I limiti operativi dell’esimente del diritto di esercizio della difesa in giudizio

L’ambito di operatività della scriminante del diritto di esercizio della difesa in giudizio, prevista dall’art. 598 c.p. e concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti processuali e nei discorsi pronunciati nell'ambito del giudizio ordinario o amministrativo, è limitata al solo caso in cui esse risultino funzionali all’esercizio del diritto di difesa e a condizione che siano pertinenti all'oggetto del giudizio, con la conseguenza che essa non opera, qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede.

In caso di mancata riproposizione in appello delle domande ed eccezioni non accolte con la sentenza di primo grado, è da ritenersi operante, in capo alle singole parti processuali, una presunzione assoluta di rinuncia a quelle non espressamente riproposte. Questo è il principio contenuto nella sentenza n. 22184/19, depositata il 5 settembre dalla Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile. Il fatto. La vicenda processuale trae origine dal giudizio, instaurato da una società, nei confronti di un amministratore di condominio e del suo legale, al fine di ottenere il risarcimento del danno, per le condotte diffamatorie, da essi tenute. Questi ultimi, a loro volta, avevano proposto domande riconvenzionali ed uno di essi aveva anche chiamato in causa la compagnia assicuratrice, con la quale aveva stipulato una polizza per responsabilità professionale. All’esito del giudizio di primo grado, tuttavia, sia la domanda principale, che le riconvenzionali erano state rigettate. Avverso detta pronuncia, l’originaria parte attrice aveva proposto appello principale, mentre la compagnia assicuratrice aveva proposto appello incidentale, condizionato all’accoglimento di quello principale. Il giudizio di secondo grado si era concluso con l’accoglimento dell’appello principale e la condanna degli originari convenuti al risarcimento del danno. Avverso la sentenza di secondo grado, le parti soccombenti avevano proposto ricorso, innanzi alla Corte di Cassazione. L’ambito di operatività della scriminante de diritto di esercizio della difesa in giudizio. Uno dei principi enunciati dalla Suprema Corte, con la presente sentenza, verte sull’ambito di operatività della scriminante del diritto di esercizio della difesa in giudizio, prevista dall’art. 598 c.p. e concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti processuali e nei discorsi pronunciati nell'ambito del giudizio ordinario o amministrativo, purché esse risultino funzionali all’esercizio del diritto di difesa e a condizione che siano pertinenti all'oggetto del giudizio, con la conseguenza che essa non è applicabile qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede sentenza n. 20058/15 . Nel caso di specie il giudice di merito aveva accertato che non vi era stata, da parte dei convenuti, una manifestazione di opinione, che potesse essere ricondotta nell’alveo della libertà di espressione del pensiero, ma che la loro condotta si era piuttosto concretizzata nella redazione e sottoscrizione di missive di diffida stragiudiziali, aventi ad oggetto presunte circostanze di fatto, estrapolate da articoli giornalistici, successivamente risultate del tutto infondate. Allo stesso modo il giudice di merito aveva anche accertato che tali missive, palesemente diffamatorie, non erano riconducibili ad alcuna controversia giudiziaria o ricorso amministrativo e pertanto, non rientravano in alcun modo nel diritto di esercizio della difesa in giudizio. L’onere di riproposizione in appello delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado. La Corte di Cassazione, inoltre, ha anche ritenuto opportuno ribadire un altro importante principio processuale concernente l’onere di riproposizione in appello delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado. In primo luogo, ha precisato che sono da ritenersi come non accolte, sia quelle respinte, che quelle assorbite, indipendentemente dal fatto che si tratti di domande o eccezioni concernenti il merito o il rito. In secondo luogo, la Corte ha chiarito come, in caso di mancata riproposizione, sia da ritenersi operante, in capo alle singole parti processuali, una presunzione assoluta di rinuncia alle domande ed eccezioni non espressamente riproposte in appello. La Suprema Corte, infine, rileva anche che, in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello su quella principale, ne richiede l’espressa riproposizione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. sentenze n. 832/17 e n. 7700/16 . Ecco perché, nel caso di specie, la mancata riproposizione in appello, da parte di uno dei convenuti, della domanda di garanzia, spiegata in primo grado, nei confronti della compagnia assicuratrice, con la quale egli aveva stipulato una polizza assicurativa, era stata inevitabilmente interpretata come rinuncia alla stessa.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 giugno – 5 settembre 2019, n. 22184 Presidente Travaglino – Relatore Scoditti Rilevato che M.D. Medicina Diagnostica Avanzata s.r.l. Black Oils s.p.a. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Genova D.E. e L.G. chiedendo la condanna al risarcimento del danno. I convenuti, costituitisi in giudizio, proposero domanda riconvenzionale di risarcimento del danno il L. in particolare chiamò in causa Carige Assicurazione s.p.a. sulla base di polizza assicurativa stipulata quale amministratore di condominio. Il Tribunale adito rigettò entrambe le domande. Avverso detta sentenza proposero appello principale l’originaria parte attrice ed incidentale, condizionato all’accoglimento dell’appello principale, la società assicuratrice. Con sentenza di data 8 agosto 2017 la Corte d’appello di Genova accolse l’appello, condannando il D. al pagamento della somma di Euro 20.000,00 ed il L. al pagamento della somma di Euro 4.000,00, oltre interessi dalla sentenza. Osservò la corte territoriale che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, non operava l’esimente di cui all’art. 598 c.p. perché le lettere inviate dall’avv. D. non si inserivano in alcuna controversia giudiziale nè erano espressione di scritti difensivi, ma costituivano iniziative epistolari del tutto extragiudiziali nè giustificava l’applicazione dell’esimente il riferimento in alcune lettere a vicende giudiziali già intercorse e che, fra le lettere allegate, per talune lettere emergeva il carattere diffamatorio, ed in particolare la diffida del 14 maggio 2008 alla concedente Leasint s.p.a. era accompagnata dal riferimento alle notizie apparse da mesi sulla stampa in relazione ad una importante inchiesta giudiziaria in corso a carico della società M.D. Medicina Diagnostica avanzata s.r.l. , laddove invece, a parte l’esistenza dell’animus nocendi non si comprendeva quale fosse la rilevanza di indagini penali che avessero attinto l’utilizzatrice dell’immobile in una diffida avente ad oggetto violazione di regole condominiali , gli articoli giornalistici in questione non menzionavano indagini penali a carico di M.D. nè tantomeno quest’ultima era sottoposta ad indagini , sicché indubbio era l’intento diffamatorio, tanto più che la missiva era indirizzata a soggetti, quali il Sindaco di Genova ed il Presidente della Regione Liguria, che nulla avevano a che fare con le questioni condominiali oggetto di doglianza chiaramente di comodo era l’uso dell’espressione in considerazione della particolare attività esercitata nei vostri locali la lettera di data 16 giugno 2008, sempre inviata al Sindaco di Genova ed al Presidente della Regione Liguria, ribadiva contro il vero che gli articoli giornalistici indicati nella lettera del 14 maggio 2008 avrebbero dimostrato che effettivamente M.D. era sottoposta ad importante inchiesta in corso la lettera di data 31 luglio 2008, sempre inviata al Sindaco di Genova ed al Presidente della Regione Liguria, nonché alla ASL competente ed all’Azienda Ospedaliera OMISSIS , conteneva l’aggiunta che la conduttrice M.D. adducendo giustificazioni pretestuose, quest’anno non ha versato neppure un centesimo di spese condominiali , aggiunta che, quand’anche vera, integrava diffamazione lesiva della privacy perché non costituente atto difensivo nell’ambito di controversia e volta esclusivamente a mettere in cattiva luce la società dipingendola come una soggetto, oltre che avente a carico indagini penali, inadempiente alle obbligazioni pecuniarie. Aggiunse che anche il L. doveva ritenersi civilmente responsabile, pur per un quantum differenziato stante il suo ruolo secondario, per le seguenti ragioni l’avv. D. si qualificava scrivente in nome e per conto di condominio amministrato dal L. , il quale indubbiamente ne condivideva le iniziative o comunque le accettava senza distinguersi come dimostrava fra l’altro la congiunta difesa in giudizio nella comparsa di costituzione in primo grado del convenuto L. non era mai stata negata la riconducibilità anche a quest’ultimo delle iniziative epistolari del D. . Osservò inoltre la Corte che l’appellante non aveva provato che il danno subito si fosse tradotto in caduta del volume d’affari, ma doveva considerarsi il detrimento morale, nella sfera non patrimoniale della reputazione, derivante dalla campagna denigratoria per una società come l’appellante in affari con enti pubblici del capoluogo ligure per l’allocazione di strutture sanitarie , sicché ricorreva una ipotesi di danno in re ipsa. Aggiunse che le affermazioni dell’appellante circa la volontà di destinare il risarcimento incamerato a fini benefici in favore dell’Istituto Gaslini di Genova dovevano essere attuate dalla parte destinataria in giudizio del risarcimento, non ravvisandosi ragioni perché il giudice civile possa fare destinatario/beneficiario di una sua pronuncia un terzo estraneo al giudizio . Aggiunse ancora, premesso che non era stato proposto appello incidentale, che il L. aveva omesso di riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. la domanda di garanzia nei confronti della società assicuratrice e che, ai fini della soccombenza virtuale per il regolamento delle spese processuali, un indubbio ostacolo all’accoglimento della domanda di garanzia era rappresentato dal fatto che la polizza assicurativa aveva ad oggetto le condotte colpose, mentre il L. era stato condannato per una condotta dolosa quella diffamatoria , e che si trattava di danni di natura non patrimoniale quali quelli derivanti dall’offesa all’altrui reputazione. Hanno proposto ricorso per cassazione D.E. e L.G. sulla base di quattro motivi e resistono con distinti controricorsi Black Oils s.p.a. e Amissima Assicurazioni s.p.a È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c È stata presentata memoria. Considerato che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 97 e 111 Cost., artt. 6, 9 e 10 Cedu, artt. 51, 595 e 598 c.p., L. n. 241 del 1990, art. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che dovevano essere applicate le scriminanti del diritto di libera espressione del pensiero e quella del diritto di esercizio della difesa, riguardando le missive fatti veri quali il contenzioso in essere, i comportamenti tenuti nell’ambito di rapporti condominiali, l’esistenza di procedimenti penali e la morosità ed essendo indirizzate ad autorità che non potevano non essere interessate a tali circostanze. Il motivo è inammissibile. I ricorrenti assumono l’esistenza delle scriminanti del diritto di libera espressione del pensiero e quella del diritto di esercizio della difesa in assenza però dell’accertamento da parte del giudice di merito del corrispondente presupposto di fatto e senza che sia stata proposta rituale denuncia di omesso esame di fatto decisivo e controverso . Quanto alla libera manifestazione del pensiero non risulta accertata l’esistenza di una manifestazione di opinione, ma solo di missive concernenti una diffida stragiudiziale o la denuncia di circostanze di fatto. Quanto alla scriminante di cui all’art. 598 c.p. il giudice di merito ha accertato che gli scritti in questione non erano relativi ad una controversia giudiziaria o ad un ricorso amministrativo. La censura infine contrappone al giudizio di fatto del giudice di merito in termini di falsità del riferimento in articoli giornalistici alla sottoposizione ad indagini penali di M.D. o comunque di irrilevanza della verità del fatto quanto alla vicenda degli oneri condominiali una diversa valutazione delle circostanze fattuali, che è profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 111 Cost., artt. 6, 9 e 10 Cedu, artt. 40, 42, 595 e 598 c.p., artt. 112, 113 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che la condotta del L. non può essere considerata dolosa, e quindi al di fuori della copertura assicurativa, trattandosi di attività svolta non dal L. medesimo ma da un terzo, senza che la legge preveda che debba risponderne anche un soggetto diverso dall’autore della condotta diffamatoria, e che il L. non aveva mai sottoscritto le missive inviate dall’avv. D. , nè la legge prevedeva un obbligo di dissociazione. Aggiunge che la copertura assicurativa dovrebbe sussistere perché si trattava di attività stragiudiziale compiuta dal difensore del condominio, potendosi l’incarico del legale apprezzarsi al massimo come condotta colposa. Conclude che erroneamente è stato ritenuto che gli appellati non avessero accettato la rinunzia agli atti del giudizio da parte dell’appellante, trattandosi invece di rinunzia invalida perché condizionata. Il motivo è inammissibile. Il giudice di merito ha accertato che il L. aveva condiviso le iniziative epistolari del D. o comunque le aveva accettate L senza distinguersi e ha quindi sul piano del fatto giudicato come riconducibili anche al L. le iniziative del D. . Trattasi di giudizio di fatto come tale non sindacabile nella presente sede di legittimità, se non nei limiti della denuncia di vizio motivazionale, non specificatamente proposta. Sulla questione della rinunzia la parte ricorrente è priva di interesse trattandosi di questione puramente teorica, senza alcuna ricaduta pratica sul piano del rispetto della legge processuale. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 6 Cedu, art. 40 c.p., artt. 112, 113 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che il L. non aveva l’onere di riproporre espressamente la domanda di garanzia in sede di appello essendo sufficiente richiedere la conferma della sentenza di primo grado ed il rigetto dell’appello. Il motivo è inammissibile. Va rammentato che in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello sulla domanda principale richiede la espressa riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c. cfr. Cass. sez. U. n. 7700 del 2016 e Cass. n. 832 del 2017 . La parte ricorrente è comunque carente di interesse a sollevare la questione come si è appena visto infondata della necessità o meno della riproposizione della domanda avendo accertato il giudice di merito, in sede di soccombenza virtuale ai fini del regolamento delle spese processuali, l’estraneità al rischio garantito dall’assicurazione della condotta del L. per la presenza di condotta dolosa, ed essendo stato dichiarato inammissibile il precedente motivo avente ad oggetto l’esistenza di valida copertura assicurativa. Aggiungasi, sempre a proposito della carenza di interesse, che non è stata impugnata l’esclusione della copertura assicurativa anche per il fatto che si trattava di danni di natura non patrimoniale quali quelli derivanti dall’offesa all’altrui reputazione, sicché per tale aspetto la censura sarebbe anche priva di decisività. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2043 e 2059 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che non conforme a diritto è la condanna al risarcimento di un danno in re ipsa e che l’appellante non ha chiesto la condanna al risarcimento in proprio favore ma in favore di un terzo, sicché la corte territoriale ha violato il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Il motivo è inammissibile. La censura consta di due sub-motivi entrambi estranei alla ratio decidendi e pertanto privi di decisività. Al di là del riferimento all’espressione in re ipsa, il giudice di merito ha affermato che doveva considerarsi il detrimento morale, nella sfera non patrimoniale della reputazione, derivante dalla campagna denigratoria per una società come l’appellante in affari con enti pubblici del capoluogo ligure per l’allocazione di strutture sanitarie . In tal modo ha fatto applicazione di una prova presuntiva. Quanto al secondo sub-motivo il giudice di merito, interpretando la domanda, ha affermato che la volontà dell’appellante era di destinare il risarcimento incamerato a fini benefici in favore dell’Istituto OMISSIS e dunque non vi era istanza di condanna in favore di un terzo, ma solo una manifestazione di intenti. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 - quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di Black Oils s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di Amissima Assicurazioni s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.