Non è responsabile l’avvocato che investito del solo mandato a gestire la fase stragiudiziale non interrompa la prescrizione

In assenza di prova del conferimento di un mandato difensivo ad introdurre il giudizio, l’avvocato che sia stato investito verbalmente del solo incarico di componimento della trattativa stragiudiziale non è responsabile della mancata interruzione del termine di prescrizione.

Così la Cassazione con ordinanza n. 13858/20 depositata il 6 luglio. L’attore citava in giudizio l’ avvocato chiedendo che venisse accertata la sua responsabilità professionale in ordine al mandato difensivo conferitogli in occasione di un sinistro stradale che lo aveva reso vittima di lesioni. In particolare, l’attore lamentava che l’avvocato, dopo aver inviato due lettere raccomandate alle compagnie assicuratrici, si era disinteressato alla pratica omettendo di interrompere il termine della prescrizione . La Corte d’Appello, nel confermare la decisione del Tribunale di rigettare la domanda attorea, riteneva che all’avvocato non era stato conferito il mandato ad introdurre il giudizio ma solo quello a gestire la fase stragiudiziale e, pertanto, in mancanza della procura alle liti, ad egli non spettava il compito di interrompere il termine della prescrizione. Adita la Cassazione , i Giudici di legittimità affermano che il dovere di interrompere la prescrizione riguardava solo la fase stragiudiziale oggetto dell’incarico verbale poiché, in assenza di prova del conferimento di un mandato difensivo a introdurre il giudizio, l’avvocato non avrebbe avuto l’ulteriore onere di diligenza di informare il cliente sulle circostanze utili a salvaguardare la sua posizione. E tale assenza di prova, secondo la Corte, è confermata dal fatto che lo stesso ricorrente aveva più volte esitato riguardo la scelta di intraprendere o meno il giudizio. La Corte d’Appello ha dunque correttamente ritenuto che il professionista non aveva l’obbligo di interrompere la prescrizione e ciò in virtù del fatto che il mandato conferitogli verbalmente riguardava solo il componimento stragiudiziale della controversia e non anche l’incarico di coltivare, in caso di insuccesso della trattativa stragiudiziale , la successiva ed eventuale causa civile nei confronti dei responsabili e dei rispettivi assicuratori . Pertanto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 17 gennaio – 6 luglio 2020, n. 13858 Presidente Travaglino – Relatore Positano Rilevato che con atto di citazione del 23 settembre 2013, E.K.F. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Mantova, l’avvocato R.M. deducendo di avere subito lesioni in occasione dell’incidente stradale del omissis , allorché viaggiava, come trasportato, nell’autovettura condotta da un amico, responsabile di avere investito un’altra autovettura. Aggiungeva di avere conferito verbalmente un mandato difensivo al professionista per essere assistito. L’avvocato, dopo avere inviato due lettere raccomandate alle due compagnie di assicurazione si sarebbe disinteressato della pratica, omettendo di interrompere il decorso del termine di prescrizione, circostanza appresa successivamente da altro difensore, dopo avere revocato il mandato all’avvocato R. . Chiedeva pertanto accertarsi la responsabilità professionale del convenuto, condannarlo al risarcimento del danno pari all’ammontare delle somme che avrebbe potuto ricevere a titolo di risarcimento del danno, riferito ad una invalidità permanente del 9%. Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto della domanda, ricostruendo diversamente i fatti, e rilevando che, a seguito del sinistro e delle richieste inviate agli assicuratori, aveva ricevuto una offerta stragiudiziale per chiudere il danno pari ad Euro 1000, sottoposta al cliente. Questi si sarebbe riservato di decidere, senza poi fornire alcuna ulteriore risposta. Inoltre l’attore, che era già assistito con riferimento a un precedente e più grave incidente, avrebbe ricevuto direttamente l’indennizzo erogato dall’Inail, per tale precedente sinistro, senza corrispondere alcunché, nè all’avvocato, nè al consulente di parte il Tribunale di Mantova con sentenza del 22 marzo 2016 rigettava la domanda ritenendo non provato l’inadempimento del professionista avverso tale decisione proponeva appello E.K.F. e si costituiva l’avvocato chiedendone il rigetto. Con l’impugnazione si deduceva che il Tribunale avrebbe pronunziato sulla condotta omissiva in generale del professionista e non sull’unica rilevante costituita dalla mancata interruzione del termine di prescrizione che rappresentava, peraltro, un onere richiesto al professionista ai sensi dell’art. 1176 c.c La circostanza di non aver avvisato il cliente della necessità di interrompere il termine di prescrizione eventualmente anche dopo la richiesta del cliente di restituzione dei documenti relativi al sinistro, costituirebbe un evidente profilo di responsabilità secondo la Corte d’Appello, poiché al difensore non era stato conferito il mandato ad introdurre il giudizio, ma solo a gestire la fase stragiudiziale, il compito dell’avvocato non prevedeva anche l’interruzione del termine di prescrizione, poiché al mandato verbale non seguì un incarico scritto, con relativa procura alle liti, per intraprendere il giudizio. Pertanto, la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 20 marzo 2018, rigettava l’impugnazione avverso tale decisione propone ricorso per cassazione E.K.F. affidandosi a sei motivi. Resiste con controricorso R.M. . Considerato che con il primo motivo si lamenta l’omessa pronunzia sul motivo di gravame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Con il secondo motivo di appello l’odierno ricorrente aveva lamentato che il Tribunale non aveva preso in esame il profilo della colpa del convenuto, consistito nell’omessa informazione sulle conseguenze della mancata interruzione della prescrizione. Anche nei confronti di un cliente renitente o silente, il professionista avrebbe dovuto fornire le informazioni sulle conseguenze della perdurante inerzia. Pertanto, se l’avvocato non aveva informato il cliente sulle specifiche conseguenze di ciò, ricorrerebbe un profilo di responsabilità. Rispetto a tale assunto, la Corte di Brescia avrebbe omesso di pronunziarsi. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale il profilo di colpa consistente nella violazione del dovere di informazione prescinderebbe dalla mancanza di prova dell’esistenza di un mandato conferito per introdurre la lite con il secondo motivo si deduce l’erronea valutazione di genericità di uno dei motivi di appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. In particolare, con il quarto motivo di appello l’odierno ricorrente aveva dedotto anche l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal teste A.G. la quale avrebbe confermato che il professionista aveva spiegato al cliente che, se non riteneva satisfattiva l’offerta risarcitoria ricevuta dall’assicuratore, avrebbe dovuto introdurre un giudizio. Rispetto a tale assunto la Corte si sarebbe limitata ad affermare che la teste doveva ritenersi attendibile, per la genericità delle doglianze relative a tale profilo. Tale argomentazione sarebbe errata perché il motivo non era generico o non specifico ai sensi dell’art. 342 c.p.c. con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 1176, 1374 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte avrebbe errato nell’escludere il dovere dell’avvocato di attivarsi per interrompere la prescrizione, non avendo questi ricevuto un mandato difensivo per introdurre il giudizio. Al contrario, anche nel caso di mancato conferimento di un mandato alle liti, sussisterebbe l’obbligo del professionista di attivarsi, in virtù della diligenza prevista all’art. 1176 c.c., comma 2, per salvaguardare gli interessi del cliente. Pertanto, indipendentemente dal tipo di mandato ricevuto, l’avvocato avrebbe dovuto dare esecuzione al dovere primario di non danneggiare le ragioni del cliente con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione l’art. 1722 c.c La Corte avrebbe errato nel ritenere che il mandato ricevuto dal professionista dovesse ritenersi concluso una volta ricevuta la proposta transattiva della compagnia e appreso il rifiuto dell’assistito, che si riservava di decidere se instaurare un giudizio o meno . Tale affermazione sarebbe contraria alla nozione di mandato ai sensi dell’art. 1722 c.c., in quanto l’incarico ricevuto si estenderebbe certamente all’assistenza in favore del cliente nella fase delle trattative con il quinto motivo si lamenta la violazione di artt. 1218, 1722 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Dalla fondatezza del quarto motivo deriverebbe l’erroneità della decisione della Corte secondo cui, esaurito il mandato, spettava all’attore l’onere di provare di avere conferito all’avvocato un ulteriore mandato a proseguire le trattative . Al contrario, l’incarico conferito al difensore non poteva ritenersi esaurito a seguito del rifiuto della proposta transattiva proveniente dall’assicuratore con il sesto motivo si deduce la violazione di artt. 1176 e 1374 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Sarebbe errata l’affermazione della Corte secondo cui l’ulteriore riscontro alla conclusione del mandato verbale risiederebbe nella circostanza che il cliente non aveva dato una risposta tempestiva alla domanda se iniziare un giudizio e non si presentò più allo studio . Tale valutazione, come evidenziato con il secondo motivo, sarebbe fondata su un accertamento di fatto errato, costituito dalla deposizione testimoniale inattendibile. Sotto altro profilo, l’inerzia del cliente non determinerebbe, di per sé, l’interruzione del rapporto professionale e non legittimerebbe la conseguente inattività del difensore rispetto all’onere di interrompere la prescrizione. Si tratterebbe di un silenzio del cliente al quale la legge non attribuisce alcun significato particolare il primo, terzo e sesto motivo possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi e sono infondati. Contrariamente a quanto dedotto, in particolare, con il primo motivo, non ricorre l’ipotesi di omessa pronunzia su un motivo di gravame, e non sono fondate le censure oggetto degli altri motivi in quanto la Corte d’Appello prende in esame il secondo motivo di appello, operando una ricostruzione in diritto secondo cui il dovere di interrompere la prescrizione riguardava solo la fase stragiudiziale oggetto dell’incarico verbale, mentre in assenza di prova del conferimento di un mandato difensivo a introdurre il giudizio, non ricorrerebbe l’ulteriore onere di diligenza relativo all’informazione sulle circostanze utili a salvaguardare la posizione del cliente secondo la Corte ulteriore riscontro fattuale alla circostanza che l’unico mandato conferito riguardava la fase stragiudiziale risiederebbe nel protrarsi della mancata decisione, da parte di E.K.F. , riguardo alla scelta se intraprendere o meno il giudizio e nella successiva inerzia del cliente, anche dopo avere incassato l’indennizzo Inail relativo al precedente giudizio in sostanza la Corte d’Appello ha ritenuto che il professionista non aveva l’obbligo di interrompere la prescrizione e questo perché il mandato conferito verbalmente riguardava solo il componimento stragiudiziale della controversia e non anche l’incarico di coltivare, in caso di insuccesso della trattativa stragiudiziale, la successiva ed eventuale causa civile nei confronti dei responsabili e dei rispettivi assicuratori tali valutazioni consentono di superare le censure oggetto del quarto e quinto motivo, strettamente connessi. La Corte territoriale, sulla base di una ragionevole ricostruzione fattuale, ha circoscritto l’oggetto e l’estensione temporale del mandato professionale incarico che si era chiuso con il rifiuto, da parte dell’assistito, della proposta stragiudiziale effettuata da una delle compagnie di assicurazione all’esito di tale comportamento concludente - secondo la Corte territoriale ogni obbligo contrattuale dell’avvocato doveva ritenersi concluso, in difetto di un nuovo mandato teso a svolgere una ulteriore e differente attività difensiva rispetto a tale argomentazione la censura non è specifica, poiché il ricorrente avrebbe dovuto prendere le mosse dal dato sostanzialmente non contestato dell’esistenza di un mandato verbale, conferito solo per il componimento stragiudiziale della controversia e argomentare che, nonostante tale limitato incarico, gli effetti della diligenza del professionista, si estenderebbero anche alle attività proprie del mandato invero, non conferito relativo all’eventuale instaurazione di un giudizio. Ma tale assunto viene dedotto sulla base di considerazioni assertive senza individuare le norme violate dalla Corte territoriale e senza offrire una lettura diversa dei dati fattuali non contestati il ricorrente, in particolare, nel quarto e quinto motivo, si limita, con una censura non specifica, ad argomentare riguardo alle regole generali di diligenza del professionista anche nell’ipotesi di cliente inerte, ma non affronta il tema specifico del presupposto fattuale e non sindacabile in questa sede, posto a sostegno della decisione della Corte d’Appello, cioè che l’incarico verbale era limitato esclusivamente alla definizione della fase stragiudiziale che, implicitamente e inevitabilmente, cessa nel momento in cui l’unica alternativa possibile, di fronte al rifiuto della proposta transattiva, è quella dell’instaurazione del giudizio di merito pertanto, da ciò discende che la giurisprudenza di legittimità richiamata non è pertinente, perché non riferibile al caso concreto il ricorrente avrebbe dovuto dedurre che il mandato per la fase stragiudiziale non si sarebbe limitato agli 11 mesi decorrenti dal dicembre 2003 epoca del sinistro al novembre 2004, quando, come riferisce la Corte territoriale, il cliente avrebbe rifiutato l’offerta stragiudiziale della compagnia assicurativa il secondo motivo è infondato. La genericità delle doglianze relative al profilo di attendibilità, di cui parla la Corte territoriale, non riguarda la nozione di non specificità del motivo di appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ma attiene al merito delle censure con le quali l’appellante, facendo sostanzialmente leva sul fatto notorio, aveva rilevato che un testimone che fosse contemporaneamente avvocato, collega di studio e soprattutto moglie del convenuto, doveva ritenersi per ciò solo - certamente inattendibile. Tali profili sono stati ritenuti inidonei dalla Corte d’Appello, e il giudizio sull’attendibilità dei testi non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità ne consegue che il ricorso deve essere rigettato le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245 dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.