle parti comuni proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, ovviamente sempre se il titolo non disponga altrimenti. In particolare, giova ricordare come le parti comuni siano strumentali al godimento delle proprietà solitarie, con conseguente indivisibilità, salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso delle stesse a ciascun condomino e impossibilità per il condomino di sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione attraverso la rinunzia al diritto di comproprietà. L'art. 1117 c.c. elenca in maniera non tassativa, ma solo esemplificativa, una serie di beni che sono da intendersi comuni per presunzione. Detta presunzione deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune. Dalla natura non inderogabile della norma de quo consegue che possono entrare a far parte della comunione anche beni non compresi nell'elencazione e che beni inclusi in quest'ultima possono non essere di proprietà comune. In definitiva, il legislatore ha ammesso la possibilità di una proprietà esclusiva di una o più parti presuntivamente comuni, significando come tale proprietà debba, comunque, essere supportata dall'esistenza di un titolo che dimostri in maniera inequivocabile, senza, pertanto, ombra di dubbio alcuno, l'attribuzione della pretesa proprietà esclusiva. La presunzione di condominialità è vinta sola da specifica previsione contraria del titolo. Chi voglia vincere la presunzione di condominialità ha l'onere di fornire la prova della proprietà esclusiva la disposizione può essere, pertanto, superata se la cosa, per obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo conseguentemente meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, in quanto la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stregua del titolo contrario. In ogni caso, principalmente, la norma può essere derogata dal titolo, ossia da un atto di autonomia privata che espressamente disponga un diverso regime delle parti di uso comune, titolo che può altresì essere costituito, per costante giurisprudenza sul punto, o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o dall'usucapione. Serve un titolo per dimostrare la proprietà esclusiva della parte che si presume comune. L'unico modo, pertanto, per poter affermare la non condominialità è quello di dimostrare, carte alla mano, che quella determinata parte che si assume essere di tutti è in realtà di proprietà esclusiva di uno o più condomini. Nel caso di specie, il negozio di donazione da cui è sorto il condominio non fa alcuna espressa menzione dei beni controversi, scale e ballatoi, tali da poterli così attribuire in proprietà esclusiva del condomino che ha poste in essere le opere oggetto di contestazione. In particolare, il pianerottolo è risultato inserito nelle scale che conducono, come unica via di accesso, alla copertura dell'immobile quest'ultimo, parte comune, attrae conseguentemente in sé ed in tale natura anche il ballatoio pianerottolo connesso alle scale che ad essa conducono.

Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza 3 maggio - 6 luglio 2011, n. 14885 Presidente Settimj - Relatore Giusti Fatto e diritto Ritenuto che E F., proprietario di un appartamento al primo piano di un edificio sito in omissis , ha convenuto E M. , proprietario dell'appartamento al piano superiore, dinanzi al Tribunale di Massa e - assumendo che quest'ultimo aveva edificato su una porzione del pianerottolo e del vano scale, sottraendoli all'uso condominiale - ne ha chiesto la condanna al ripristino dello stato dei luoghi che il convenuto ha resistito in giudizio, rilevando che le porzioni dell'immobile reclamate erano di sua proprietà che il Tribunale di Massa ha rigettato la domanda che la Corte d'appello di Genova, con sentenza depositata in detta 13 maggio 2009, ha accolto il gravame del F.ed ha condannato il M.al ripristino dei luoghi, con demolizione della parte di costruzione edificata sulle parti comuni dell'edificio che, in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che, in mancanza di un titolo contrario, è operante nella specie la presunzione di comproprietà di cui all'art. 1117 cod. civ., trattandosi del pianerottolo inserito nelle scale che conducono, come unica via di accesso, alla copertura dell'edificio condominiale che per la cassazione della sentenza della Corte d'appello il M.ha proposto ricorso, con atto notificato il 9 giugno 2010, sulla base di due motivi che l'intimato ha resistito con controricorso. Considerato che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata nella decisione del ricorso che con il primo motivo violazione e falsa applicazione di norme di diritto si pone il quesito se l'indagine da svolgere per valutare l'esistenza di un titolo valido che consenta il superamento della presunzione di comproprietà del bene comune di cui all'art. 1117 cod. civ. debba o meno essere svolta avendo riguardo al contenuto complessivo dell'atto e tenendo presenti le regole dell'ermeneutica fissate negli artt. 1362, 1363 e ss. cod. civ. ovvero debba limitarsi a riscontrare se nell'atto il bene sia stato espressamente attribuito in proprietà esclusiva che il secondo mezzo denuncia omessa e contraddit-toria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per la mancata considerazione della espressa ed inequivocabile volontà del donante che i motivi - i quali, stante la loro connessione, possono esserci esaminati congiuntamente - sono infondati che il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune che di tali parti l'art. 1117 cod. civ. fa un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa che la disposizione può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario ma principalmente la norma può essere derogata dal titolo, vale a dire da un atto di autonomia privata che, espressamente, disponga un diverso regime delle parti di uso comune Cass., Sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889 che - facendo applicazione di detto principio ed interpretando il negozio di donazione da cui è sorto il condominio - la Corte d'appello ha rilevato che nel titolo non è fatta alcuna menzione espressa dei beni controversi, scale e ballatoio del secondo piano, per attribuirli alla proprietà esclusiva del condomino che ha compiuto le opere in contestazione e che, dal punto di vista della natura e della destinazione, il pianerottolo è inserito nelle scale che conducono, come unica via di accesso, alla copertura dell'immobile , con la conseguenza che la copertura dell'edificio, parte comune, attrae in sé, ed in tale natura, anche il ballatoio-pianerottolo connesso alle scale che ad essa conducono che l'interpretazione del titolo negoziale, essendo sorretta da una motivazione congrua, immune da vizio logico o da errori di diritto, è incensurabile in questa sede che il ricorso, al di là del richiamo anche alla violazione e falsa applicazione di norme di legge, si risolve in una critica del risultato raggiunto dal giudice del merito e nel contrapporre alla interpretazione della donazione data da questo giudice la diversa ermeneusi sostenuta e ritenuta esatta dalla parte che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.