Quale compenso riconoscere al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio in un processo civile?

La liquidazione del compenso all’avvocato della parte ammessa al gratuito patrocinio nell’ambito di un procedimento civile è regolato dall’art. 130 d.P.R. n. 115/2002, il quale postula la diminuzione della somma da liquidare, non eludibile mediante il richiamo ad argomenti propri della disciplina inerente alla liquidazione dei compensi professionali nei procedimenti penali.

Così si esprime la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte con l’ordinanza n. 21484/19, depositata il 19 agosto. Il fatto. A seguito dei servigi professionali svolti nell’ambito di un processo civile a favore di una parte ammessa al gratuito patrocinio, un avvocato chiedeva al Giudice procedente la liquidazione del proprio compenso professionale e, ritenendo inadeguata la tassazione da questo operata, proponeva opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002. Il Tribunale di Livorno, ritenendo doverosa la riduzione del compenso operata dal Giudice ai sensi dell’art. 130 della stessa legge, respingeva il ricorso. Avverso tale provvedimento, l’avvocato propone ricorso per cassazione, non avendo il Giudice ritenuto che l’importo liquidato a titolo di spese di lite al termine del giudizio contenzioso a carico dell’avversario soccombente dovesse corrispondere al compenso da riconoscergli, in quanto difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Compenso professionale. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, osservando come il richiamo del ricorrente agli artt. 110 e 133 d.P.R. n. 115/2002, riguardanti rispettivamente la disciplina della liquidazione del compenso nel procedimento penale ed il pagamento delle spese liquidate a carico della parte non ammessa al gratuito patrocinio rimasta soccombente nella lite civile, non abbiano rilievo nel caso concreto, avendo il Giudice correttamente fondato la sua decisione sugli artt. 82 e 130 dello stesso decreto. Tale disciplina prevede, infatti, che in relazione alle controversie di natura civile la somma da liquidare a titolo di compenso professionale sia diminuita senza alcuna ipotesi di deroga. Detto ciò, gli Ermellini precisano che la disciplina inerente ai compensi da liquidare nell’ambito dei procedimenti civili risulta autonoma rispetto a quella riguardante il procedimento penale, specificando altresì che nel caso di specie, avendo il ricorrente espletato il suo mandato a favore di una parte ammessa al gratuito patrocinio, egli doveva essere ben a conoscenza che lo Stato avrebbe compensato il suo servizio utilizzando la tariffa speciale individuata in base ai criteri oggetto degli artt. 82 e 130 i quali dispongono la liquidazione secondo i valori medi di tariffa professionale con la dimidiazione della somma così individuata . Alla luce di quanto esposto, la Corte di Cassazione rigetta, dunque, il ricorso dell’avvocato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 aprile – 19 agosto 2019, n. 21484 Presidente e Relatore Gorjan Fatti di causa L’avv. B.F. ebbe ad espletare servigi professionali in causa di natura civile a favore di C.E. , soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato. All’esito dell’attività professionale l’avv. B. chiese la liquidazione del compenso da parte del Giudice procedente e, ritenendo inadeguata la tassazione operata da questo, propose opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170. Il Giudice delegato del Tribunale di Livorno,con il provvedimento oggi impugnato, respinse il ricorso dell’avv. B. ritenendo doverosa la riduzione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, del compenso dovuto al professionista a prescindere dalla liquidazione delle spese a carico dell’avversario,rimasto soccombente nella lite avviata dalla C. ,siccome operata dal Giudice della lite in sede contenziosa. L’avv. B. avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione articolato su unico motivo. Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato non essendosi costituito tempestivamente. Ragioni della decisione Il ricorso proposto dal’avv. B.F. non ha pregio giuridico e va rigettato. Con l’unico mezzo d’impugnazione la ricorrente denunzia violazione delle norme D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 110 e 133, e disposizioni ex artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., poiché il Giudice dell’opposizione,con motivazione viziata, non ha ritenuto che l’importo liquidato a titolo di spese di lite all’esito del giudizio contenzioso a carico dell’avversario soccombente - somma assegnata a favore dell’Erario D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133, - debba corrispondere al compenso da riconoscere al difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Parte impugnante a sostegno della sua critica porta,in buona sostanza, arresto di sezione penale di questa Suprema Corte circa la liquidazione delle spese a carico di parte civile ammessa al patrocinio rimasta vittoriosa, sulla scorta delle norme D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 110 e 133, che ha trovato il conforto nell’insegnamento reso sul punto dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 270/12. Va a anzitutto rilevato come la denunzia di vizio di motivazione appare non in linea con l’attuale formulazione del disposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, richiamato a sostegno della censura portata, poiché detta norma consente la denunzia dell’omesso esame di un fatto e non più di vizi della motivazione portata dal Giudice a sostegno della sua decisione. Con riguardo alla denunziata violazione di regole di diritto, l’avv. B. evoca il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, - che disciplina la liquidazione del compenso nell’ambito del procedimento penale - ed art. 133, citato D.P.R. - che regolamenta il pagamento delle spese liquidate a carico della parte non ammessa la patrocinio rimasta soccombente nella lite civile in favore dello Stato. Ambedue norme che non assumono rilievo nella specie, in quanto parte impugnate omette,invece, di confrontarsi con la specifica motivazione illustrata dal Giudice livornese ancorata alle norme D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 82 e 130 disciplina legislativa la quale espressamente prevede,in relazione alla controversia civile, che la somma da liquidare a compenso per l’opera professionale prestata in sede di lite civile sia dimidiata senza alcuna ipotesi di deroga. Parte impugnante al riguardo si limita a richiamare arresto di sezione penale di questa Corte del 2011 ed insegnamento desumibile dal richiamo a detto arresto operato dalla Corte costituzionale nella sua ordinanza di rigetto del 2012 per superare il dato letterale della specifica disposizione di legge - Cass. sez. 2 n. 22017/18 - posta in tema di giudizio civile. L’opzione interpretativa espressa nell’arresto della sezione penale di questa Corte - sez. VI n. 46537/11 - non può esser evocato per disapplicare la chiara disposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130 - che ha più volte superato il vaglio di legittimità della Corte costituzionale - per più ragioni concorrenti. Anzitutto, come acutamente sottolineato in altra decisione di questa Corte - Cass. sez. 2 n. 7560/19 - il soggetto che nella questione esaminata dalla Corte in sede penale si lamentava era l’imputato, il quale doveva versare all’Erario la somma liquidata dal Giudice penale a favore della vittoriosa parte civile, ammessa al patrocinio pubblico, mentre poi al difensore della stessa sarebbe stato liquidato un compenso potenzialmente diverso, stante i criteri di liquidazione posti dalla norma D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82. Quindi non va omesso di considerare che sino alla riforma ex D.M. n. 140 del 2012, art. 9 - previsione di dimidiazione anche per i compensi afferenti la difesa nel procedimento penale - le competenze del professionista che aveva difeso soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato non subivano alcuna particolare decurtazione, bensì erano liquidate secondo i criteri ex art. 82 citato D.P.R Infine, come già ricordato da questa Sezione - Cass. n. 22017/18 - la liquidazione dei compensi nel procedimento civile appare autonoma e disciplinata da specifico capo del D.P.R. n. 115 del 2002, rispetto alla disciplina in materia dettata per il procedimento penale, siccome anche confermato da arresto della quarta sezione penale n. 26663/08 di questa Corte. Posta in evidenza la concorrenza di specifica disciplina per la liquidazione del compenso in favore del difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in materia civile, va rilevato come nella specie a lamentarsi del criterio di liquidazione posto da specifica norma di legge risulta essere il difensore della parte processuale vittoriosa ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia il professionista era ben a conoscenza che lo Stato avrebbe compensato il suo servigio utilizzando una tariffa speciale, ossia quella individuata mediante i parametri D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 82 e 130, che puntualmente dispongono la liquidazione secondo i valori medi di tariffa professionale con la dimidiazione della somma così individuata. Inoltre,non va dimenticato che il difensore ha pure palesato volontà di accettare detta speciale tariffa iscrivendosi nell’apposito elenco,disciplinato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 81, attestante la disponibilità ad assumere detto tipo di difesa. Dunque i parametri di liquidazione applicabili per il procedimento penale ovvero civile appaiono diversi e totalmente autonomi, sicché non v’è ragione per superare il chiaro disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, nella liquidazione del compenso a carico del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a seconda dell’esito - vittorioso o non - della causa civile da essa promossa o subita. La disposizione di legge nemmeno può essere superata semplicemente sull’osservazione che potrebbe così opinando profilarsi un indebito arricchimento dell’Erario - argomento ripreso anche da Cass. sez. 2 n. 18167/16 - siccome appare opinato nel ricorso, posto che, come detto dianzi, una tale lamentela appare coerente se sollevata dal soggetto pagatore - imputato chiamato a pagare all’Erario il compenso liquidato alla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato - e non già dal professionista che ha accettato l’applicazione della speciale tariffa. Inoltre la valutazione d’eventuale effetto d’arricchimento dell’Erario non va effettuata in modo atomistico con riguardo alla singola lite, bensì va considerato come la questione - alla luce del parametro costituzionale portato in art. 81 Cost. - sia da esaminare avendo a riguardo al pubblico servizio - difesa assicurata ai non abbienti - reso dallo Stato. Sicché un problema di arricchimento indebito si può porre solo se, considerato il bilancio economico del servizio reso nel suo complesso, lo Stato risulta incassare a titolo di spese di lite più di quanto eroghi a titolo di compensi per il patrocinio reso ai non abbienti. In definitiva nella liquidazione del compenso al difensore della parte di un procedimento civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato deve trovar applicazione il dettato della norma di legge D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, non eludibile con il richiamo ad argomenti desunti dall’autonoma e diversa disciplina della liquidazione del compenso in relazione al processo penale ovvero con valutazioni atomistiche di natura economica invece che di sostenibilità finanziaria del servizio pubblico reso. Al rigetto del ricorso non consegue statuizione sulle spese, stante la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione della Giustizia. Concorrono in capo alla ricorrente le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso, nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.