Prima ricevono in dono la casa, poi si rifiutano di pagare il funerale: liberalità revocata

La risoluzione dell'atto di donazione opera di diritto, se i donatari si rifiutano di pagare il funerale ai donanti l'onere di assistenza - espressamente sancito - rimane inadempiuto.

La risoluzione dell'atto di donazione opera di diritto, se i donatari si rifiutano di pagare il funerale ai donanti l'obbligo, espressamente sancito, rimane inadempiuto. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, che - con la sentenza n. 9330 depositata il 26 aprile - ha rigettato il ricorso avanzato dai donatari. La fattispecie. Due coniugi donavano la propria casa, con l'obbligo, però, per i donatari di assisterli per tutta la loro vita e di sostenere le spese per i loro funerali, stabilendo espressamente che il venir meno anche di una sola di tali obbligazioni avrebbe comportato la risoluzione di diritto dell'atto di donazione. Ed infatti, accadeva che, pochi giorni dopo dall'atto, deceduta la signora, gli obbligati avevano rifiutato di sostenere le spese funerarie e di sepoltura, affrontate poi dal donante. Citati in giudizio i donatari, l'uomo chiedeva che la donazione fosse dichiarata risolta in ragione dell'inadempimento dei donatari. Donazione con l'obbligo per i donatari di pagare i funerali. Se, in primo grado, il Tribunale rigettava la domanda, la Corte d'appello riformava tale decisione, dichiarando la risoluzione dell'atto di donazione per inadempimento dell'onere l'atto di donazione prevedeva un onere di assistenza e di esborsi a carico dei donatari che essi non avevano adempiuto per loro colpa, sicché del tutto legittimamente il donante si era avvalso della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto stesso. L'onere di assistenza rimane inadempiuto. Invano, i donatari ricorrono per cassazione. Infatti, la S.C. conferma quanto deciso dal giudice di seconde cure, che ha correttamente dichiarato risolta la donazione per inadempimento dell'onere di assistenza previsto dall'atto e per la cui inosservanza era espressamente stabilita la risoluzione di diritto del contratto, prescindendo così dalla natura remuneratoria o meno della donazione, incentrandosi invece sul carattere modale. La liberalità non ha natura remuneratoria. Inoltre, il carattere remuneratorio della liberalità viene escluso dal fatto che i donatari non avevano assistito i due coniugi in epoca precedente alla donazione per un lasso di tempo apprezzabile ad evidenziare l'intento remunerativo. La stessa previsione della risoluzione dell'atto per inadempimento dell'onere smentisce poi l'assunto della prevalenza nel contratto dell'intento remunerativo. Donazione remuneratoria per il passato, modale per il futuro. Tale qualificazione è di per sé sufficiente ad escludere la tesi dell'inapplicabilità della disciplina della donazione modale, la quale prevede espressamente la risoluzione della donazione in caso di inadempimento dell'onere, se espressamente prevista nell'atto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 marzo - 26 aprile 2011, n. 9330 Presidente Settimj - Relatore Bertuzzi Svolgimento del processo M.D. convenne in giudizio A.S. e T.M.G. esponendo che con atto notarile del 22 giugno 1988, unitamente alla propria moglie G.R., aveva donato ai convenuti la propria casa di abitazione sita in omissis , con obbligo per i donatari di assistere e servire i donanti per tutta la loro vita e di sostenere le spese per i loro funerali e sepoltura, stabilendo espressamente che il venir meno anche di una sola di tali obbligazioni avrebbe comportato la risoluzione di diritto dell'alto di donazione, e che, deceduta la propria moglie, dopo pochi giorni dall'alto, i donanti avevano rifiutato di sostenere le spese funerarie e di sepoltura, che pertanto egli stesso aveva dovuto affrontare. Tanto precisato, chiese che la donazione fosse dichiarata risolta in ragione dell'inadempimento dei donatari. I convenuti si opposero alla domanda, sostenendo di essersi offerti di pagare le spese funerarie e di sepoltura ma che l'offerta era stata rifiutata dal M. , che li aveva anche estromessi dalla casa. Deceduto l'attore, con distinto atto di citazione A.S. e T.M.G. chiesero a M.R., crede universale di M.D., il rilascio dell'abitazione loro donata ed il pagamento dei frutti. Riunite le cause, il Tribunale di Agrigento le decise rigettando la domanda di risoluzione della donazione e condannando M.R. al rilascio dell'immobile e A.S. e T.M.G. al pagamento in favore della convenuta della somma di L. 5.297.000. Proposto appello principale dalla M. e incidentale da A. e T. , con sentenza n. 789 del 3 giugno 2005 la Corte di appello di Palermo, in totale riforma della decisione di primo grado, dichiarò la risoluzione dell'atto di donazione per inadempimento dell'onere e, per l'effetto, rigettò anche la domanda dei donatari di rilascio dell'immobile. A sostegno di tale decisione, la Corte, premesso in fatto che l'attività di assistenza dei donatari era iniziata solo qualche giorno prima dell'atto, il che ne escludeva l'intento remuneratorio, affermò che l'atto di donazione prevedeva un onere di assistenza e di esborsi a carico dei donatari che essi non avevano adempiuto per loro colpa, sicché del tutto legittimamente il donante si era avvalso della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto stesso. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 17 ottobre 2005, ricorrono A.S. e T.M.G., affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso M.R Motivi della decisione Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell'art. 770 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato la risoluzione della donazione per asserito inadempimento dell'onere. Sostengono al riguardo i ricorrenti che l'atto di donazione per cui è causa aveva, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a qua, una prevalente natura remuneratoria, oltre che modale, come riconosciuto dalla stessa M.R. nel proprio atto di appello e come risultava dallo stesso atto, in cui la cessione del bene era motivata dalla considerazione dei servizi giù ricevuti e da ricevere dai donatari, atteso che l'assistenza degli stessi in favore dei donanti risaliva al 1983. La Corte territoriale non ha a tal fine considerato che. ai fini del carattere remuneratorio della donazione, occorre far riferimento solo all'intenzione del donante e che esso non rimane escluso dalla sproporzione del valore del donatimi rispetto ai servizi resi dal donatario né dall'eventuale apposizione di un onere o modus. Il motivo è infondato. la Corte territoriale ha dichiarato risolta la donazione per inadempimento dell'onere di assistenza previsto dall'atto e per la cui inosservanza era espressamente stabilita la risoluzione di diritto del contratto. La statuizione di risoluzione impugnata prescinde pertanto, nelle sue premesse giuridiche, dalla natura remuneratoria o meno della donazione, incentrandosi invece sul carattere modale della stessa. In base alla disciplina dettata dal codice civile, del resto, la donazione remuneratoria ha si una disciplina particolare per determinate effetti, non essendo revocabile per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli art. 805 , non comportando obbligo di alimenti art. 437 e rispondendo il donante anche per l'evizione art. 797 , ma per tutto il resto segue la disciplina generale della donazione. Né il ricorso illustra le ragioni per cui, premessa l'incontestata apposizione dell'onere e la previsione della risoluzione dell'atto in caso di suo inadempimento, la concorrente natura remuneratoria della donazione impedirebbe l'operatività della clausola risolutiva espressa ritenuta operante ed applicata dal giudice. A ciò si aggiunga che l'esclusione del carattere remuneratorio dell'atto appare motivato dal giudice in forza di un accertamento di fatto che ha negato che i donatari avessero prestato assistenza ai donanti in epoca precedente alla donazione per un lasso di tempo apprezzabile ad evidenziare l'intento remunerativo, accertamento che non risulta censurato dai ricorrenti. La stessa previsione della risoluzione dell'atto per inadempimento dell'onere smentisce poi l'assunto della prevalenza nel contratto dell'intento remunerativo. 11 secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell'art. 1456 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto valida la clausola risolutiva espressa contenuta nell'atto di donazione. Tale clausola, infatti, ad avviso dei ricorrenti, è del tutto incompatibile con il carattere remuneratorio della donazione e doveva essere interpretata, nel caso di specie, come mera clausola di stile, come tale priva di reale efficacia. Si aggiunge che l'inadempimento del modo apposto in una donazione non può portare alla risoluzione di diritto dell'atto in forza di clausola risolutiva espressa, in quanto l'ordinamento ha voluto sottrarre la donazione alla disciplina generale dettata in materia di risolubilità del contratto. Infine i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui li ha ritenuti inadempienti agli obblighi derivanti dall'onere posto a loro carico. Anche questo motivo è infondato. Gli stessi ricorrenti ammettono che la donazione per cui è causa era remuneratoria e modale, affermazione da intendersi nel solo senso logico possibile che essa era remuneratoria per il passato e modale per il futuro. Questa qualificazione dell'atto è di per sé sufficiente ad escludere la tesi del ricorso circa l'inapplicabilità della disciplina della donazione modale, la quale - rispondendosi così anche alla seconda censura - prevede espressamente la risoluzione della donazione in caso di inadempimento dell'onere, se espressamente prevista nell'atto. In ordine poi all'assunto secondo cui la previsione contrattuale che prevedeva, com'e pacifico, la risoluzione della donazione per inadempimento del modus fosse una mera clausola di stile, va osservato che il relativo accertamento del giudice di merito, che ha invece affermato l'effettività della clausola, costituisce apprezzamento di fatto, censurabile in cassazione solo sotto il profilo della violazione delle norme interpretative del contratto e del diletto di motivazione, vizi che nella specie il ricorso non solleva. Inammissibile appare, infine, la censura che contesta l'accertamento del giudice di merito in ordine alla sussistenza dell'inadempimento dell'onere da parte dei donatari, dal momento che esso introduce un sindacato di fatto non consentito in sede di legittimità se non sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.