Il dermatologo resta! A nulla vale il regolamento contro le malattie infettive

Non basta che il regolamento condominiale vieti gabinetti di diagnosi e cura di malattie infettive o contagiose per far dichiarare l'illegittimità della destinazione dell'appartamento a studio medico dermatologico.

Non basta che il regolamento condominiale vieti gabinetti di diagnosi e cura di malattie infettive o contagiose a far scattare l'illegittimità della destinazione dell'appartamento a studio medico dermatologico. È quanto emerge dalla sentenza n. 14460 del 30 giugno, con cui la Seconda sezione Civile accoglie il ricorso avanzato da un dermatologo. La fattispecie. Sia in primo che in secondo grado, veniva dichiarata come illegittima la destinazione dell'appartamento di proprietà del medico-condomino a suo studio professionale. I giudici di merito interpretavano alla lettera quelle disposizioni del regolamento condominiale che vietavano di destinare gli appartamenti condominiali a gabinetti di diagnosi e cura di malattie infettive o contagiose, includendovi l'attività svolta dal medico specializzato in dermatologia, includendo nel suo ambito anche la diagnosi e cura di malattie parassitane, provocate da insetti, da funghi microscopici e da microbi, facendo conseguire alle malattie infettive o contagiose l'illegittimità della destinazione dell'immobile di proprietà del condomino a studio medico dermatologico. Contro questa decisione il dottore ricorre per cassazione. La singola clausola non può essere interpretata alla lettera. Per ribaltare il verdetto di merito, la Suprema Corte muove dall'interpretazione del contratto ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. Non solo. Non sempre l'esatto significato delle parole utilizzate corrisponde alla volontà dei contraenti. Può anche accadere che l'esatto significato lessicale delle espressioni adoperate non sempre corrisponde all'intenzione comune delle parti allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico-scientifico, che rimandi ad una branca dello scibile umano non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. Ne deriva che, salvo una precisa e comune volontà delle parti di rinviare all'esatta valenza semantica propria di determinate nozioni specialistiche, l'interpretazione letterale deve essere contestualizzata in maniera da scontare una ragionevole approssimazione alla materia richiamata. Diversamente, ne risulterebbe vulnerata la stessa portata soggettiva del canone d'interpretazione letterale, in quanto l'espressione indagata non sarebbe più storicizzabile, ma risulterebbe sostituita da un dato oggettivo e astratto e per di più potenzialmente mobile dipendente non dalla comune intenzione delle parti, ma da fattori significanti ad esse sostanzialmente estranei. La clausola che parla di gabinetto di cura malattie infettive o contagiose va interpretata in un più ampio contesto. Nel caso in esame, conclude la S.C., la sentenza impugnata si è limitata a interpretare la sola espressione malattie infettive o contagiose, tralasciando l'indagine sul restante contesto letterale ha decontestualizzato il richiamo contenuto nel regolamento a nozioni di carattere medico, ricavando le proprie conclusioni unicamente dalla circostanza astratta che anche le malattie contagiose possono rientrare nell'ambito di competenza della dermatologia e non ha accertato quale fosse l'effettiva destinazione dell'immobile, traendo quest'ultima non da un elemento di fatto concreto, ma solo dalla specializzazione medica di cui è in possesso il proprietario, dato insufficiente in assenza di una complessiva interpretazione della clausola che parla di gabinetto di cura malattie infettive o contagiose .