L’accurata valutazione di tutti gli elementi della controversia per la liquidazione dell’onorario dell’avvocato

In tema di onorari dovuti al difensore dal cliente, la loro misura prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti.

Sul tema torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27591/19, depositata il 29 ottobre. La vicenda. Un avvocato ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale, in sede di appello, relativa ad un giudizio instaurato innanzi al GdP nei confronti del suo cliente, al fine di ottenere il pagamento del compenso per l’assistenza legale prestata in due cause di lavoro per il recupero del TFR, ove il cliente era risultato vittorioso. Il motivo di ricorso del difensore. In particolar modo con un motivo di ricorso, il legale denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 4 del capo I, d.m. n. 127/2004 relativo alle tariffe forensi, deducendo che la documentazione in atti relativa alla prova dell’attività svolta e la liquidazione effettuata dall’ordine degli avvocati non sia stata adeguatamente contestata anche con riguardo al valore della controversia e che sul punto il Tribunale nulla ha argomentato in proposito. Ed inoltre il ricorrente denuncia violazione dei minimi tariffari indicati nel suddetto decreto ministeriale. La decisione del Supremo Collegio. Nel caso in esame, il giudice del merito ha reso una motivazione del tutto carente, in quanto si è limitato a ritenere congrua la somma versata rispetto a quanto liquidato dai giudici del lavoro, senza svolgere una valutazione in concreto di tutti gli elementi da scrutinare. Del resto, in tema di onorari dovuti al difensore da cliente, la loro misura prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti. Per quanto riguarda infine il divieto previsto dalla legge di superamento dei minimi tariffari, è indubbio che la disciplina regolamentare in materia di spese legali abbia carattere integrativo della disciplina generale dettata dalla legge processuale e debba essere riconosciuta dal giudice ed applicata alla fattispecie in esame a prescindere dall’attività probatoria delle parti che l’abbiano invocata. Sulla base di queste considerazioni, ormai consolidate nella giurisprudenza di legittimità, il motivo di ricorso in esame deve essere accolto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 5 aprile – 29 ottobre 2019, n. 27591 Presidente Armano – Relatore Fiecconi Rilevato che 1. Con ricorso notificato in data 4 ottobre 2017 l’avvocato d.C.M. ricorre per la cassazione della sentenza numero 1736-2017, depositata il 7 aprile 2017 dal Tribunale di Lecce in sede di appello relativamente a un giudizio instaurato innanzi al Giudice di Pace nei confronti di B.G. , suo cliente, per ottenere il pagamento del compenso per l’assistenza professionale prestata in due cause di lavoro per il recupero del TFR, ove il cliente era risultato vittorioso. Il professionista aveva ottenuto l’emissione di un decreto ingiuntivo sulla base di una parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’Ordine Professionale Forense, cui si era opposto il lavoratore sull’assunto che l’incarico era stato dato dal sindacato e che null’altro fosse dovuto dopo l’incasso delle spese giudiziali liquidate dai giudici in favore del lavoratore e a carico dell’ente datore di lavoro. Al termine del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso per l’importo di Euro 4.208,44, il Giudice di Pace adito confermava il decreto, respingendo l’opposizione. 2. L’opponente interponeva appello con atto di citazione e il Tribunale di Lecce, a definizione del giudizio i respingeva ex art. 345 c.p.c. le eccezioni preliminari formulate dal professionista appellato in ordine all’inammissibilità dell’appello e all’improcedibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo, in quanto non dedotte nel primo grado di giudizio in parziale accoglimento dell’appello ii riteneva infondata la deduzione del lavoratore circa il conferimento dell’incarico professionale da parte del sindacato, anziché dal lavoratore, che assumeva di essersi limitato rilasciare il mandato alle liti alla sede del sindacato iii in accoglimento del motivo di appello, riteneva congrua, sulla scorta della documentazione versata in atti, la somma di Euro 2.612,56 già versata dal cliente al professionista, in rapporto alla liquidazione dei compensi professionali effettuata dai giudici del lavoro, ammontante in Euro 1650 Euro 1000+ Euro 650 , oltre il rimborso forfettario e ulteriori oneri, così riducendo l’importo richiesto dal professionista e liquidato dall’Ordine professionale, allegato ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, che veniva pertanto revocato. 3. Il ricorso per cassazione del professionista è affidato a tre motivi. Il resistente ha notificato controricorso e, in via incidentale subordinata, ha proposto due motivi in relazione alla mancata attività istruttoria. Considerato che RICORSO PRINCIPALE. 1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. per omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia, nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la sentenza non ha dichiarato inammissibile il gravame in relazione alla domanda di irragionevole quantificazione delle competenze legali , non formulata nel rispetto del novellato art. 342 c.p.c. mancando una specifica indicazione delle parti del provvedimento impugnato delle quali si chiede la riforma, e degli errori di fatto e di diritto commessi dal primo giudice. 1.1. La censura è inammissibile. 1.2. La questione sul contenuto minimo dell’appello è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, mediante la quale si è sancito che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata cfr. da ultimo anche Sez. 6 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018 . Alla luce di tale orientamento, il motivo di appello con il quale si chiede al giudice di di rivalutare l’an e il quantum della pretesa dell’opposto, sulla scorta delle domande ed eccezioni dell’opponente rigettate dal giudice di primo grado, risulta sufficientemente esplicitato e, pertanto, non rileva che la questione d’inammissibilità ex art. 342 c.p.c., qui riproposta in termini di omessa motivazione sul punto, non sia stata scrutinata dal giudice, in quanto l’omessa attività processuale ove sussistente - non ha, invero, rilievo se manca l’indicazione di un pregiudizio in concreto subito cfr. Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 2626 del 02/02/2018 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15676 del 09/07/2014 Sez. 3, Sentenza n. 5659 del 09/03/2010 . L’atto d’appello, oltretutto, risulta specifico in relazione ai punti in fatto e in diritto in discussione, non accolti dal giudice di primo grado. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. laddove il Tribunale di Lecce ha omesso di considerare l’eccezione di inammissibilità e improcedibilità dell’opposizione formulata con atto di citazione e non con ricorso in una materia regolata dal rito sommario. 2.1. Il motivo è inammissibile. 2.2. Il ricorrente assume che tale censura faccia parte della materia del contendere tempestivamente introdotta con la costituzione in appello, e discussa in sede di comparsa conclusionale nel giudizio di primo grado, in quanto concerne un omesso rilievo d’ufficio da parte del giudice di primo grado. In merito, il motivo non risulta pertinente in quanto il ricorrente avrebbe dovuto confrontarsi con i precedenti di questa Corte che hanno sancito che le regole del procedimento sommario introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 51 si applicano esclusivamente nelle cause di competenza del Tribunale in composizione monocratica e non nelle cause di competenza del giudice di Pace, con la conseguenza che in tutte le ipotesi in cui la competenza appartenga ad un diverso giudice nella specie, il giudice di pace , non se ne può invocare - l’applicazione cfr. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 23691 del 11/11/2011 . In ogni caso, il rito sommario non è applicabile nel giudizio di appello, ex art. 702-quater c.p.c., ove il procedimento riacquisisce le ordinarie forme di garanzia per le parti, con i relativi oneri processuali. 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, nonché violazione o falsa applicazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, negli artt. 1, 2, 4 del capo 10 delle tariffe forensi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che, da un lato, la documentazione versata in atti, concernente la prova dell’attività professionale svolta e la liquidazione effettuata dall’ordine degli avvocati, non sia stata adeguatamente contestata, anche con riguardo al valore della controversia, e che sul punto il Tribunale nulla ha argomentato in proposito dall’altro, che vi è stata la violazione dei minimi tariffari indicati nel decreto ministeriale di riferimento. 3.1. Il motivo è fondato. 3.2. Per un verso, non rileva che il valore della controversia non sia stato contestato, bensì che il giudice, tenuto a valutare la congruità delle due parcelle liquidate dall’ordine professionale, oggetto di contestazione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, si sia attenuto ai tariffari indicati nelle norme di riferimento, e abbia valutato l’opera professionale per come è stata resa, con riferimento alle tariffe professionali e in osservanza del principio di diritto indicato dallo stesso giudice a quo nell’incipit della motivazione. Sotto questo profilo, il giudice ha reso una motivazione del tutto carente, limitandosi a ritenere congrua la somma versata rispetto a quanto liquidato dai giudici del lavoro in sede di ripartizione delle spese, quando invece sarebbe stato tenuto a svolgere una valutazione in concreto degli elementi da scrutinare i.e. valore delle attività non liquidate dai giudici, effettivamente espletate, in riferimento alle voci indicate nelle parcelle e alle tariffe da applicarsi , risultando in tal modo del tutto pretermessa l’analisi di circostanze di fatto che, ove valutate, avrebbero potuto comportare una diversa decisione v. Cass. S.U. n. 8053/2014 . Invero, in tema di onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato, anche nel vigore della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, di cui alla L. n. 247 del 2012, la loro misura prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti quali, tra gli altri, risultato e altri vantaggi non patrimoniali , in ragione del diverso fondamento dell’obbligo di pagamento degli onorari, che riposa, per il cliente, nel contratto di prestazione d’opera, e, per la parte soccombente, nel principio di causalità e dell’inefficacia nei confronti dell’avvocato della sentenza che ha provveduto alla liquidazione delle spese, in quanto non parte del giudizio. cfr. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 25992 del 17/10/2018 in applicazione del principio, la S.C. ha cassato l’ordinanza con la quale il tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo ritenendo non dovute, dal cliente all’avvocato, le maggiori somme rispetto a quelle liquidate in sentenza, in ragione della soppressione del sistema tariffario e dell’approvazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, in attuazione della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense del 2012 . 3.3. Per altro verso, si osserva che la denuncia di violazione dei minimi tariffari in termini di violazione di legge risulta ammissibile e fondata, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte resistente. In proposito, va considerato che la materia de qua è regolata da un Decreto Ministeriale che contiene disposizioni a contenuto normativo laddove prevede il divieto di superamento dei minimi tariffari D.M. n. 127 del 2004, art. 4 applicabile ratione temporis , sebbene nella gerarchia delle fonti non costituisca un provvedimento avente forza di legge, avendo esso natura di provvedimento amministrativo v. L. n. 400 del 1988 . Difatti è indubbio che la disciplina regolamentare in materia di spese legali abbia carattere integrativo della disciplina dettata in via generale dalla legge processuale, e debba pertanto essere conosciuta dal giudice ed applicata alla fattispecie indipendentemente dall’attività probatoria delle parti che l’abbiano invocata. RICORSO INCIDENTALE SUBORDINATO. 4. Il ricorrente in via incidentale con due motivi tra loro sovrapponibili si duole del mancato esame della istanza di prova testimoniale richiesta in primo grado e reiterata con l’atto di appello inoltre deduce un’omessa pronuncia in proposito, in violazione degli artt. 112, 132 e 118 disp att. cod. proc civ 4.1. I motivi sono inammissibili. 4.2. Il Giudice a quo ha ritenuto che il mandato professionale sia stato conferito dal lavoratore al professionista, e non dal sindacato, sulla base del fatto che il mandato alle liti è stato rilasciato all’avvocato dal lavoratore allorché si è recato dal sindacato per ricevere assistenza in relazione alle sue pretese. Si tratta di una valutazione di merito sul rapporto instauratosi con il professionista insindacabile in tale sede, in quanto ritenuta collimante con la situazione descritta dal lavoratore, ove il sindacato appare essere stato piuttosto un intermediario dei lavoratori, ma non colui che ha effettivamente conferito e gestito l’incarico professionale dato al legale dai lavoratori. In mancanza di allegazione delle ragioni specifiche che avrebbero dovuto indurre il giudice, a fronte di tale assorbente valutazione, ad ammettere le prove per testi, l’omessa pronuncia sulle istanze di prova, alla luce della motivazione resa dal giudice a quo, non denota una lesione di diritti processuali Sez. 6 - L, Ordinanza n. 8204 del 04/04/2018 . 5. Conclusivamente il ricorso è accolto in riferimento al terzo motivo, mentre è inammissibile con riferimento agli altri motivi di ricorso principale e incidentale subordinato di conseguenza, la Corte cassa la sentenza per quanto di ragione e rinvia al Tribunale di Lecce, in persona di diverso magistrato, anche per le spese. P.Q.M. I. La Corte, accoglie il ricorso principale in relazione al terzo motivo Dichiara inammissibile il ricorso principale e incidentale subordinato in relazione agli altri motivi III. Cassa e rinvia al tribunale di Lecce in diversa composizione, anche per le spese.