L’avvocato ha l’onere di avvisare la parte di potersi avvalere del gratuito patrocinio…ma non sempre

La lettera scritta dalla parte, ma dettata dall’avvocato, vale come prova in quanto la dettatura ben può essere considerata come un aiuto a tradurre la volontà della parte in forma scritta. Qualora la parte, nonostante la propria condizione economica, dichiari di volersi rivolgere a un avvocato non iscritto alle liste l’omesso avviso di poter usufruire del gratuito patrocinio non costituisce violazione dell’art. 85 d.P.R. n. 115/02.

Così la Cassazione con ordinanza n. 5710/20, depositata il 2 marzo. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda giudiziale tesa a ottenere la liquidazione degli onorari da parte dell’avvocato nonostante l’ammissione al gratuito patrocinio. A tal proposito il Collegio aveva ritenuto dirimete le comunicazioni avvenute tra la parte e il legale ove l’assistito dichiarava di essere consapevole che l’avvocato non era iscritto alle liste del gratuito patrocinio manifestando la volontà di sostenere in proprio le spese necessarie per l’assistenza. Il riconoscimento di debito vale anche se dettato dall’avvocato. Secondo la ricorrente la lettera ove l’assistito dichiarava di voler pagare le spese nonostante l’ammissione al gratuito patrocinio non aveva alcun valore in quanto dettata dal legale stesso. A dire della Corte tale circostanza non ha alcun rilievo in quanto la dettatura ben può essere intesa come aiuto per meglio tradurre, in forma scritta, la volontà della persona ciò a maggior ragione se si considera che la parte non ha contestato il contenuto della stessa ma solo la modalità di redazione. L’obbligo di informare la parte ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 115/02. Vero è che l’avvocato ha l’obbligo di informare la parte della possibilità di avvalersi del gratuito patrocinio ma tale principio non è stato leso nel caso in esame posto che la parte ha manifestato espressamente la volontà di avvalersi di un avvocato sostenendo in proprio le spese pur essendo stata ammessa al gratuito patrocinio. Inoltre, la decisione della Corte d’Appello, sul punto, è ben motivata e pertanto la Corte non può sindacare la stessa nel merito non essendo possibile considerare la fase di legittimità un terzo grado di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 31 ottobre 2019 – 2 marzo 2020, n. 5710 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione Con decreto ingiuntivo n. 79/06 S.C. intimava a C.G. il pagamento della somma di Euro 11.018,00 oltre interessi legali di mora sino al saldo, spese del procedimento liquidate in Euro 1.085,82, oltre IVA e CPA, per prestazioni professionali. Avverso tale decreto proponeva rituale opposizione C.G. chiedendone la revoca e domandando in via riconvenzionale la condanna alla restituzione di Euro 2.338,59 oltre interessi. Con comparsa di risposta si costituiva S.C. e chiedeva il rigetto dell’opposizione, la conferma del decreto e il rigetto della domanda riconvenzionale. La causa veniva istruita con prove documentali e testimoniali e, al termine dell’istruttoria, il Tribunale di Sassari pronunciava sentenza n. 788/2010 con cui accoglieva le domande attoree, con revoca del decreto ingiuntivo e accoglimento della domanda riconvenzionale. Avverso tale sentenza proponeva appello S.C. per ottenere la riforma della sentenza impugnata, la conferma del decreto ingiuntivo e il rigetto delle domande di C.G. . Si costituiva in giudizio C.G. per contraddire tutte le domande avverse e ottenere conferma totale della sentenza di primo grado. Con sentenza n. 301/2016 la Corte d’Appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari, riformava la decisione di primo grado, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo e la domanda riconvenzionale e condannando C.G. alla rifusione delle spese di lite, di entrambi i gradi di merito, in favore di S.C. . Secondo la Corte territoriale risultavano risolutive due questioni tra loro connesse, ossia la consapevolezza che la S. avesse dell’ammissione della C. al patrocinio a spese dello Stato e la consapevolezza che C.G. avesse circa la non iscrizione dell’avvocato tra i difensori iscritti nell’apposito elenco, nonché la sua volontà di avvalersi dell’opera professionale dell’avvocato sostenendo in proprio le spese, nonostante fosse già beneficiaria di un provvedimento di ammissione. In particolare risultavano decisive, per i giudici di appello, due lettere inviate dalla C. all’avv. S. , dalle quali emergeva chiaramente che la C. fosse a conoscenza che la S. non fosse iscritta nell’albo dei difensori abilitati a gratuito patrocinio, e che si era, nondimeno, rivolta ad essa, consapevole che le spese dovessero essere a suo carico e che tuttavia per improvvisi motivi non poteva più affrontare tali spese, ragion per cui aveva deciso di rivolgersi ad altro legale che pratichi anche il gratuito patrocinio . Concludeva ritenendo che nulla veniva eccepito in ordine all’attività professionale svolta dall’appellante e alla congruità del compenso richiesto, ragion per cui la sentenza appellata veniva riformata, con rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo e della domanda riconvenzionale. Propone ricorso per cassazione C.G. sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso S.C. . Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione od omessa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 167 c.p.c. da parte dell’appellata sentenza, con particolare riferimento alla violazione del principio di non contestazione, e dunque ponendo in essere l’error in iudicando di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. . Secondo la ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare la determinante circostanza per cui la prima missiva era sì stata da lei redatta, ma sotto dettatura della S. tale circostanza avrebbe rilievo decisivo nella vicenda poiché non sarebbe mai stata contestata. Dunque la Corte d’Appello, violando il principio di non contestazione, avrebbe ribaltato la decisione di primo grado sulla base di uno scritto che non poteva più avere valore di prova, quantomeno sfavorevole per parte ricorrente. Con il secondo motivo parte ricorrente eccepisce la violazione od omessa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, comma 2, in relazione alla violazione dell’obbligo informativo da parte dell’Avvocato, non rilevata dalla decisione della Corte Territoriale, che ha dunque posto in essere sia l’error in iudicando che l’error in procedendo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 . Si sostiene che, sulla base di un preciso obbligo scaturente dal codice deontologico, la S. avrebbe dovuto prospettare a C.G. la possibilità di accedere all’istituto del patrocinio a spese dello Stato. La S. non avrebbe dovuto pretendere somme da parte ricorrente, poiché il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, vieta al difensore di percepire somma alcuna dal cliente che benefici del gratuito patrocinio. Al contrario avrebbe dovuto richiedere la liquidazione delle sue competenze poste a carico dello Stato al giudice competente per tutte le pratiche svolte in favore dell’odierna ricorrente, da ritenere tutte coperte da gratuito patrocinio, poiché tra loro connesse. I motivi, che per lo stretto legame che li avvince devono trattarsi congiuntamente, sono entrambi da rigettare. In via preliminare deve rilevarsi l’inapplicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 115 e 167 c.p.c. come richiamate dall’odierna ricorrente, posto che la riforma delle due norme, avvenuta con L. n. 69 del 2009, interessa esclusivamente i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, mentre quelli precedenti seguono le regole vigenti al momento della loro instaurazione. Pertanto i giudici di secondo grado, in ragione della vecchia formulazione dell’art. 115 c.p.c., hanno posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, in particolare le due missive, che non sono risultate contestate sotto l’aspetto della modalità di redazione, ma il cui contenuto resta soggetto al libero apprezzamento del giudice, ed è insindacabile in sede di legittimità. Nel merito si sottolinea che non acquisisce carattere decisivo il fatto che la prima missiva, contenente la revoca dell’incarico all’intimata sia stata scritta sotto dettatura, e ciò alla luce di una duplice considerazione. In primo luogo, la circostanza che la missiva de qua sia stata eventualmente dettata da parte della S. non significa di per sé che il suo contenuto sia inveritiero, ben potendosi ritenere che l’aiuto prestato dal legale in tale occasione fosse funzionale solo alla migliore traduzione della volontà della parte rinunciante in termini giuridicamente corretti. Ma ancor più rilevante è la circostanza che la sentenza di appello, lungi dal fondare la propria decisione sul solo contenuto della prima missiva del 22 novembre 2004, nella quale la C. dichiarava di non volersi più avvalere delle prestazioni della controparte in quanto impossibilitata a sostenere le spese connesse all’incarico professionale, aggiungendo che era suo intento rivolgersi ad altro avvocato presso cui potesse avvalersi dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ha esaminato altresì il contenuto della seconda missiva del 7/4/2005, che la stessa ricorrente non riferisce essere frutto di eventuali interventi della controparte, nella quale, una volta pervenute le richieste di pagamento della S. , la ricorrente, senza far alcun riferimento alla possibilità di avvalersi del beneficio del patrocinio a carico dell’erario, si limitava a contestare l’eccessività delle richieste economiche, avallando in tal modo la convinzione che alla parte fosse ben presente che l’essersi rivolta all’avv. S. implicava che fosse necessario anche sostenere i relativi costi, senza poterli imputare allo Stato. Il quadro probatorio già emergente dal contenuto delle due missive risulta poi ulteriormente arricchito dalla Corte distrettuale con la disamina critica del tenore delle deposizioni testimoniali, evidenziandosi la scarsa attendibilità di quanto riferito dalla sorella della ricorrente circa il contenuto della conversazione avuta alla sua presenza tra le parti, nonché con la inverosimiglianza, nella prospettazione fattuale sostenuta dalla C. , che fossero intervenuti ben due pagamenti, senza sollevare contestazioni, che viceversa, ove la parte avesse confidato sulla fruizione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato, avrebbero dato vita a subitanee contestazioni. Ne deriva che, anche a voler reputare incontestata l’avvenuta redazione della prima missiva sotto dettatura della controricorrente, in ogni caso ciò non implicherebbe la confutazione della complessiva valutazione del quadro probatorio offerta dal giudice di appello, essendo quindi la censura priva del carattere della decisività. La conferma dell’insindacabilità dell’apprezzamento dei fatti compiuti al giudice di merito denota altresì l’infondatezza del secondo motivo, il quale, nel sostenere la violazione dell’obbligo della S. di informare la cliente della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, trascura di considerare che la verifica in fatto operata nella sentenza gravata ha condotto alla conclusione secondo cui la ricorrente era ben consapevole della possibilità offerta dalla legge in favore di chi versasse nelle sue condizioni economiche, ma che aveva comunque preferito avvalersi, sebbene con la conseguenza di doverne sopportare in proprio l’onere, delle prestazioni della S. . Sempre in tale ottica risulta altrettanto evidente l’insussistenza della dedotta violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, che disciplina specificamente l’attività del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato di non richiedere altri compensi oltre quelli liquidati a carico dell’erario, ma che non è invece applicabile alla fattispecie in esame, nella quale il rapporto professionale è stato volutamente instaurato prescindendo dalla possibilità di avvalersi della menzionata ammissione. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.