Procura alle liti: chi la conferisce non sempre è il ""cliente"" dell'avvocato

Al rilascio della procura ad litem non corrisponde necessariamente un contratto di patrocinio fra le stesse parti, potendosi verificare che il rilascio della procura avvenga in ragione di un mandato sostanziale da altri rilasciato.

La Sez. II della Cassazione ordinanza n. 6905/19, depositata l'11 marzo , ha chiarito quali sono i rapporti tra conferimento del mandato professionale contratto di patrocinio e la sottoscrizione della procura alle liti profili tra loro distinti per finalità ed effetti. Il caso. Un avvocato agiva per ottenere il pagamento degli onorari relativi all'attività professionale svolta in due giudizi, nei confronti di più soggetti dai quali aveva ricevuto mandato. Meglio dire che tutti i soggetti convenuti in giudizio avevano sottoscritto la procura alle liti, ma secondo il Tribunale, prima, e la Corte d'appello, poi, solo alcuni di essi potevano essere considerati clienti dell'avvocato, e in quanto tali tenuti al pagamento della parcella. Chi sottoscrive la procura alle liti va considerato cliente dell'avvocato? Risposta negativa della Cassazione. Infatti, la procura alle liti e il mandato sostanziale sono due aspetti tra loro diversi. Tanto è vero che gli Ermellini, come prima cosa, ricordano essere principio consolidato quello secondo cui, in tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale c.d. contratto di patrocinio con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Qual è la funzione della procura alle liti? Ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem , essendo quest'ultima richiesta solo per lo svolgimento dell'attività processuale. In altre parole, non sussiste una corrispondenza diretta dal punto di vista soggettivo fra la procura alle liti ed il contratto di patrocinio, tale per cui dal mandato processuale rilasciato da un soggetto a favore di un legale debba necessariamente evincersi l'esistenza di un contratto di patrocinio fra le medesime parti per cui il primo è il cliente del secondo , ben potendo verificarsi che l'incarico sia affidato da un soggetto nell'interesse di un terzo che solo ai fini dell'eventuale attività giudiziale rilascia la procura ad litem . In conclusione sul punto, al rilascio della procura ad litem non corrisponde necessariamente un contratto di patrocinio fra le stesse parti, potendosi verificare che il rilascio della procura avvenga in ragione di un mandato sostanziale da altri rilasciato. Se il cliente contesta di aver stipulato un contratto di patrocinio, la procura alle liti può risolvere i dubbi? Risposta coerentemente negativa della Suprema Corte. Infatti, a fronte della contestazione dell'esistenza di un contratto di patrocinio fonte dell'obbligazione di pagamento del compenso dell'avvocato, la prova dello stesso non può essere fornita in termini esaustivi mediante la procura alle liti, trattandosi di un atto unilaterale autonomo diverso, per genesi ed effetti, dal contratto con cui si instaura il rapporto di patrocinio legale. La prova per testi è ammessa se relativa a fatti successivi al rilascio della procura alle liti? Il professionista ricorrente per cassazione aveva censurato la sentenza della Corte territoriale anche perché essa aveva ritenuto corretta la decisione sulla ammissibilità delle prove testimoniali richieste dalle parti convenute in relazione a patti aggiunti o contrari al contenuto di una prova scritta, quale la procura alle liti, in tal modo violando il disposto dell'art. 2722 c.c Ebbene, secondo i Giudici di legittimità, il principio di diritto applicato dalla Corte territoriale - secondo il quale il divieto stabilito dall'art. 2722 c.c. di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento si riferisce al documento contrattuale, ossia formato con l'intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione -, esprime un orientamento pacifico e consolidato la cui efficacia non può ragionevolmente essere limitata alle quietanze o alle ricognizioni di debito, dal momento che la regola trae la sua giustificazione dalla natura contrattuale dell'atto e non dal contenuto dello stesso. Infatti, la stessa Suprema Corte aveva avuto occasione di precisare che il divieto di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, previsto dall'art. 2722 c.c., si riferisce al documento contrattuale, formato con l'intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione, e non opera con riguardo ad una quietanza, che è atto contenente una dichiarazione unilaterale. Per cui, tornando al caso concreto, la prova per testi era stata considerata correttamente ammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 15 giugno 2018 – 11 marzo 2019, n. 6905 Presidente Matera - Relatore Casadonte Rilevato che - la vicenda oggetto del giudizio trae origine dai due distinti ricorsi L. n. 794 del 1942, ex art. 28, proposti dal prof. avv. C.M. nei confronti di M.N.M. , M.N.T. , M.N.C. , Me.Ne.Ma. , M.N.S. e Me.Nu. vedova M.N. nonché M.N.V. , per il pagamento degli onorari per l’attività professionale svolta in due giudizi, uno diretto alla risoluzione del contratto di affitto di azienda omissis ed alla condanna dell’affittuario al risarcimento dei danni e l’altro diretto all’annullamento del marchio registrato dal signor P.F. , già affittuario della suddetta azienda - costituendosi le convenute, ad eccezione di M.N.V. , eccepivano di essere clienti di altri avvocati e contestavano la pretesa creditoria azionata dal legale - il tribunale adito, riuniti i giudizi ed esperita l’istruttoria testimoniale, rigettava le domande proposte dal prof. avv. C. nei confronti delle convenute, ad eccezione della M.N.V. , con condanna dell’attore alla rifusione delle spese di lite a favore delle stesse - al contempo accoglieva parzialmente la domanda proposta nei confronti di M.N.V. nel limite di Euro 300.000,00, oltre accessori ed interessi, in relazione al primo incarico, e nella misura di Euro 59.078,98 in relazione al secondo incarico - a fondamento della decisione il tribunale riteneva rilevante e decisiva la distinzione fra il rapporto processuale derivante dal mandato o procura ad litem con il quale difensore è investito del potere di rappresentanza in giudizio della parte dal rapporto interno tra difensore e colui che conferisce l’incarico professionale, solo quest’ultimo qualificabile come cliente , e non necessariamente coincidente con il soggetto autore della procura - riteneva che nel caso di specie era risultato all’esito dell’istruttoria testimoniale che l’incarico professionale era stato conferito al prof. avv. C. dalla sola M.N.V. , mentre le altre convenute si erano limitate a firmare la procura congiunta alle liti che prevedeva accanto al prof. avv. C. la designazione di altri codifensori, ai quali avevano conferito l’incarico professionale ed assunto il relativo onere di pagamento - avverso tale pronuncia proponevano appello in via principale il prof.avv. C. e, in via incidentale, la signora M.N.V. - la Corte d’appello di Bari con la sentenza n. 1366 pubblicata il 29 ottobre 2013 rigettava l’appello principale proposto nei confronti di M.N.M. , C. , T. , Ma.Ro. , S. e di Me.Nu. con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite a favore delle appellate, mentre in accoglimento dell’appello principale proposto nei confronti di M.N.V. rideterminava in Euro 400.000 gli onorari spettanti al prof.avv. C. in relazione alla prima causa patrocinata dall’attore - in particolare, e per quanto ancora di interesse, la corte d’appello confermava la correttezza della decisione del giudice di prime cure relativamente alla considerazione che la procura alle liti costituisce un negozio unilaterale endoprocessuale, indice meramente presuntivo dell’autonomo rapporto sostanziale di patrocinio, generatore del diritto al compenso professionale - non poteva, perciò, costituire prova del contratto, ma solo un mero indizio che, nella fattispecie in esame, era rimasto isolato perché confutato dalla plurisoggettività attiva e passiva sette parti quattro avvocati e dalle prove orali raccolte, oltre che dalla documentazione offerta - la cassazione della sentenza d’appello è stata chiesta da D.C.M.A. , da C.E. , C.D. , C.A. in qualità tutti di eredi del prof. avv. C.M. deceduto il omissis con ricorso notificato il 25 marzo 2014 nei confronti M.N.M. , T. , Ma. , C. e S. e Me.Nu. nonché di M.N.V. ed articolato su quattro motivi, cui resistono M.N.M. , T. , S. , C. e Ma. , queste ultime due sia in proprio che nella qualità di procuratrici generali della signora Me.Nu. - non ha svolto attività difensiva M.N.V. -le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. Considerato che - con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1294, 1704, 1708, 1709,1716, 1720, 1726 e 1730 c.c., e art. 83 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d’appello ritenuto che il rilascio della procura ad litem non presupponga il rapporto sottostante di clientela fra le medesime persone , ma ne costituisca soltanto un indice presuntivo, facendo così erroneamente, ad avviso del ricorrente, applicazione dei principi elaborati da questa corte al fine della individuazione del soggetto tenuto al pagamento delle prestazioni professionali del prof. avv. C. - nell’applicazione dei principi regolatori della materia la corte barese aveva ritenuto che tenuto al pagamento delle competenze professionali è colui che dà l’incarico al legale e che è parte del contratto di prestazione d’opera intellettuale, non necessariamente coincidente con la stessa persona che conferisce la procura ad litem - con l’ulteriore conseguenza che la sottoscrizione del mandato alle liti non era stata correttamente apprezzata ai fini della ricostruzione dei rapporti tra le parti - al contrario, ad avviso di parte ricorrente, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che il mandato alle liti implica sempre e presuppone un rapporto di clientela, sicché nel caso di specie era fondata la domanda nei confronti di coloro che avevano conferito per iscritto il mandato alle liti cfr. Cass. 8388/1997, in cui si precisa che la procura alle liti come atto interamente disciplinato dalla legge processuale è insensibile alla sorte del contratto di patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale relativa al mandato, per cui la nullità del secondo non determina in capo al difensore il venir meno dello ius postulandi attribuito con la procura - il motivo non può trovare accoglimento perché la sentenza impugnata ha fatto corretta e puntuale applicazione delle norme regolatrici e dei consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia - configura, infatti, principio consolidato che in tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale cd. contratto di patrocinio con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte - conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem , essendo quest’ultima richiesta solo per lo svolgimento dell’attività processuale Cass. 14276/2017 id. 184450/2014 13963/2006 id. 10454/2002 - è ulteriore conseguenza di detto principio che non sussista una corrispondenza diretta dal punto di vista soggettivo fra la procura alle liti ed il contratto di patrocinio, tale per cui dal mandato processuale rilasciato da un soggetto a favore di un legale debba necessariamente evincersi l’esistenza di un contratto di patrocinio fra le medesime parti, per cui il primo è il cliente del secondo, ben potendo verificarsi che l’incarico sia affidato da un soggetto nell’interesse di un terzo che solo ai fini dell’eventuale attività giudiziale rilascia la procura ad litem - allo stesso modo e quale ulteriore corollario si deve ritenere che al rilascio della procura ad litem non corrisponda un contratto di patrocinio fra le stesse parti, potendosi verificare che il rilascio della procura avvenga in ragione di un mandato sostanziale da altri rilasciato - ciò è quanto i giudici di merito hanno ravvisato essere accaduto nel caso di specie e ciò non significa, come invece sostenuto dai ricorrenti, che il rilascio della procura ad litem sia privo di effetti giuridici - significa, piuttosto, che a fronte della contestazione dell’esistenza di un contratto di patrocinio fonte dell’obbligazione di pagamento del compenso dell’avvocato come nel caso di specie , la prova dello stesso non possa essere fornita in termini esaustivi mediante la procura alle liti, trattandosi di un atto unilaterale autonomo diverso, per genesi ed effetti, dal contratto con cui si instaura il rapporto di patrocinio legale - non può neppure dedursi argomento a favore di tale tesi dalla giurisprudenza richiamata dai ricorrenti e pure citata nella sentenza impugnata cfr. Cass. 4959/2012 24010/2004 secondo la quale in ragione della possibilità che il soggetto che ha conferito l’incarico professionale sia diverso da quello che ha rilasciato la procura, è onere del difensore che agisce per il conseguimento del compenso, provare il contratto di patrocinio intervenuto con il terzo, dovendosi in difetto presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura - a ben vedere tale giurisprudenza, che riguarda il caso in cui il compenso si assume dovuto da persona diversa da quella che ha rilasciato la procura ad litem, conferma il principio che l’onere probatorio del contratto di patrocinio incombe sull’avvocato che domandi il compenso e che non può assolverlo, in caso di contestazione, mediante il mero richiamo alla procura processuale - con il secondo motivo si deduce la violazione falsa applicazione degli artt. 1716, 2697, 2722 c.c., artt. 83, 115, 116, 246 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto due profili - il primo censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale ritenuto corretta la decisione sulla ammissibilità delle prove testimoniali richieste dalle convenute in relazione a patti aggiunti o contrari al contenuto di una prova scritta, quale la procura alle liti, in tal modo violando il disposto dell’art. 2722 c.c., e travisando, ad avviso dei ricorrenti, la giurisprudenza di legittimità richiamata a conforto della decisione - il secondo per avere ammesso quali testi i codifensori prof. avv. Bonelli, avv. Giannattasio e avv. Vendemiale che avrebbero potuto assumere la veste di parti nel processo e per di più senza verificare l’attendibilità delle loro dichiarazioni - il primo profilo è destituito di fondamento atteso che il principio di diritto applicato dalla corte secondo il quale il divieto stabilito dall’art. 2722 c.c., di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento si riferisce al documento contrattuale, ossia formato con l’intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione, esprime un orientamento pacifico e consolidato cfr. più recentemente, Cass. 6109/2006 id. 5417/2014 id.11597/2015 , la cui efficacia non può ragionevolmente essere limitata alle quietanze o alle ricognizione di debito, dal momento che la regola trae la sua giustificazione dalla natura contrattuale dell’atto e non dal contenuto dello stesso - parimenti infondato appare il secondo profilo di doglianza, che non coglie la ratio della sentenza impugnata, ove si considera in termini prioritari e decisivi come l’eventuale sussistenza di cause di incapacità a testimoniare, fra le quali non rileva in via di principio il legame familiare, non risulti essere stata eccepita in tempo utile dalla parte interessata cfr. pag. 12 della sentenza e cioè dal prof. avv. C. - con il terzo motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere valorizzato in termini decisivi la circostanza consistita nell’impegno profuso dal prof. avv. C. nella difesa comune, come invece sarebbe stato desumibile dal documenti indicati dalla parte ricorrente - il motivo appare inammissibile perché non indica quale fatto storico non sarebbe stato adeguatamente esaminato e valorizzato dal giudice del gravame, finendo così per risolversi nella critica della decisione del giudice del merito al di fuori dei limiti ora previsti per il sindacato in sede di legittimità sulla motivazione - con il quarto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 96 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte barese dichiarato inammissibile il motivo di appello vertente sulla quantificazione delle spese poste a carico dell’attore in primo grado in quanto soccombente nei rapporti con le M.N. con esclusione della sig.ra V. - il motivo non è fondato poiché la sentenza impugnata esamina la doglianza dell’appellante e ciò comporta che non ricorra l’omessa pronuncia, la quale è ravvisabile allorché sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto cfr. Cass. 4972/2003 , mentre nel caso di specie il giudice d’appello ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di impugnazione - né la censura attacca il contenuto della decisione laddove la corte territoriale non è entrata nel merito della decisione sulle spese assunta dal giudice di prime cure in ragione della genericità del motivo di doglianza cfr. pag. 14 della sentenza - conclusivamente l’esito sfavorevole di tutti i motivi del ricorso giustifica il suo rigetto e la condanna di parte ricorrente, in applicazione del principio di soccombenza, alla rifusione delle spese di lite in favore della parte controricorrente costituita nella misura liquidata in dispositivo - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite e favore dei controricorrenti costituiti e liquidate in Euro 7200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.