Il figlio muore in un incidente stradale: il danno esistenziale va provato

Il danno non è mai automatico sui genitori incombe l'onere di provare che il decesso dell'unico figlio ha sconvolto la loro vita, anche nelle relazioni con il mondo esterno.

Il pregiudizio esistenziale derivante dalla perdita di un congiunto consiste in fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita e deve, in ogni caso, essere provato da chi intende chiederne il ristoro. È quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10527/11, depositata il 13 maggio. La fattispecie. In un sinistro stradale rimane ucciso un ragazzo di 19 anni, unico figlio di una coppia che chiede, quindi, il risarcimento dei danni subiti. In appello i genitori ottengono una liquidazione maggiore rispetto all'importo stabilito in primo grado, ma propongono ricorso per cassazione, sostenendo che i giudici di merito non hanno accolto la loro domanda di risarcimento del danno esistenziale. Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nell'affermare che il pregiudizio non patrimoniale da loro rivendicato costituirebbe un duplicato del danno biologico iure proprio, già riconosciuto in sentenza. Vanno evitate duplicazioni risarcitorie. Sul punto, il Collegio afferma che si devono evitare duplicazioni risarcitorie, sussistenti quando lo stesso aspetto venga computato più volte sulla base di diverse formali denominazioni, ma precisa che ciò non avviene quando, invece, la liquidazione copre i diversi aspetti negativi che sono causalmente originati dal fatto illecito. Ma non si può ignorare il danno esistenziale. Qualora la liquidazione del danno non patrimoniale sia stata estesa espressamente anche ai profili relazionali, nei termini propri del danno esistenziale, deve escludersi la possibilità di aggiungere un'ulteriore importo a titolo specifico di tale voce di danno. Ma se, come nel caso in esame, tali aspetti relazionali non sono stati presi in considerazione, dal relativo ristoro non si può prescindere. Secondo il Collegio, la Corte territoriale pur affermando di aver tenuto conto anche dei profili relazionali nella liquidazione del danno non patrimoniale, dimostra di non aver adeguatamente considerato il danno esistenziale, facendo invece riferimento soltanto a una depressione dell'umore e delle funzioni vitali dei genitori ed escludendo, così, gli aspetti propri del pregiudizio c.d. esistenziale. Bisogna fornire la prova del danno. Tuttavia, il danno esistenziale non è mai in re ipsa, come semplice conseguenza del danno subito a seguito del sinistro, ma deve essere allegato e provato dal danneggiato. Ammesse le presunzioni. La Corte ammette che assume rilievo anche la prova presuntiva, poiché si tratta di pregiudizi, non biologici, a beni immateriali la prova del danno non patrimoniale da uccisione dello stretto congiunto può essere raggiunta anche a mezzo di presunzioni, che facilitano l'assolvimento dell'onere della prova, trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria. In cosa consiste il pregiudizio esistenziale? I ricorrenti lamentano un danno che ha inciso, in modo devastante e irreparabile, sulla qualità della loro vita e della loro esistenza, ma non hanno fornito adeguata prova di tale situazione. Il pregiudizio da perdita del rapporto familiare, secondo i giudici di legittimità, consiste non tanto nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, quanto piuttosto in fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che devono essere riscontrabili dalle allegazioni fornite dai danneggiati. Il danno, quindi, è risarcibile se viene allegata la degenerazione della sofferenza in obiettivi profili relazionali. Poiché nel caso in esame i ricorrenti non hanno fornito adeguata prova del danno lamentato, il ricorso è, nell'opinione del Collegio, da rigettare.