I clienti dell'albergo scappano per le campane moleste e il Comune paga

Ammesso il risarcimento per il mancato uso delle camere d'albergo, dovuto alle immissioni sonore di una fastidiosa torre municipale, ma solo limitatamente alla stagione estiva.

Le campane comunali suonano troppo e i clienti scappano dall'albergo confermato il risarcimento dei danni per la stagione estiva rovinata, ma per estendere le pretese risarcitorie anche a un periodo anteriore e più ampio serve la prova del pregiudizio. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14892, depositata il 6 luglio. La fattispecie. Il gestore di un albergo chiedeva al Tribunale il risarcimento dei danni subiti a causa dell'eccessivo scampanare della torre municipale, che aveva tenuto lontani i clienti. Con sentenza parziale, il Comune veniva condannato al pagamento di una somma a titolo di danno morale, somma che veniva in seguito integrata dal danno patrimoniale, relativo alla sola stagione estiva, compromessa dalle immissioni sonore. La Corte d'Appello rigettava l'impugnazione del gestore dell'hotel, che chiedeva il ristoro dei danni per un periodo più ampio, relativo anche agli anni precedenti si arrivava quindi in cassazione. Stagione estiva rovinata. Nelle fasi di merito risulta appurato il danno, sia morale che patrimoniale, derivante dall'inquinamento acustico provocato dalle campane comunali legittima, quindi, la condanna al risarcimento, così come giustificata la regolamentazione, operata dal Tribunale, dell'orario di funzionamento dell'apparecchio campanario. Per il resto dell'anno invece manca la prova del pregiudizio. Ciò che viene contestato dal titolare dell'albergo è l'ambito temporale coperto dal risarcimento, limitato dalla sentenza impugnata alla sola stagione estiva, nella quale di solito si registrava il tutto esaurito e che, invece, proprio a causa del rumore molesto, vedeva numerose camere rimaste vuote. I giudici di merito hanno rilevato la mancanza di una prova idonea in ordine all'addebitabilità alle immissioni sonore del mancato uso delle camere d'albergo durante il resto dell'anno. Il ricorrente, insomma, non sarebbe riuscito a dimostrare che l'assenza di clienti durante l'anno fosse imputabile al pregiudizio derivante dal lamentato inquinamento acustico. E, sul punto, la S.C. non può che confermare questa valutazione, che appare congrua, motivata e priva di vizi o difetti logico-giuridici. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 aprile - 6 luglio 2011, n. 14892 Presidente Schettino - Relatore D'Ascola Fatto e diritto Nel 1990 G C., gerente di un albergo in omissis , si doleva davanti al tribunale di Savona delle immissioni sonore causate dalle campane della torre municipale. Con sentenza parziale del 1997 il tribunale regolamentava l'orario di funzionamento dell'apparecchio campanario e condannava il convenuto Comune di Noli al pagamento di nove milioni di lire a titolo di danno morale. Nel dicembre 2002 il danno patrimoniale veniva accordato per il periodo dal 7 agosto 1989 al 30 settembre 1989 in circa 18.000 Euro. L'appello della C., relativo alla limitazione temporale del risarcimento del danno, reclamato con decorrenza dal 1981, alla quantificazione del risarcimento e alle spese di lite, veniva respinto il 7 aprile 2005 dalla Corte di appello di Genova. La Corte negava che il passaggio motivazionale della prima sentenza del tribunale, relativa al danno non patrimoniale, potesse vincolare il tribunale quanto alla individuazione del periodo al quale riferire il risarcimento e rilevava la novità della domanda relativa al danno patito negli anni precedenti. Confermava che ineccepibilmente il tribunale aveva rilevato la mancanza di prova in ordine alla addebitabi1ita alle immissioni del mancato uso della camere di albergo per tutto l'anno, e non per il solo periodo estivo nel quale si registrava il tutto esaurito. La C. ha proposto cinque motivi di ricorso per cassazione, notificato il 18 ottobre 2005 e illustrato da memoria. Il comune di Noli, oltre a resistere, ha svolto ricorso incidentale, con due censure. Motivi della decisione I ricorsi devono essere riuniti ex art. 335 cpc. Infondatamente il primo motivo invoca la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la sentenza parziale del tribunale di Savona non avesse irrevocabilmente stabilito che doveva essere risarcito il danno patrimoniale verificatosi nel periodo 1981- 1989. La sentenza impugnata ha ben spiegato e la verifica negli atti, per quanto consentita dai profili processuali della doglianza, lo conferma, che la prima decisione di merito ha riguardato soltanto il danno morale. Quanto al danno patrimoniale i giudici non hanno reso alcuna statuizione nel dispositivo, ma hanno rinviato la decisione, ritenendo necessario un approfondimento istruttorie. Come ha chiarito la Corte d'appello, detto approfondimento, anche se poteva sottintendere la volontà di approfondire l'entità della pretesa risarcitoria con riferimento a tutti gli anni oggetto della domanda, non vincolava in alcun modo i giudici davanti ai quali la causa ebbe a proseguire. Acquisiti gli elementi istruttori, che accortezza istruttoria vuole, nei casi dubbi, che riguardino anche i profili incerti, da decidere in sede finale, il tribunale restava libero, in mancanza di precedente statuizione decisoria, esplicita o implicita, di deliberare sul punto. È quindi infondata la premessa del motivo, che vorrebbe far trascendere da istruttoria a decisoria la portata dell'ordinanza di rimessione sul ruolo. Il secondo motivo lamenta insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione con riguardo alla delimitazione del danno patrimoniale al 1989 e sottolinea che tanto nel ricorso ex art. 700 cpc, con cui era stata chiesta tutela cautelare, quanto in un capitolo di prova testimoniale articolato in istruttoria, la ricorrente aveva fatto riferimento all'epoca anteriore al 1989, quale periodo rilevante in causa. Il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, denuncia nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che costituisse inammissibile mutatio libelli l'ampliamento temporale della condotta illecita in ordine alla quale si chiedeva il risarcimento. La censura è proposta sempre sotto il profilo della insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione. Entrambe le censure sono infondate. Va in primo luogo disattesa quella parte del secondo motivo nella quale si sostiene che gravava sul Comune di Noli - al fine di limitare il risarcimento - l'onere di provare l'esatto periodo in cui il dispositivo sonoro era rimasto disattivato. Incombeva invece sull'attrice, che deduceva la sussistenza di un fatto ingiusto lesivo dei suoi diritti, provare con esattezza l'estensione temporale e la dimensione del fenomeno pregiudizievole. Questo rilievo della Corte d'appello si trova nel cuore di una motivazione rigorosa e coerente, con la quale la Corte ha smentito che fosse stata ritualmente introdotta una domanda di risarcimento del danno patrimoniale riferita al periodo decorrente dal 1981. Con attenta analisi lessicale è stato spiegato che negli atti di parte attrice le vicende ante 1989 erano state esposte a titolo di antefatto e non per imperniare su quel periodo la domanda giudiziale. Una domanda siffatta, ove esistente, sarebbe stata comunque viziata da indeterminatezza circa, come si è detto, i tempi di manifestazione del disturbo sonoro e da genericità della capitolazione probatoria, oggetto della doglianza anche in questa sede. La Corte d'appello ha ragionato in termini di interpretazione della domanda espressa in primo grado e tra le tante argomentazioni spese ha aggiunto, in modo determinante e insuperato dal ricorso, che non si spiegherebbe se non con la limitazione cronologica della domanda, in relazione alla effettiva minor portata anteriore delle immissioni, anche il fatto che la C. non avesse assunto negli anni precedenti alcuna iniziativa giudiziaria. Da questa analisi ha inferito che bene aveva fatto il giudice di primo grado a considerare inammissibile domanda nuova la pretesa di ampliare temporalmente la materia del contendere. Mette conto a questo punto osservare che in sede di legittimità viene censurata l'interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa non si verte in tema di violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ma di contestazione dell'interpretazione del contenuto o dell'ampiezza della domanda. Tale attività integra un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione, salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata Cass. 16596/05 ex multis . Orbene, la motivazione resa sul punto è incensurabile, atteso che resiste alle argomentazioni di parte ricorrente, nessuna delle quali è in grado di evidenziarne l'illogicità, né di esaurire gli spunti che la sorreggono. Giova aggiungere in proposito che non ha particolare rilevanza che la controparte non abbia specificamente eccepito la novità della domanda, posto che l'ampliamento rimaneva affidato a elementi ambigui, quali le deduzioni istruttorie, come ancora si evince dall'odierno ricorso pag. 18 , sicché la parte convenuta non aveva interesse alcuno a esplicitare un profilo che poteva per lei essere soltanto fonte di incertezze. L'esito dei primi tre motivi porta con sé il rigetto anche degli ultimi due, che è consequenziale. Essi attengono alla quantificazione del danno preteso per il periodo controverso e alla liquidazione delle spese, che risentiva dell'esito complessivo del processo e quindi del rigetto dell'appello sul punto. Anche il ricorso incidentale deve essere respinto. Nel primo motivo il comune di Noli si duole che la Corte d'appello non abbia rigettato integralmente la domanda risarcitoria della C. , a suo dire assolutamente carente di prova. La seconda doglianza attiene alla mancata compensazione delle spese di primo grado. La censura critica in modo inammissibile la valutazione dei fatti di causa resa dal giudice di merito. Essa è infatti confezionata alla stregua della mera richiesta di rivisitazione del merito della causa da parte del giudice di legittimità, al quale è precluso l'esame nel merito, se non sotto il profilo del vizio di motivazione. Non sussiste la lamentata omessa motivazione circa l'assolvimento dell'onere della prova sulla quantificazione del danno. Nel rispondere a parte appellante principale in ordine a detta liquidazione, il giudice d'appello ha esaminato gli elementi disponibili pag. 15 e 16 , quali la c.t.u e la deposizione di S.G. Ha quindi motivato sufficientemente circa la sussistenza di prova del danno. La doglianza che sarebbe stata avanzata con l'appello incidentale, circa la mancata prova del danno in primo grado e il mancato accertamento da parte del tribunale, è stata quindi implicita materia di esame e aveva costituito oggetto di inequivocabile verifica. Di qui la reciproca soccombenza in appello, esplicitamente posta a base della compensazione delle spese del secondo grado di giudizio. Quanto alla mancata compensazione delle spese del primo grado, il rigetto della pretesa di parte Noli trovava risposta apparentemente priva di motivazione, ma in realtà implicita e inequivocabile, nella circostanza che la sentenza definitiva del tribunale aveva il potere di addebitare le spese secondo la regola della soccombenza, addebitabile al comune, a carico del quale era stata riconosciuta la sussistenza della violazione e l'obbligo di risarcire il danno morale e, sia pure in parte, quello patrimoniale. Discende da quanto esposto il rigetto di entrambi i ricorsi. La preponderanza del rigetto del ricorso principale, attinente a più ampia materia del contendere, induce alla condanna della ricorrente alla refusione delle spese di lite. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.