Accaparramento di clientela: sospeso l’avvocato che ha ingaggiato un investigatore privato per scovare clienti

Confermata la sospensione disciplinare per l’avvocato che aveva ingaggiato un investigatore privato perché telefonasse ad uno degli eredi coinvolti in una complessa vicenda successoria per sapere se avesse già un legale di fiducia e, in caso negativo, se fosse interessato ad un colloquio informativo.

Sul tema la sentenza del Consiglio di Stato n. 74/2019. Il caso. Il COA di Bologna riceveva una segnalazione anonima con cui alcuni avvocati venivano accusati di aver cercato di indurre gli anonimi mittenti, tramite un investigatore privato, ad affidarsi agli stessi in una controversia successoria di rilevante entità. A seguito degli accertamenti avviati dal Consiglio, veniva aperto procedimento disciplinare per violazione dei doveri di probità, dignità e decoro, lealtà e correttezza, oltre che per violazione del divieto di accaparramento di clientela. A seguito dell’irrogazione della sanzione disciplinare, l’avvocato ha proposto ricorso dinanzi al CNF. Sussistenza dell’illecito disciplinare. L’avvocato nega la propria responsabilità osservando che l’illecito contestato non si sostanzia nella mera ricerca di clientela, ma presupporrebbe l’aver compromesso la libera scelta del mandante con promesse ed offerte improprie, elemento che non sussisterebbe nel caso di specie. Ripercorrendo la vicenda, il CNF rigetta la censura e conferma la sussistenza dell’addebito. Deve infatti escludersi ogni dubbio circa il fatto che il rapporto professionale tra l’avvocato ricorrente ed il cliente non sarebbe sorto senza la preventiva opera del procacciatore all’uopo incaricato. Agli atti risulta infatti che l’intermediario verificò telefonicamente se omissis avesse già un legale di fiducia e, in caso negativo, se fosse interessato ad un colloquio informativo , risultando di conseguenza indubbia l’essenziale rilevanza del lavoro svolto dall’investigatore. Inoltre, a nulla vale il richiamo ai principi comunitari della libera concorrenza invocati dal ricorrente. La decisione del COA non ha infatti sanzionato l’esercizio della professione forense in regime di libera concorrenza ma la lesione di tale principio mediante l’inammissibile ricorso a mezzi, strumenti ed azioni vietati dalle regole deontologiche della professione. Regole, va osservato ancora, che valgono per tutti gli iscritti e che debbono essere considerate presidio posto a tutela della libera concorrenza interna. Ne consegue, quindi, che proprio il complessivo comportamento dell’incolpato ha posto in essere quell’effetto distorsivo che la normativa UE sanziona . In conclusione, il CNF rigetta il ricorso.

CNF, sentenza 22 novembre 2018 – 18 settembre 2019, n. 74 Presidente Logrieco – Segretario Capria Fatto La vicenda in esame trae origine, secondo l’assunto della decisione impugnata, da una comunicazione sostanzialmente anonima, in quanto siglata Eredi [AAA]”, ma non sottoscritta, pervenuta al COA il 20 agosto 2012. A mezzo di detta missiva, quattro Avvocati, tra i quali l’odierno incolpato, venivano accusati di aver cercato di indurre gli anonimi” scriventi, per il tramite di un investigatore privato titolare dell’Agenzia [OMISSIS] di Milano e con offerta di rilevanti dazioni in denaro, ad affidarsi ad un diverso difensore nella causa di recupero dell’eredità del titolare della [ALFA] contro la Chiesa Cattolica di Bologna e contro gli altri eredi.”. In sintesi, per meglio comprendere le ragioni dei contenziosi in atto, alla morte di [C.] [BBB], azionista di maggioranza della [ALFA] SpA, avevano fatto seguito le pubblicazioni di cinque testamenti con i primi quattro l’eredità, in assenza di eredi legittimi, veniva integralmente devoluta alla Diocesi di Bologna, con il quinto e cronologicamente ultimo, la medesima eredità appariva invece devoluta al dentista del de cujus. Di qui le reazioni degli eredi legittimari, tra i quali i cd. Eredi [AAA]”, tali per parte materna del defunto, i quali avevano eccepito giudizialmente la falsità di tutte le disposizioni testamentarie. La comunicazione anonima anzidetta era stata poi seguita da altre missive, rispettivamente ricevute il 18 in forma totalmente anonima ed il 25 settembre 2012, quest’ultima siglata Eredi [BBB]” ma sempre non sottoscritta, con le quali si precisava al COA che l’investigatore sopra citato aveva ricevuto dagli Avvocati l’incarico di rintracciare gli eredi di [C.] [BBB] e che uno degli eredi, certo [AAA] [G.], aveva accettato, in presenza di una testimone, i denari che gli erano stati offerti a fronte dell’impegno del medesimo di dividere con gli avvocati quanto ricavato in caso di vincita della causa”. Al riguardo, va osservato che le missive del 20 agosto e del 25 settembre erano state anche recapitate allo Studio Associato dei quattro avvocati accusati, provocando la reazione di tre di loro, i quali, dopo aver informato dei fatti i presunti mittenti, avevano ricevuto dai soli Signori [AAA] due lettere, a mezzo delle quali si negava sia la paternità delle missive accusatorie, sia la conoscenza dei fatti in esse narrati. Per quanto in atti, peraltro, l’Avv. [RICORRENTE], autonomamente, aveva provveduto ad informare il COA, con lettera del 13 settembre 2012, di aver ricevuto l’incarico di assistere il Sig. [G.] [AAA] nella controversia riguardante l’eredità del Sig. [C.] [BBB]”, affermando, nel contempo, l’estraneità dei Colleghi di Studio all’intera questione”. In un secondo momento, con lettera del 21 gennaio 2013 successiva all’informativa ricevuta dal COA il 19 dicembre 2012, aveva altresì contestato nel dettaglio la veridicità degli esposti anonimi, dei quali, unitamente ai Colleghi di Studio, era venuto a conoscenza. In data 20 agosto 2013, il Consiglio territoriale indirizzava all’Avv. [RICORRENTE] l’ulteriore esposto depositato il 1° luglio 2013 dai Sig.ri [D.] [AAA], [E.] [BBB] ed [OMISSIS]. Con tale atto venivano rappresentate nuove circostanze concernenti asseriti comportamenti dell’incolpato, in base alle quali, appresa la revoca dell’incarico conferitogli con procura notarile del 6 novembre 2012, l’incolpato aveva poi convinto il cliente [G.] [AAA], per quanto riferito, a ritirare il pressochè contestuale esposto presentato dal medesimo alla Stazione C.C. di Borgo Panigale. Nel mentre, il COA convocava l’avv. [RICORRENTE] il giorno 2 settembre 2013. Questi, nel corso dell’interrogatorio, svoltosi poi il 3 settembre, affermava - Di aver incaricato un investigatore privato di individuare i possibili eredi di [C.] [BBB] - Di aver così appreso che [G.] [AAA] era l’unico erede che non aveva intrapreso azioni giudiziarie in relazione all’eredità [BBB] - Di aver perciò incontrato il sig. [AAA], il quale gli disse di aver bisogno di un prestito di € 20.000,00 - Di aver assentito a detta richiesta limitatamente al minor importo di € 10.000,00, poi erogato in due distinte occasioni entro il 10 settembre 2012, alle condizioni concordate per iscritto il 15 giugno 2012 - Di aver ricevuto dal [AAA], unitamente all’Avv. [CCC], l’incarico professionale con scrittura privata autenticata del 6 novembre 2012, nella quale si prevedeva che a l’Avv. [RICORRENTE] rinunciava agli interessi pattuiti nell’accordo relativo al prestito b il mandato veniva conferito esclusivamente in ragione della fiducia riposta nell’Avv. [RICORRENTE] medesimo - Di aver previamente fatto accertare dal Dipartimento di salute mentale della ASL di Bologna le piene capacità intellettive del [AAA] - Che l’Avv. [CCC] non aveva in precedenza partecipato alla gestione della vicenda. L’apertura del procedimento disciplinare da parte del COA veniva così decisa, alla luce delle circostanze accertate dal Consigliere relatore, nell’adunanza del 16 settembre 2013 e comunicata a mezzo PEC all’odierno incolpato. Il capo di incolpazione formulato era il seguente Per aver violato i doveri di probità, dignità e decoro art. 5 c.d.f. , di lealtà e correttezza art. 6 c.d.f. , il divieto di accaparramento di clientela art. 19 c.d.f. , avendo incaricato a fine luglio 2012 un investigatore privato al fine di verificare quali tra i pretesi eredi fossero privi di assistenza legale e, all’esito, avendo contattato il sig. [AAA] [G.] per conoscere la sua disponibilità a farsi assistere in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento dell’atto testamentario redatto dal sig. [C.] [BBB] a favore della Curia di Bologna e conseguentemente ottenere dal sig. [AAA] l’incarico professionale di sua tutela quale erede legittimo, avendo a tale scopo offerto somme, allo stesso [AAA] [G.], in evidente connessione con l’incarico poi effettivamente da questi conferito.”. L’avv. [RICORRENTE] affidava la propria iniziale difesa ad una memoria, datata 26 novembre 2013, a mezzo della quale, richiamati nel dettaglio i fatti già esposti nel corso dell’interrogatorio, contestava sia l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 19 c.d.f. previgente, sia l’inesistenza di un rapporto causa/effetto fra le dazioni di denaro ed il conferimento del mandato professionale. Concludeva, peraltro, non esimendosi dall’adombrare una possibile, diversa interpretazione del suo complessivo operato, per cui, qualora il COA ritenesse che il contegno dell’avv. [RICORRENTE] pur se lecito, abbia assunto i caratteri della mera ineleganza od inopportunità”, egli era pronto ad assumersi le responsabilità conseguenti. Per l’effetto, chiedeva quindi di essere mandato assolto, ovvero che gli venisse applicata la sanzione disciplinare minima. Il procedimento davanti al COA L’atto di citazione veniva notificato dal COA il 9 gennaio 2014 per l’udienza del 29 gennaio successivo, poi differita al 19 febbraio 2014. All’approssimarsi dell’udienza, l’incolpato rappresentava la circostanza costituita dalla pendenza nei suoi confronti di diversi procedimenti penali vertenti, a suo parere, sulle medesime circostanze oggetto dell’incolpazione disciplinare, come riteneva dovesse dedursi da un fax manoscritto”, indirizzato al COA di Bologna dal Procuratore Aggiunto in atti . Instava, pertanto, per la sospensione del procedimento. All’udienza, però, il COA non ravvisava con sufficiente chiarezza la dedotta coincidenza dei fatti e dava inizio alla fase istruttoria, interrogando i testi presenti. Il Sig. [G.] [AAA] confermava, dapprima, di aver chiesto ed ottenuto un prestito dall’Avv. [RICORRENTE], poi ricordando di aver revocato a quest’ultimo l’incarico conferito su insistenza della sig.ra [E.] [BBB], mia nipote” e di aver successivamente nominato, su indicazione della medesima e del di lei marito, l’avv. [DDD]. Di detta decisione si era però pentito. Aveva poi precisato di non aver mai incontrato l’investigatore Sig. [EEE] e di aver deciso di conferire il mandato all’Avv. [RICORRENTE] avendolo conosciuto anni prima. [D.] [AAA], invece, dichiarava che era stato lo zio [G.] a contattarlo, perché aveva perso fiducia nel suo avvocato. Per tale ragione, gli aveva consigliato di farsi assistere dall’Avv. [DDD], che già assisteva gli altri parenti nella causa ereditaria. Ha quindi ricordato che lo zio, dopo avergli riferito di aver chiesto e ricevuto dei denari dall’avv. [RICORRENTE], di li a poco aveva cambiato opinione, al punto che, per tale ragione, la famiglia lo aveva condotto dai Carabinieri a confermare ufficialmente le dichiarazioni rese. Aveva poi saputo che lo zio si era riaffidato all’Avv. [RICORRENTE], sicchè, al fine di non essere considerati gli istigatori della revoca del mandato professionale, avevano ritenuto opportuno presentare l’esposto nda quello depositato al COA il 1° luglio 2013 . La testimonianza di [E.] [BBB] o [BBB] ha riguardato i medesimi fatti. Ella, però, ha ricordato ulteriori circostanze, costituite 1 dalle lettere anonime ricevute da lei e dall’Avv. [DDD] in ordine ai denari che erano stai versati a [G.] [AAA] 2 dal fatto che quest’ultimo aveva chiesto a suo marito di preparare la lettera di revoca del mandato 3 dai timori che sarebbero stati espressi da [G.] [AAA] perché i suoi avvocati gli avevano fatto paura e lui voleva protezione” 4 dal rifiuto del loro avvocato di assumere le difese di [G.] [AAA], trattandosi, quest’ultimo, di persona non affidabile. Alla successiva udienza del 7 maggio 2014, il COA dava atto della mancata notifica della citazione a comparire indirizzata all’investigatore [EEE], in quanto sconosciuto, e di non essere in grado di reperire altri indirizzi dello stesso. Per tale ragione, acquisito l’assenso dell’incolpato e del suo difensore, rinunciava al teste riteneva di conseguenza chiusa l’istruttoria e, ascoltate le difese svolte, dichiarava l’avv. [RICORRENTE] responsabile degli addebiti di cui al capo di incolpazione, applicandogli la sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre dall’esercizio della professione forense. Le motivazioni della decisione del COA Il COA, malgrado le rilevate contraddizioni desumibili dalle testimonianze rese, ha ritenuto provati i fatti esposti nel capo di incolpazione essendo stati ammessi a la natura dell’incarico conferito all’investigatore dall’incolpato ed il contatto conseguentemente intervenuto con [G.] [AAA] per il tramite del medesimo b la dazione di denaro eseguita a favore di [G.] [AAA], da ritenersi circostanza del tutto anomala e non giustificabile”, alla luce del rapporto professionale poi instauratosi. I motivi di ricorso L’avv. [RICORRENTE] ha affidato l’impugnazione della decisione succitata ai seguenti motivi. Premesse la ricostruzione dei fatti, l’esistenza di numerose certificazioni medico-legali attestanti la capacità di intendere e volere del Sig. [G.] [AAA], nonchè l’intervenuta archiviazione dei procedimenti penali per circonvenzione di incapace e per tentata estorsione, all’epoca pendenti nei suoi confronti censurato poi il comportamento persecutorio dei diversi esponenti, che, per di più, non si sono astenuti dallo stimolare il clamore mediatico nei suoi confronti, le difese risultano articolate in quattro motivi. Con il primo, si rileva non esservi prova che egli si sia avvalso dell’opera di agenzie o di procacciatori di affari ed anche che l’offerta delle prestazioni professionali non ha esulato dal perimetro della correttezza e del decoro, considerato che è stato lo stesso [AAA] ad affermare di avergli conferito l’incarico in ragione del preesistente rapporto di fiducia. Il secondo motivo contesta la fondatezza dell’equazione dazione di denaro/conferimento incarico, in quanto il COA non ha provato l’esistenza del necessario rapporto di causalità. Al riguardo, infatti, il Consiglio territoriale avrebbe disatteso di valutare le difformi dichiarazioni del [AAA], il quale, anche nel corso delle visite medico-legali alle quali si era sottoposto, ha sempre inteso sottolineare l’indipendenza dei due fatti. Con il terzo motivo, invece, si eccepisce che l’art. 19 del c.d.f. previgente non è compatibile con le forme di azione concorrenziale oggi consentite alla luce del provvedimento AGCOM n. 25154/2014 e della sentenza TAR Lazio n. 8778/2015. Da ultimo, col quarto motivo, censura la gravità della sanzione, in quanto la risonanza mediatica di un fatto non lo rende deontologicamente più grave.”. Per tali ragioni, chiede che venga accertata l’illegittimità della decisione impugnata, con conseguente suo annullamento. In subordine, che la decisione venga parzialmente annullata, con irrogazione della sanzione dell’avvertimento, ovvero, in ulteriore subordine, della censura. Diritto Osserva preliminarmente il Collegio che i fatti esposti nel capo di incolpazione, a ragione dei quali sono state contestate le violazioni dei doveri di probità, dignità e decoro, di cui all’art. 5 del c.d.f. previgente, di lealtà e correttezza, previsti dal successivo art. 6, ed infine del divieto di accaparramento di clientela, normato dall’art. 19 del medesimo c.d.f., hanno trovato piena conferma negli esiti delle dichiarazioni rese dall’incolpato il 3 settembre 2013 al Consigliere delegato del COA. In tal senso si è espresso anche il Consiglio territoriale nell’aprire la parte motiva della propria decisione, poi pervenendo, per ritenuta ineludibile conseguenza, all’accertamento della violazione del divieto di accaparramento di clientela. Le medesime dichiarazioni, riprese anche nel capo di incolpazione, configurano, peraltro, la sussistenza di un’ulteriore violazione, ovverosia quella conseguente dall’infrazione del dovere di non intrattenere rapporti economici con la parte assistita, oggi sanzionata dall’art. 23, comma 3, c.d.f., di contenuto pressochè speculare alla previsione in allora recata dall’art. 35, can. II, c.d.f. previgente. Al riguardo, può ritenersi conferente il secondo motivo di impugnazione. Il ricorrente ha affidato le proprie censure all’accusa di accaparramento al primo ed al terzo motivo di ricorso, dianzi richiamati nelle loro linee essenziali, osservando che l’illecito contestato non risiede nella mera ricerca di clientela”, bensì presupporrebbe l’aver compromesso la libera scelta del mandante con promesse ed offerte improprie. Nella presente fattispecie, però, ciò non sarebbe accaduto, essendo stato viceversa provato che il rapporto con [G.] [AAA] nacque sulla base della fiducia. Questo Collegio ritiene che le difese anzidette non consentano di pervenire al giudizio di infondatezza dell’addebito. È pacifico, in primo luogo, che l’Avv. [RICORRENTE] abbia affidato ad una terza persona la ricerca di potenziale clientela con riferimento ad uno specifico affare l’eredità di [C.] [BBB]. Andato a buon fine l’incarico, egli si è quindi rivolto al potenziale cliente rintracciato, il sig. [G.] [AAA], incontrandolo e informandolo, per sua stessa ammissione, sulle azioni giudiziarie che avrebbe potuto intraprendere a tutela dei suoi diritti in relazione all’eredità [BBB].”. Secondariamente, il rapporto personale così avviato ha anche generato, in ragione del prestito erogato al [AAA], un consistente rapporto di natura economica. Dall’incontestabilità degli anzidetti fatti discende l’ininfluenza delle difese svolte, atteso che il rapporto professionale dell’avv. [RICORRENTE] con il sig. [AAA] non sarebbe sorto senza la preventiva opera del procacciatore all’uopo incaricato, sig. [EEE]. Significativa è, al riguardo, la rappresentazione di detto intervento, esposta in ricorso alla pag. 8, laddove si conferma che l’intermediario - procacciatore verificò telefonicamente se [G.] [AAA] avesse già un legale di fiducia e, in caso negativo, se fosse interessato ad un colloquio informativo.” Dichiarazioni dell’Avv. [RICORRENTE] del 03.09.2013 . Considerati gli sviluppi registrati [EEE] mi ha comunicato l’interesse del [AAA] e quindi l’ho chiamato fissando un incontro poi avuto a casa sua , è quindi indubbia l’essenziale rilevanza del lavoro svolto dal Sig. [EEE]. Non ostano poi alla fondatezza dell’assunto accusatorio i richiamati principi comunitari vigenti in materia di libera concorrenza. La decisione del Consiglio territoriale, infatti, non ha sanzionato l’esercizio della professione forense in regime di libera concorrenza, bensì, a ben vedere, ha censurato la lesione del principio anzidetto tramite l’inammissibile ricorso a mezzi, strumenti ed azioni vietati dalle regole deontologiche della professione. Regole, va osservato ancora, che valgono per tutti gli iscritti e che debbono essere considerate presidio posto a tutela della libera concorrenza interna. Ne consegue, quindi, che proprio il complessivo comportamento dell’incolpato ha posto in essere quell’effetto distorsivo che la normativa UE sanziona. Nel suo progressivo formarsi, il rapporto avviato in ragione del contatto procurato si è arricchito, come detto, di un’ulteriore circostanza, costituita dal prestito di € 10.000,00 elargito dall’odierno incolpato al sig. [AAA] in epoca precedente il conferimento del mandato. Come visto, il ricorrente nega, con il secondo motivo di impugnazione, l’esistenza di un rapporto di causalità fra il prestito erogato al potenziale cliente ed il successivo conferimento dell’incarico professionale, eccependo che La circostanza non è anomala” e che la natura di autonomo prestito dell’elargizione in argomento risulta provata dalle dichiarazioni del [AAA] e dalle scritture private in atti prestito e procura speciale notarile . La tesi esposta non è condivisibile. Premesso che le dichiarazioni rilasciate al riguardo dal Sig. [AAA] durante il procedimento avanti al COA il 19 febbraio 2014, secondo le quali egli avrebbe conosciuto l’Avv. [RICORRENTE] da vecchia data e così gli ho telefonato dicendogli che avevo problemi con una eredità e se poteva venire a casa mia”, risultano compiutamente smentite da quanto ammesso dall’incolpato avanti il Consigliere delegato il 3 settembre 2013 e poi anche ribadito in ricorso, sicchè le stesse debbono ritenersi inattendibili, va osservato che essa sconta, in primo luogo, una palese contraddizione. È palese, infatti, il contrasto che emerge fra la dichiarata ed autoreferenziale natura non anomala” del prestito, da un lato, e, dall’altro, l’asserzione di liceità del prestito erogato nell’ambito della attività di acquisizione della clientela” in realtà, quindi, è l’incolpato stesso a richiamare l’esistenza del rapporto di causalità fra le due circostanze in gioco, con la conseguenza che, sol per questo, il motivo deve essere ritenuto destituito di fondamento. Sotto un ulteriore profilo, l’eccezione dedotta è comunque infondata perchè contrasta anche con i principi informatori dell’esercizio professionale, oggi sanciti dalle norme recate dalla legge n. 247/2012, i cui artt. 1, 2 e 3 realizzano la connessione fra regole generali e previsioni deontologiche specifiche. Ne consegue che il divieto di intrattenere con l’assistito rapporti di natura economica, prescritto dall’art. 35 del c.d.f. previgente ed oggi dall’art. 23, comma 3, c.d.f., assurge a canone comportamentale ineludibile. È, inoltre, significativo che nulla venga eccepito, con il ricorso in esame, in ordine all’influenza, decisiva o meno, del prestito sul rapporto professionale. Alla luce delle considerazioni che precedono, infine, è anche indifferente che il prestito sia stato accordato perché richiesto, ovvero perché offerto, atteso che il divieto concerne l’esistenza del rapporto economico, prescindendo, quindi, dalle ragioni del suo insorgere. Dette ragioni, comunque, sussistono ed è stata, come visto, la stessa narrativa del ricorrente ad esplicitarle. Le previsioni recate dall’art. 19 c.d.f. previgente nel canone introduttivo e nel canone IV oggi art. 37 c.d.f. risultano perciò compiutamente integrate alla luce dei fatti accertati. Del pari, il comprovato rapporto di causalità fra prestito e mandato esplicitamente ammesso compendia anche la violazione dell’art. 35, can. II, c.d.f. previgente ora, art. 23, comma 3, c.d.f. . In ordine, infine, alla lamentata eccessività della sanzione comminata, oggetto del quarto motivo di ricorso, il Collegio premette ed osserva quanto segue. L’accertata violazione del divieto di accaparramento di clientela è oggi sanzionata dall’art. 37, c.d.f. vigente, con la censura. Il Consiglio territoriale, pronunciandosi prima dell’entrata in vigore 16.12.2014 del nuovo codice, ha ritenuto di comminare all’incolpato, ritenutane la responsabilità, tenuto conto della rilevanza mediatica” della vicenda e valutata la gravità dei fatti, la sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre dall’esercizio della professione forense. Alla luce del principio del favor rei, la sanzione base oggi comminabile va pertanto parametrata all’esplicita previsione codicistica. Ciò, però, non esime dal dover ritenere, in ossequio ai principi dettati dall’art. 21 c.d.f., che La determinazione della sanzione disciplinare non è frutto di un mero calcolo matematico, ma è conseguenza della complessiva valutazione dei fatti, della gravità dei comportamenti contestati, violativi dei doveri di probità, dignità e decoro ” C.N.F. n. 9/2018 . A tale riguardo, la decisione impugnata ha tenuto conto, come già detto, della rilevanza mediatica suscitata dalla vicenda rilevanza che però il ricorrente ritiene di escludere, così come esclude che l’eventuale clamore mediatico di un fatto renda deontologicamente più grave il fatto stesso. Il Collegio rileva, al riguardo, che la vicenda ha suscitato vasti echi di stampa concernenti, fra l’altro, espliciti riferimenti all’incolpato in ragione sia dei suoi rapporti con il procacciatore sig. [EEE] e con il sig. [AAA] prima del conferimento dell’incarico, sia del prestito erogato a quest’ultimo e delle dichiarazioni rilasciate dal medesimo Il Resto del Carlino 20.07.2013 . Di ciò costituiscono piena prova gli estratti della stampa cittadina del luglio 2013 che il fascicolo di causa annovera. Sussistono, pertanto, ragioni oggettive a sostegno di una valutazione di complessiva e superiore gravità, per genesi, modalità, contenuti e pubblica evidenza, della fattispecie contestata, che consente di ritenere meritevole di aggravio la sanzione edittale, nei limiti previsti dall’art. 22, comma 2, lett. b , c.d.f., e, per tale ragione, congrua la misura sanzionatoria comminata dal Consiglio territoriale. P.Q.M. visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37 il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.