La quantificazione dell’indebito arricchimento in caso di prestazioni professionali

Nell’ipotesi di prestazione professionale l'indennizzo da ingiustificato arricchimento può essere quantificato in via equitativa avendo come riferimento le tariffe professionali, intese quali meri parametri, quindi, con esclusione di quelle maggiorazioni altrimenti previste per le peculiari modalità secondo le quali la prestazione è stata resa.

Il caso. La vicenda processuale aveva inizio quando un avvocato instava il Tribunale per l'ammissione tardiva del proprio credito vantato in una procedura di liquidazione coatta amministrativa di un consorzio agrario, chiedendo, in via principale, di accertarsi che tra le parti si erano perfezionati due incarichi professionali per prestazioni rese dal legale e dirette, la prima, alla predisposizione di una relazione tecnico contabile sulla fattibilità e convenienza della proposta di concordato ex art. 214 L.Fall. e, la seconda, alla redazione di un parere scritto in ordine alla cedibilità delle azioni revocatorie in caso di concordato. In particolare, il legale chiedeva, in via principale, la ammissione al passivo della procedura del credito, previo accertamento della sussistenza del contratto di incarico professionale e del suo inadempimento, ed in via subordinata avanzava istanza ai sensi dell'art. 2041 c.c. per oltre 2 milioni di euro. Intervenuta contestazione delle poste creditore, il Tribunale mutava il rito applicando quello ordinario di cognizione ed alla fine, ritenendo che il credito azionato dovesse essere trattato secondo il procedimento di insinuazione tardiva di crediti, esclusa la sussistenza di un valido contratto di opera professionale perché il contratto tra professionista e P.A. doveva ex lege avere la forma scritta ad substantiam , inesistente nel caso di specie , rigettava la domanda principale ma accoglieva quella subordinata, liquidando il dovuto in applicazione delle tariffe stabilite dal decreto ministeriale n. 127/2004 per le prestazioni di assistenza svolte dall'avvocato per l'accesso a procedure concorsuali in favore del commissario liquidatore e del commissario ad acta e per il parere reso in ordine alla cedibilità delle azioni revocatorie. Sia il commissario liquidatore che l'avvocato in questione proponevano appello rispettivamente principale ed incidentale avverso la indicata sentenza, ma la pronuncia del secondo grado finiva per confermare la sentenza del primo grado. Era a questo punto che il consorzio agrario, in liquidazione coatta amministrativa, ricorreva in Cassazione contro la indicata sentenza, deducendo diversi motivi tra cui alcuni interessanti in ordine alla quantificazione dell’indennità dell’avvocato in caso di indebito arricchimento del cliente. La tesi della inutilizzabilità delle tariffe professionali per l’indennità ex art. 2041 c.c Il ricorrente, oltre al resto, deduceva la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e violazione di legge in punto di diminuzione patrimoniale sofferta dal professionista, integrativa del ritenuto ingiustificato arricchimento, avendo altresì la corte territoriale confermato l'applicazione delle tariffe ex d.m. n. 127/2004 incorrendo così in contraddizione, valendo queste ultime alla determinazione del compenso professionale e non certo della diminuzione patrimoniale sofferta ex art 2041 c.c In termini più semplici, il ricorrente voleva far valere la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2041 c.c. in cui era incorsa - secondo la propria tesi - la Corte territoriale nella parte in cui, nel confermare la quantificazione dell'indennità operata dal primo giudice, aveva commisurato l'indennizzo alle tariffe di cui al suddetto decreto ministeriale che - in quanto relativo alla retribuzione che il professionista avrebbe percepito se il contratto fosse stato valido ed efficace - aveva impropriamente equiparato situazioni differenti, di contro al portato della giurisprudenza di legittimità. Indennità. La Suprema Corte, nella propria pronuncia, preliminarmente ricorda che l’art. 2041 c.c., nel correlare le posizioni di arricchimento e di pregiudizio patrimoniale, ha previsto una indennità che deve essere contenuta nei limiti della locupletazione, se questa è inferiore all’altrui impoverimento, e nei limiti dell'impoverimento ove l'arricchimento sia maggiore. L’attribuzione di questi contenuti all’indicata norma origina - spiegano gli Ermellini - dalle esigenze di evitare indebite sovrapposizioni tra la funzione propria dell’ actio in rem verso e quella risarcitoria dell’azione aquiliana, rischio arginato dalla valorizzazione del dato obiettivo dello squilibrio tra le posizioni del soggetto arricchitosi dell'altrui prestazione e di colui che ne risulta depauperato, ferma restando nella definizione dell'istituto dell’arricchimento ingiustificato la esclusione dell'elemento soggettivo dell'agente. Nell'ambito di questa norma, là dove si abbia riguardo ad una prestazione professionale resa da un professionista in favore di una pubblica amministrazione in forza di un contratto invalido per mancanza della forma scritta ad substantiam come nel caso di specie resta non indennizzabile l'utile che il primo, soggetto depauperato, avrebbe conseguito se la prestazione fosse stata da lui resta nell'ambito di un valido contratto detto utile resta definito dal pieno allineamento dell'indennizzo al corrispettivo del contratto comprensivo di maggiorazioni quali, nel caso di prestazioni professionali, quelle dovute all'urgenza con cui attività sia stata svolta. Invece, nell'ipotesi di prestazione professionale resa da un avvocato in favore della P.A. in forza di un contratto nullo per difetto della forma scritta, l'indennizzo per arricchimento ingiustificato può essere in via equitativa determinato con richiamo alle tariffe professionali, intese quali meri parametri e, quindi, con esclusione di quelle maggiorazioni altrimenti previste per le peculiari modalità secondo le quali la prestazione sia stata presa ad esempio la maggiorazione per l'urgenza . Più nello specifico, l'indennizzo da ingiustificato arricchimento in questi casi può essere quantificato in via equitativa avendo come parametro la tariffa professionale quando dall'applicazione di quest'ultima il depauperato non consegue il profitto mancato, identificabile nel corrispettivo pieno tanto si realizza là dove restino escluse nel calcolo dell'indennità quelle maggiorazioni altrimenti previste nella tariffa professionale per le modalità ed i tempi secondo cui la prestazione è stata resa o trovino invece applicazione i minimi tariffari a fronte di un compenso pattuito in misura superiore. La differenza tra quanto riconosciuto in via di indennizzo e quando sarebbe stato altrimenti dovuto al professionista in via risarcitoria è il profitto, il cui mancato riconoscimento, in forza dello strumento di cui all'art. 2041 c.c., consente di mantenere la distinzione tra il rimedio risarcitorio ed il rimedio recuperatorio. Questa soluzione - termina la Suprema Corte - si inserisce nel solco tracciato anche da precedente pronuncia della medesima sezione relativa ad una ipotesi di prestazione professionale resa per contratto stipulato con un ente locale che mancava della forma scritta. Anche in quel caso si è affermata l'utilizzabilità - quale parametro di quantificazione dell'indennizzo ex art. 2041 c.c. - delle tariffe professionali, previo scomputo delle maggiorazioni che avrebbero potuto trovare applicazione ove fosse stato stipulato un valido contratto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 marzo – 24 maggio 2019, n. 14329 Presidente Giancola – Relatore Scalia Fatti di causa 1. Con ricorso proposto L. Fall., ex artt. 101 e 111-bis presso il Tribunale di Benevento, Sezione fallimentare, l’avvocato F.F. instava per l’ammissione tardiva del credito vantato nella procedura di liquidazione coatta amministrativa del Consorzio Agrario Provinciale di Benevento, chiedendo, in via principale, di accertarsi che tra le parti, all’ambito dell’assistenza continuativa svolta dall’istante, si erano perfezionati due incarichi professionali per prestazioni rese dal legale e dirette la prima, alla predisposizione di una relazione tecnico contabile sulla fattibilità e convenienza della proposta di concordato L. Fall., ex art. 214 la seconda, alla redazione di un parere scritto in ordine alla cedibilità delle azioni revocatorie in caso di concordato. Segnatamente, il legale chiedeva in via principale l’ammissione al passivo della procedura, del credito previo accertamento della sussistenza del contratto di incarico professionale e del suo inadempimento ed in via subordinata avanzava istanza ai sensi dell’art. 2041 c.c. per Euro 2.431.375,65, oltre spese generali ed accessori di legge, quanto all’assistenza continuativa prestata, chiedendo altresì la somma di Euro 1.525,00 per il distinto parere reso sulla cedibilità delle azioni, in prededuzione ai sensi della L. Fall., art. 111. Intervenuta contestazione delle poste creditorie, il Tribunale provvedeva a mutare il rito applicando quello ordinario di cognizione e con sentenza depositata il 12 dicembre 2014, ritenendo che il credito azionato dovesse essere trattato secondo il procedimento di insinuazione tardiva di crediti, esclusa la sussistenza di un valido contratto di opera professionale, rigettava la domanda principale ed accoglieva quella subordinata, liquidando il dovuto in applicazione delle tariffe stabilite nel D.M. n. 127 del 2004, tabella D, stragiudiziale, in Euro 25.180,20 per la redazione della relazione tecnico-giuridico contabile, in Euro 217.957,36 ed in Euro 1.525,00 oltre accessori rispettivamente per le prestazioni di assistenza svolte per l’accesso a procedure concorsuali in favore del commissario liquidatore e del commissario ad acta e per il parere reso in ordine alla cedibilità delle azioni revocatorie. Il Commissario liquidatore e l’avvocato F. proponevano rispettivamente appello principale ed incidentale avverso l’indicata sentenza dinanzi alla Corte territoriale di Napoli che rigettando entrambi, con sentenza depositata il 16 ottobre 2017, confermava quella di primo grado. 2. Il Consorzio Agrario Provinciale di Benevento s.c.a.r.l. ricorre in cassazione avverso l’indicata sentenza con sei motivi. Il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e violazione di legge in punto di diminuzione patrimoniale sofferta dal professionista, integrativa del ritenuto ingiustificato arricchimento, avendo altresì la Corte territoriale confermato l’applicazione delle tariffe ex D.M. n. 127 del 2004 incorrendo in contraddizione, valendo queste ultime alla determinazione del compenso professionale e non della diminuzione patrimoniale sofferta ex art. 2041 c.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo consistente nella insussistenza di alcuna diminuzione patrimoniale sofferta dal legale e di circostanze che ne avrebbero reso impossibile la prova la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004 di cui dovevano applicarsi le previsioni della tabella A sugli onorari giudiziali l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio consistente nella circostanza che il legale non avrebbe svolto attività di assistenza-consulenza delle attività e passività della procedura. Resiste con controricorso l’avvocato F. che propone domanda per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. e in via preliminare solleva questione circa la tardività del ricorso per cassazione perché proposto oltre il termine di 30 gg. previsto dalla L. Fall., art. 99, dimidiato, nella formulazione applicabile ratione temporis ex D.Lgs. n. 5 del 2006, rispetto al termine di gg. 60 previsto dal codice di rito civile. La sentenza della Corte di appello era stata notificata al Consorzio presso l’indirizzo pec di entrambi i procuratori costituiti il 17 ottobre 2017 là dove il ricorso per cassazione era stato notificato al resistente soltanto in data 18 dicembre 2017. Con ordinanza interlocutoria in data 25 settembre 2018 la sesta sezione civile, sottosezione prima, h rimesso il ricorso all’odierna pubblica udienza nella ritenuta assente ”allo stato, precisa evidenza delle condizioni di applicabilità ratione temporis della disciplina di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006, con cui è stato disposto che al procedimento di accertamento delle domande tardive si applicano le disposizioni di cui alla L. Fall., artt. da 93 a 99 . 3. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. In via preliminare occorre esaminare la questione, introdotta dall’avvocato F.F. con controricorso, sulla tardività del ricorso per cassazione introdotto dal Consorzio Agrario Provinciale di Benevento Scarl, in LCA, d’ora in poi per brevità solo CAP, perché proposto nella inosservanza del termine, dimidiato, di trenta giorni di cui alla L. Fall., art. 99. La questione è infondata. 1.1. La procedura coatta amministrativa del CAP, è stata pacificamente in atti avviata con decreto del Ministero delle Politiche Agricole del 1996 istanza di ammissione al passivo dell’avvocato F. del 13 luglio 2011 e p. 5 della Relazione tecnico-giuridico-contabile ad essa allegata sub n. 3 pertanto, senza che in segno contrario rilevi la data in cui l’avvocato F. ha proposto, il 13 luglio 2011, l’istanza di ammissione per il vantato credito di massa, il rito applicabile, e correttamente applicato in primo e secondo grado dai giudici di merito, è quello ordinario per il principio dell’ultrattività delle disposizioni previgenti al D.Lgs. n. 5 del 2006. L’art. 150 del D.Lgs. n. 5 cit., rubricato Disciplina transitoria , con riferimento a procedure già pendenti impone infatti di trattare il giudizio secondo la legge anteriore, nella specie da individuarsi nel rito ordinario di cognizione previsto dalla L. Fall., art. 101, nella sua originaria formulazione, per la promossa insinuazione tardiva di un credito al passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa. Secondo persuasivo principio affermato da questa Corte di legittimità, affermativo della necessità che tutte le posizioni creditorie verso il fallito vengano sottoposte ad un accertamento unitario, nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, tutti i diritti di credito sono tutelabili esclusivamente nelle forme di cui alla L. Fall., art. 201 che rinvia sia all’art. 52, regolante il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, sia all’art. 51, che sancisce il divieto di azioni esecutive singolari sui beni compresi nel fallimento, senza distinguere tra creditori della massa e concorsuali , L. Fall., artt. 207 e 209 la previsione di un’unica sede concorsuale comporta la necessaria concentrazione presso un solo organo giudiziario delle azioni dirette all’accertamento del passivo, e l’inderogabile osservanza di un rito funzionale alla realizzazione del concorso di tutti i creditori, e, perciò, anche di coloro la cui pretesa trovi titolo nell’amministrazione della procedura, cui è assegnato il primo posto nell’ordine di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo, in qualità di crediti prededucibili L. Fall., ex art. 111 Cass. 09/01/2013 n. 339 in termini Cass. 13/08/2015 n. 16844 . Nell’indicata premessa resta altresì fermo, quale suo logico corollario, il principio pure affermato da questa Corte di legittimità e per il quale la sentenza del tribunale che decida un’opposizione allo stato passivo in una procedura di amministrazione straordinaria in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, è impugnabile con l’appello, e non mediante il ricorso per cassazione, sancendo l’art. 150 di tale decreto l’applicabilità del rito novellato previsto per le suddette opposizioni nell’ambito del fallimento - alla cui disciplina rinvia, per i medesimi giudizi esperiti durante l’amministrazione straordinaria, il D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 53, a sua volta richiamato dal D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 febbraio 2004, n. 39 - esclusivamente alle procedure concorsuali apertesi successivamente a quella data Cass. 03/09/2013 n. 20168 in termini Cass. 24/07/2015 n. 15567 . Più puntualmente, quindi, in stretta derivazione dagli enunciati principi, può affermarsi che all’istanza di insinuazione tardiva di un credito promossa ai sensi della L. Fall., art. 101 rispetto al passivo di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, pendente al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, si applica il rito ordinario essa è pertanto definita non con decreto non appellabile e ricorribile per cassazione entro il termine di trenta giorni, secondo le novellate previsioni dell’art. 99, ma, secondo previgente disciplina, con sentenza che resta impugnabile con l’appello e quindi ricorribile in cassazione nel termine di sessanta giorni, sancendo il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 150 l’applicabilità del rito novellato esclusivamente alle procedure concorsuali apertesi successivamente a quella data . Il ricorso per cassazione del CAP notificato nel termine di sessanta giorni avverso sentenza di appello che ha pronunciato sulla domanda di insinuazione tardiva della Corte di appello di Napoli è pertanto tempestivo. 1.2. Il promosso mezzo resta tempestivamente introdotto anche, in applicazione dei principi dell’apparenza e della tutela della buona fede declinati nell’accezione processuale, in ragione del rito che in concreto è stato applicato e della qualificazione che della proposta istanza è stata data dai giudice del merito, anche se quest’ultima risulti erratamente posta. Si tratta invero del principio dell’ultrattività del rito, specificazione del più generale canone per il quale l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice Cass. 09/08/2018 n. 20705 Cass. 08/01/2019 n. 210 . Avendo i giudici di merito trattato in primo e secondo grado la domanda di insinuazione al passivo nelle forme ante vigenti alla novella ex D.Lgs. n. 5 del 2006, anche il giudizio di cassazione resta assoggettato, quanto a contenuti e termini di proposizione, alla previgente normativa. Venendo ai singoli motivi. 2. Con il primo motivo di ricorso il CAP, in liquidazione coatta amministrativa, denuncia la nullità dell’impugnata sentenza per omessa motivazione nell’inosservanza, da parte dei giudici di appello, dell’obbligo imposto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Le pagine dell’impugnato titolo passano, nella osservata numerazione, direttamente dalla 19 alla 21 lasciando in tal modo registrare la mancanza di una pagina, la numero 20, con conseguente non comprensibilità della motivazione, obiettivamente inidonea a far conoscere l’iter logico seguito dal giudice di appello nella formazione del suo convincimento che sarebbe, in tal modo, rimasto non scrutinabile. Il motivo è infondato. Appartiene alle più recenti pronunzie di questa Corte di legittimità l’affermazione per la quale, in esito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza - di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale , di motivazione apparente , di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile , al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico , che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia n. 23940 del 12/10/2017 in termini n. 22598 del 25/09/2018 . In applicazione dell’indicato principio si ha che la motivazione della sentenza impugnata non è tale da prestarsi ad una valutazione di apparenza o di insanabile contraddittorietà o incomprensibilità là dove, richiamando i principi fatti propri da Cass. SU n. 23385 del 2008 in materia di azione di arricchimento ingiustificato - in una fattispecie in cui il giudice del merito, nella invalidità del contratto concluso con la p.A., aveva escluso la quantificazione dell’indennizzo potesse avvenire per richiamo ai corrispettivi contrattuali - conclude nel senso che la decisione appellata abbia fatto conforme applicazione dei principi giurisprudenziali , escludendo, quanto al professionista istante ed ai rivendicati corrispettivi, le maggiorazioni dovute all’urgenza ed alle modalità della prestazione intellettuale svolta che se riconosciute avrebbero rappresentato l’indennizzo di un utile del professionista, come tale non indennizzabile , nel presupposto richiamo alle tabelle professionali, mitigate negli effetti. Posti in sequenza i principi indicati nella segnalata sentenza adottata a Sezioni Unite da questa Corte di legittimità e le conclusioni riportate si ha contezza, senza che si realizzino disorientanti soluzioni di continuità nell’argomentare logico adottato dalla Corte territoriale, di affermazioni di principio che previamente individuate risultano poi deduttivamente applicate e per i quali ove si tratti di azione di arricchimento ingiustificata promossa rispetto ad attività professionale svolta in base a titolo nullo, le tariffe possono costituire parametro di stima dell’impoverimento del professionista con esclusione però, quanto alle prime, di quelle previsioni che, di stretta applicazione rispetto a fattispecie in cui la prestazione sia resa nell’ambito di un contratto validamente concluso, ove positivamente ritenute integrerebbero invece un utile non indennizzabile ex art. 2041 c.c 3. Con il secondo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nella parte in cui, nel confermare la quantificazione dell’indennità operata dal primo giudice, avrebbe commisurando l’indennizzo alle tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004 che, in quanto relativo alla retribuzione che il professionista avrebbe percepito ove il contratto fosse stato valido ed efficace, avrebbe impropriamente equiparato situazione differenti di contro al portato della giurisprudenza di legittimità. Ammesso invero che le indicate tariffe potessero valere per determinare l’arricchimento del beneficiato, le stesse non avrebbero potuto intendersi a base della diminuzione patrimoniale sofferta dal professionista. 4. Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 consistito nella insussistenza di alcuna diminuzione patrimoniale subita dall’avvocato F. nel rilievo difensivo che, anche ove si accedesse ad una valutazione equitativa del danno, la prova dell’esistenza del pregiudizio ricadrebbe comunque sul danneggiato. 5. Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame nei termini già indicati di circostanze che avrebbero reso impossibile o estremamente difficile per il professionista offrire prova dell’entità della diminuzione patrimoniale subita. 6. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004 le prestazioni ulteriori rispetto alla relazione tecnico-contabile sarebbero state erroneamente qualificate come di assistenza in procedure concorsuali giudiziali e stragiudiziali con conseguente individuazione del parametro di riferimento all’attività di cui al n. 4 della Tabella D - stragiudiziale là dove avrebbero dovuto trovare invece applicazione le tariffe previste per l’attività giudiziale, in siffatti termini dovendosi qualificare la proposta di concordato nell’ambito di una procedura concorsuale, con conseguente applicazione del principio, di ferma individuazione nella giurisprudenza di legittimità, che vuole che si riconosca al professionista il compenso per l’attività stragiudiziale ove essa non sia complementare a quella giudiziale. 7. Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio integrato dalla circostanza del non avere l’avvocato F. svolto una continua attività di assistenza/consulenza per la determinazione delle attività e delle passività della procedura, operando, in difetto, i criteri della diversa tariffa giudiziale. La Corte di merito avrebbe mancato di offrire risposta alla deduzione difensiva contenuta nell’atto di appello e per la quale si faceva valere la stessa ammissione del legale di aver quantificato debiti e crediti del CAP esclusivamente dagli uffici dell’azienda, essendosi egli limitato a motivare la convenienza giuridica della proposta di concordato. 8. Possono trattarsi congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di ricorso per i quali viene al giudizio di questo Collegio, nei termini in contestazione, il tema della riconoscibilità dell’indennità da arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c. al professionista che abbia reso la propria prestazione in favore della p.A. in mancanza di stipula di apposita convenzione in forma scritta. L’art. 2041 c.c. con lo stabilire che chi, senza giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale nel correlare le posizioni di arricchimento e di pregiudizio patrimoniale prevede di quest’ultimo la compensabilità non per l’intero, ma solo per quanto destinato a tradursi in un profitto o vantaggio dell’arricchito. L’indennità prevista dall’indicato rimedio deve perciò essere contenuta nei limiti della locupletazione, se questa è inferiore all’altrui impoverimento, e nei limiti dell’impoverimento ove l’arricchimento sia maggiore. L’attribuzione di siffatti contenuti all’indicata norma origina dall’esigenza di evitare indebite sovrapposizioni tra la funzione propria dell’actio in rem verso e quella risarcitoria dell’azione aquiliana, rischio arginato dalla valorizzazione del dato obiettivo dello squilibrio tra le posizioni del soggetto arricchitosi dell’altrui prestazione o opera e di colui che ne risulti depauperato, ferma restando, nella definizione dell’istituto dell’arricchimento ingiustificato, l’esclusione dell’elemento soggettivo dell’agente si veda Cass. SU 11/09/2008 n. 23385, in motivazione p. 32 . Nell’azione di cui all’art. 2041 c.c. là dove si abbia riguardo ad una prestazione professionale resa da un professionista in favore della p.A. in forza di un contratto invalido per mancanza della forma scritta ad substantiam resta non indennizzabile l’utile che il primo, soggetto depauperato, avrebbe conseguito ove la prestazione fosse stata da lui resa nell’ambito di un valido contratto detto utile resta definito dal pieno allineamento dell’indennizzo al corrispettivo del contratto comprensivo di maggiorazioni quali, nel caso di prestazioni professionali, quelle dovute all’urgenza con cui l’attività sia stata svolta. Nell’ipotesi di prestazione professionale resa da un avvocato in favore della p.A. in forza di un contratto nullo per difetto della forma scritta di legge, l’indennizzo per arricchimento ingiustificato di cui all’art. 2041 c.c. può essere in via equitativa determinato con richiamo alle tariffe professionali, intese quali meri parametri e quindi con esclusione di quelle maggiorazioni altrimenti previste per le peculiari modalità secondo le quali la prestazione sia stata resa maggiorazione per l’urgenza o in applicazione dei minimi tariffari a fronte di una diversa e maggiore quantificazione invece convenuta nel contratto nullo. L’indennizzo da ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., in ipotesi di prestazione professionale resa da privato in favore della p.A. per un contratto invalido per mancanza di forma scritta, può essere quantificato in via equitativa avendo come parametro la tariffa professionale quando dall’applicazione di quest’ultima il depauperato non consegua il profitto mancato, identificabile nel corrispettivo pieno tanto si realizza là dove restino escluse nel calcolo dell’indennità quelle maggiorazioni altrimenti previste nella tariffa professionale per le modalità ed i tempi secondo cui la prestazione è stata resa maggiorazione per l’urgenza o trovino invece applicazione i minimi tariffari a fronte di un compenso pattuito in misura superiore. La differenza tra quanto riconosciuto in via di indennizzo e quanto sarebbe altrimenti spettato al professionista in via risarcitoria è il profitto il cui mancato riconoscimento in forza dello strumento di cui all’art. 2041 c.c. consente di mantenere la distinzione tra rimedio risarcitorio e rimedio recuperatorio . L’indicata soluzione, ritiene il Collegio, si inserisca nel solco tracciato dalla sentenza adottata da questa stessa prima sezione Cass. n. 21227 del 2011 , in una ipotesi di prestazione professionale resa per contratto stipulato con un ente locale che mancava della forma scritta, in cui pure si è affermata l’utilizzabilità quale parametro di quantificazione dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. delle tariffe professionali, previo scomputo delle maggiorazioni che avrebbero potuto trovare applicazione ove fosse stato stipulato un valido contratto, nella natura di somma urgenza delle opere progettate. Nè si apprezzano come obliterati i principi affermati nella sentenza a SSUU n. 23385 del 2008 che, chiamata a risolvere un contrasto in ordine ai criteri di calcolo dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. in una fattispecie di appalto di opere pubbliche, aveva escluso che potesse costituire anche mero parametro di riferimento la revisione prezzi in quanto meccanismo sottoposto per legge a precisi limiti, il primo dei quali costituito dall’esistenza di un valido contratto ed in quanto rappresentativo di quel profitto, integrativo del giusto corrispettivo di contratto , non recuperabile ex art. 2041 c.c., nella natura eterogenea del rimedio sussidiario rispetto all’azione risarcitoria. Rimane per l’indicata pronuncia, ritiene questo Collegio, la praticabilità di scelte interpretative, pure sostenute dalla giurisprudenza della prima sezione civile Cass. n. 21227 cit. Cass. n. 19942/2011 Cass. n. 351/2017 , dirette ad offrire margini, nella non sovrapponibilità tra le voci del lucro cessante , oggetto di risarcimento, e del depauperamento esito dell’arricchimento ingiustificato, per l’applicabilità, quale mero parametro di stima, delle tariffe professionali. Tanto è destinato a valere anche rispetto all’ulteriore estremo, pure richiamato dalla norma in applicazione, dell’arricchimento del soggetto che si avvantaggi dell’altrui prestazione che condivide con il depauperamento - nella valutazione comparativa a cui il giudice di merito è chiamato in applicazione del rimedio di cui all’art. 2041 c.c., in cui i primi restano obiettivamente accumunati dalla mancanza di giustificazione della prestazione -omogeneità di natura Cass. n. 19942 e n. 351 citt. . L’ulteriore motivo, con cui si denuncia vizio di motivazione per omesso esame dell’insussistenza di una diminuzione patrimoniale in capo al professionista, è assorbito nel rilievo che per esso resta, in realtà, censurata la scelta interpretativa compiuta dal giudice dell’impugnata sentenza e quindi, ed ancora, la violazione di legge fatta valere con il precedente motivo. Il motivo è comunque infondato. In tema di azione generale di arricchimento, per la sua fondatezza è necessario il concorso simultaneo dell’arricchimento del soggetto che della prestazione si sia giovato e della diminuzione patrimoniale di colui che la prestazione abbia reso, termini che, collegati tra loro, restano connessi ad un unico fatto costitutivo, integrato dalla mancanza di giustificazione della perdita dell’uno come dell’arricchimento dell’altro. Ciò posto, la nozione di impoverimento, ossia di correlativa diminuzione patrimoniale , ai sensi dell’art. 2041 c.c., non implica affatto che l’attore debba dimostrare di avere perso delle favorevoli occasioni per impiegare in termini alternativi e redditizi le sue energie, ma impone, semplicemente, di verificare se l’impegno profuso senza titolo a vantaggio di altri sia suscettibile di essere valutato economicamente Cass. 16/05/2018 n. 12014 . Soddisfatto l’estremo da ultimo indicato, avendo l’avvocato F.F. provato la prestazione per la quale egli non è stato pagato, così sostenendo la sussistenza della perdita patrimoniale subita senza necessità di prova, il motivo è, anche per l’indicato profilo, infondato. 9. Con il quarto motivo, deducendosi l’omesso esame delle circostanze che avrebbero reso impossibile o estremamente difficile per il legale offrire la prova dell’entità della diminuzione patrimoniale subita, si contesta la valutazione operata dalla Corte di merito e già scrutinata per i precedenti motivi per un giudizio di equità destinato ad assumere come meri parametri le tariffe professionali. Restano fermi i principi più sopra affermati e le raggiunte conclusioni di infondatezza dei motivi. 10. Il quinto ed il sesto motivo con cui si deduce la violazione del D.M. n. 127 del 2004 per le prestazioni ulteriori svolte dall’avvocato F.F. , rispetto alla predisposizione della consulenza tecnico-contabile, sono infondati perché la critica svolta è diretta a contestare valutazioni in merito compiute dalla Corte di appello di Napoli in ordine alla congruità degli onorari richiesti in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale che, come tali, non sono censurabili in cassazione Cass. 02/02/2018 n. 2575 . 11. La domanda per lite temeraria proposta ex art. 96 c.p.c. dal resistente resta assorbita. 12. Il ricorso proposto va pertanto rigettato con condanna del ricorrente alle spese di giudizio come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso proposto dal Consorzio Agrario Provinciale di Benevento Scarl, in LCA, in persona del Commissario Liquidatore e legale rappresentante pro-tempore, che condanna al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in favore di F.F. in Euro 10.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.