Videosorveglianza legittima, ma solo con il consenso di tutti i comproprietari

di Alessandro Gallucci

di Alessandro Gallucci * Il Tribunale di Varese, con l'ordinanza interlocutoria n. 1273 dello scorso 16 giugno, è tornato ad occuparsi dell'intricata ed incerta vicenda dell'installazione ad opera d'un singolo condomino d'un impianto di videosorveglianza capace di riprendere immagini su parti di proprietà comune e, almeno in parte, pure su zone di esclusiva pertinenza di altri condomini. La domanda cui il giudice varesino ha dovuto dare risposta è la seguente è lecito tutto ciò? La risposta, giunta a seguito d'un articolato ma condivisibile iter motivazionale, è stata negativa. Comprendere il perché di questa decisione vuol dire prima di tutto prendere atto del grave vuoto normativo su una materia che coinvolge diritti di rango costituzionale. Vale la pena andare per ordine. Il fatto. Marito e moglie, proprietari di un'unità immobiliare ubicata in un condominio, decidevano, a fini di sicurezza in quanto avevano subito atti vandalici e tentativi di effrazione d'installare un impianto di videosorveglianza per la tutela del loro appartamento. Gli altri condomini si opponevano. Secondo questi ultimi, infatti, non solamente l'impianto riprendeva parti comuni ma, per le modalità d'installazione, era inevitabile che seppur minimamente inquadrasse anche parti di proprietà esclusiva. In queste condizioni, concludevano, veniva ad essere leso il loro diritto alla riservatezza. Chi ed a che condizioni può decidere d'installare un impianto di videosorveglianza delle parti comuni di un edificio in condominio? Per dare risposta a questa domanda il magistrato giudicante ha dovuto fare il punto della situazione normativo giurisprudenziale in materia di videosorveglianza, riprendere il concetto di condominio dal punto di vista del diritto reale e dei profili gestori e correlare le due fattispecie per giungere ad una soluzione. In primis nell'ordinanza s'è esclusa la rilevanza penale dell'installazione su iniziativa del singolo condomino poiché l'esposizione alla vista di terzi di un'area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in concreto, inaspettatamente, realizzate e perciò riprese . Sebbene il fatto non abbia rilevanza penale, ciò non vuol dire che non si debbano seguire delle regole sotto altri profili per consentire una regolare installazione. È diritto d'ognuno che nessun altro, quale che ne siano le motivazioni, riprenda il suo comportamento mentre percorre quegli spazi comuni che dal garage lo portano a casa. Infatti, dice il giudice adito, la tutela della riservatezza che, per certi versi, trova copertura costituzionale nell'art. 14 Cost. non si sostanzia solamente nel diritto a vedere esclusi terzi dal proprio domicilio ma anche nel diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi . Se il fine è la sicurezza, si legge nel provvedimento in esame, essa può essere garantita con altri mezzi. Tutto ciò poiché, per quello che è lo stato attuale, non esiste una legge che disciplini le modalità di videosorveglianza delle parti comuni di un edificio. Né, prosegue il Tribunale, si pensi che una simile decisione possa essere adottata in ambito condominiale. La compagine, infatti, altro non è che un gruppo di persone che gestiscono ed amministrano nei modi e nei termini indicati dalla legge le parti dell'edificio interessate dal c.d. diritto di condominio. In quest'ottica, nemmeno l'assemblea ha competenza a decidere sull'installazione d'un impianto di videosorveglianza relativamente alle parti comuni dell'edificio. Alla luce di queste considerazioni e ribadendo l'assenza di norme disciplinanti la materia, secondo il giudice deve concludersi che il condomino non abbia alcun potere di installare, per sua sola decisione, delle telecamere in ambito condominiale, idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini . Spingendosi oltre il Tribunale lombardo ribadisce come nemmeno il Condominio abbia la potestà normativa per farlo, eccezion fatta per il caso in cui la decisione sia deliberata all'unanimità dai condomini, perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti . Una regolamentazione della materia è assolutamente necessaria. L'ha chiesto il Garante della privacy e l'ha evidenziato il giudice adito in questo provvedimento. Non è concepibile, in un moderno stato di diritto, che la regola possa essere scritta da chi è chiamato ad interpretarla. * Avvocato