È responsabile l’avvocato per omessa proposizione dell’impugnazione?

La responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, ma occorre verificare se l’evento produttivo del pregiudizio, lamentato dal cliente, sia riconducibile alla sua condotta, se vi sia stato un danno effettivo e se il cliente avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni se lo stesso difensore avesse tenuto il comportamento dovuto.

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4742/19, depositata il 19 febbraio. Il caso. Il Tribunale respingeva la domanda risarcitoria proposta, a titolo di responsabilità professionale, dagli attori contro l’avvocato incaricato della loro difesa in una controversia di risarcimento danni a seguito di un sinistro stradale, per il quale essi erano stati condannati in solido a risarcire il danno cagionato a un terzo. L’avvocato impugna una sola sentenza dinanzi alla Corte d’Appello, quella che condannava in solido i suoi clienti al pagamento della somma di denaro stabilita a titolo di risarcimento. Ad intervenire sulla questione relativa alla responsabilità professionale dell’avvocato è la Corte di Cassazione. Quando ricorre la responsabilità dell’avvocato. Le doglianze in questa sede si concentrano sul fatto che la responsabilità professionale dell’avvocato derivi dalla mancata impugnazione della sentenza del Tribunale che, pronunciandosi separatamente sulla domanda di mala gestio dei due attori contro l’assicuratore della rca, dichiarava di non poter emettere sentenza di condanna per tale titolo, posto che essa doveva essere proposta in sede amministrativa davanti al competente giudice. Come più volte affermato dalla Suprema Corte la responsabilità dell’avvocato, nel caso in esame per omessa proposizione di impugnazione, non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, ma occorre verificare se l’evento produttivo del pregiudizio, lamentato dal cliente, sia riconducibile alla condotta dell’avvocato stesso, se vi sia stato un danno effettivo e se il cliente avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni se lo stesso difensore avesse tenuto il comportamento dovuto. In caso contrario a mancare è il nesso eziologico tra la condotta del legale e il risultato derivatone, come avvenuto nel caso di specie. Per tali ragioni il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 gennaio – 19 febbraio 2019, n. 4742 Presidente Travaglino - Relatore Vincenti Rilevato che 1. - Con ricorso affidato a tre motivi, C.P. e la Ritmotex s.r.l. hanno impugnato la sentenza della Corte di appello di Firenze, in data 4 dicembre 2017, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale di Prato che, a sua volta, ne aveva respinto la domanda risarcitoria proposta, a titolo di responsabilità professionale, contro M.P. il quale aveva chiamato in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la Italiana Ass.ni S.p.A. , avvocato incaricato della loro difesa in una articolata controversia di risarcimento danni a seguito di sinistro stradale, per la quale i predetti C. e Ritmotex s.r.l. vennero condannati, in solido, unitamente alla propria compagnia di assicurazioni SIDA S.p.A., a risarcire il danno cagionato ad un terzo. 2. - In particolare, nell’ambito del giudizio promosso dal terzo danneggiato, il C. e la Ritmotex s.r.l., difesi dall’avv. M. , proposero, in via riconvenzionale, azione di responsabilità per mala gestio della SIDA, al fine di essere manlevati di quanto eventualmente condannati oltre il massimale assicurato, pari all’epoca a lire 100 milioni nel corso del giudizio la SIDA venne posta in liquidazione coatta amministrativa l.c.a. e la causa fu riassunta dai predetti convenuti nei soli confronti della procedura concorsuale della SIDA S.p.A. in l.c.a. e non dell’impresa designata per conto del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada FGVS . 2.1. - L’adito Tribunale di Prato, con sentenza n. 824/2001, decise sulla domanda risarcitoria del terzo danneggiato, con condanna solidale dei convenuti al pagamento della somma di Euro 236.101,83, oltre interessi, nonché accertò la mala gestio della SIDA S.p.A. in bonis e dichiarò che il debito della SIDA S.p.A. in l.c.a. era pari alla somma cui erano tenuti i convenuti, anche oltre il massimale assicurato. 2.2. - Lo stesso Tribunale di Prato, con separata sentenza n. 825/2001, si pronunciò sulla domanda di mala gestio del C. e della Ritmotex s.r.l. contro il proprio assicuratore e, pur riconoscendo detta responsabilità della SIDA in bonis, dichiarò di non poter emettere sentenza di condanna per tale titolo, dovendo la relativa domanda essere proposta in sede amministrativa dinanzi al competente Commissario liquidatore. 2.3. - L’avv. M. ritenne di impugnare al sola sentenza n. 824/2001, lasciando passare in giudicato la sentenza n. 825/2001. Sul gravame interposto, la Corte di appello di Firenze, con sentenza. n. 1780/2003, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò in solido il C. , la Ritmotex s.r.l. ed anche la SIDA S.p.A. in l.c.a., ma quest’ultima entro il limite di Euro 51.645,45, oltre interessi legali , al pagamento della somma risarcitoria di Euro 281.265,45, oltre interessi legali tale decisione passò in giudicato a seguito della sentenza 2309/2007 di questa Corte di cassazione. 3. - La Corte territoriale, con la sentenza impugnata in questa sede, osservava che 1 sul primo motivo di gravame concernente l’addebito al M. di omessa comunicazione della litis denuntiatio ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 25 , era insussistente la dedotta responsabilità del difensore, per aver questi effettuato in data 25 giugno 2001 , dopo la pubblicazione della sentenza n. 824/2001 e in pendenza del termine per la relativa impugnazione, la comunicazione all’impresa cessionaria del portafoglio della SIDA, da ritenersi dunque valida ed efficace ai fini della opponibilità al FGVS della sentenza di primo grado, come modificata dalla sentenza di appello poi divenuta definitiva 2 in ogni caso, il FGVS sarebbe stato comunque tenuto, in base a congruente accertamento giudiziale, a rispondere oltre il massimale anche per il comportamento di mala gestio tenuto dall’assicuratore in bonis, poi posto in l.c.a. a tuttavia, l’accertamento contenuto nella sentenza n. 824/2001 sulla mala gestio di SIDA era stato escluso, su impugnazione della stessa compagnia assicuratrice, dalla sentenza di appello n. 1780/2003, che oltre a dichiarare inammissibile l’appello di C. - Ritmotex concernente la domanda di essere manlevati oltre il massimale, per essere tale domanda oggetto del giudizio definito con la sentenza n. 825/2001, non impugnata rilevava l’errore di una condanna di SIDA, il cui massimale all’epoca era di cento milioni di lire, all’intera somma condannando, quindi, la stessa SIDA al pagamento nei limiti del massimale predetto , con la conseguenza che, con il passaggio in giudicato di tale decisione, il C. e la Ritmotex s.r.l. non potevano più, sul piano sostanziale, invocare in loro favore una responsabilità del FGVS oltre detto massimale di polizza per la mala gestio di SIDA 3 rimaneva, quindi, assorbito anche il terzo motivo di gravame sulla portata della sentenza n. 1780/2003 , avendo l’avv. M. , adempiendo alla propria obbligazione professionale di mezzi, impugnato in cassazione la sentenza di appello anzidetta proprio sulla declaratoria di inammissibilità dell’appello C. - Ritmotex là dove aveva escluso la possibilità di una pronuncia dichiarativa sulla domanda di mala gestio dell’assicurato contro SIDA 4 era infondato, per le ragioni anzidette, anche il secondo motivo di gravame sulla perdita definitiva della garanzia del FGVS per mala gestio di SIDA in bonis a seguito della omessa impugnazione della sentenza n. 825/2001 , là dove, peraltro, l’impugnazione della sentenza n. 825/2001 non avrebbe prodotto alcun risultato utile, perché sicuramente sarebbe stata rigettata , non potendosi pronunciare condanna contro soggetto in procedura concorsuale, ma dovendosi azionare il credito mediante ammissione al passivo della apertasi procedura 5 il quarto motivo di appello sull’omessa impugnazione della sentenza n. 1224/2009 del Tribunale di Prato, che aveva accolto l’opposizione di Consap S.p.A.-FGVS contro i decreti ingiuntivi emessi in favore di Ritmotex era inammissibile, per essere la stata dedotta la relativa responsabilità del M. solo in grado di appello. 4. - Resiste con controricorso M.P. . Non ha svolto attività difensiva in questa l’intimata Italiana Assicurazioni S.p.A I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio. Considerato che 1. - Con il primo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c La Corte territoriale, pur ponendo a base della propria decisione le prove documentali offerte dalle parti segnatamente, sentenze del Tribunale di Prato n. 824/2001 e n. 825/2001, della Corte di appello di Firenze n. 1780/2003, della Corte di cassazione n. 2309/2007 , non ha considerato che l’avv. M. - sebbene con i gravami avverso la sentenza n. 824/2001 e la sentenza n. 1780/2003 si fosse doluto della mancata decisione della domanda di manleva da opporre direttamente al FGVS per il pagamento di somme oltre il massimale e malgrado dette sentenze, nonché la sentenza n. 825/2001, avessero riconosciuto la mala gestio di SIDA - non è riuscito ad ottenere una pronuncia di condanna contro la SIDA in LCA da opporre al FGVS e per esso all’impresa designata e ciò perché ha omesso l’impugnazione della citata sentenza n. 825/2001, che devolveva la competenza in materia di mala gestio al Commissario Liquidatore della SIDA in LCA . Pertanto, la Corte territoriale, assumendo che la sentenza n. 1780/2003 avesse, da un lato, dichiarato inammissibile l’appello di essi attuali ricorrente e, dall’altro, emesso una sentenza di mero accertamento con la quale sostanzialmente ha escluso la mala gestio di SIDA , avrebbe violato il principio di disponibilità delle prove di cui all’art. 115 c.p.c. e pronunciato, in violazione dell’art. 112 c.p.c., su un’eccezione non sollevata da alcuna delle parti in causa . 2. - Con il secondo mezzo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2909 c.c La Corte territoriale - affermando che la sentenza n. 1780/2003 era di mero accertamento e che avrebbe sostanzialmente escluso la mala gestio della SIDA , nonostante la sentenza n. 2309/2007 della Cassazione su impugnazione dell’avv. M. avesse ritenuto che, per effetto dello stralcio dell’azione di manleva oggetto della sentenza n. 825/2001 , la SIDA dovesse necessariamente essere condannata nei limiti del massimale, essendo devoluta in quell’altra causa la questione della manleva per il supero - avrebbe travisato letteralmente i fatti, quale il giudicato della suindicata sentenza . 3. - Con il terzo mezzo è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2. La Corte territoriale, nel momento in cui ha ritenuto di porre a fondamento della sua decisione la questione, rilevata d’ufficio, relativa al tenore sostanziale della sentenza n. 1780/2003 della Corte di appello di Firenze, avrebbe dovuto, comunque, assegnare alle parti termini per il deposito di memorie, per il principio del contraddittorio, atteso che la suddetta questione non è di puro diritto, ma attiene ad un fatto , ancorché documentale, di causa . 4. - Il ricorso è inammissibile in tutta la sua articolazione. 4.1. - Le doglianze si incentrano, essenzialmente, sul presupposto ribadito con la memoria successivamente depositata dai ricorrenti che la responsabilità professionale dell’avv. M. derivi dalla mancata impugnazione della sentenza n. 825/2001 del Tribunale di Prato, che, nel pronunciarsi separatamente sulla domanda di mala gestio del C. e della Ritmotex s.r.l. contro il proprio assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale - e pur riconoscendo detta responsabilità in capo alla SIDA in bonis -, ha dichiarato di non poter emettere sentenza di condanna per tale titolo, giacché la relativa domanda era da proporsi in sede amministrativa dinanzi al competente Commissario liquidatore. Ciò malgrado - e diversamente da quanto i ricorrenti stessi hanno assunto con detta memoria la quale, peraltro, può avere solo carattere illustrativo, mentre si palesa inammissibile là dove integri e/o emendi le carenze degli originari motivi di ricorso tra le molte, Cass. n. 7237/2006, Cass. n. 3780/2015, Cass. n. 5355/2018 - le censure esposte in ricorso non intercettano affatto la ratio decidendi che si trova enunciata nella sentenza impugnata cfr. § 2 dei motivi della decisione secondo cui l’impugnazione della sentenza n. 825/2001 non avrebbe prodotto alcun risultato utile, perché sicuramente sarebbe stata rigettata, essendo pacifico che non si possa pronunciare alcuna sentenza di condanna avverso un soggetto sottoposto a procedura concorsuale, dovendo il creditore far valere il suo diritto mediante l’ammissione al passivo nell’ambito della procedura stessa cfr. L. Fall., artt. 43, 51 e 52, applicabili anche alla l.c.a. . La mancata impugnazione, tramite congruenti e specifiche censure, di tale ulteriore e autonoma ratio decidendi, rispetto alle altre esibite dalla sentenza impugnata cfr. sintesi al § 3 del Rilevato che , rende inammissibile il ricorso, essendo la medesima anzidetta ragione giustificativa logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la sentenza impugnata Cass., S.U., n. 7931/2013 . Peraltro, detta ratio decidendi si palesa anche giuridicamente corretta. È principio consolidato quello per cui la responsabilità dell’avvocato - nella specie, per omessa proposizione di impugnazione - non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni ossia il preteso bene della vita oppure evitatone la perdita , difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone tra le tante, Cass. n. 10966/2004, Cass. n. 9917/2010, Cass. n. 2638/2013, Cass. n. 25112/2017 . Ciò posto, non essendo consentita, per giurisprudenza consolidata tra le molte, Cass. n. 18525/2009 , una pronuncia di condanna in sede di cognizione nei confronti dell’impresa che venga assoggettata a liquidazione coatta amministrativa prima o durante come nella specie il giudizio di primo grado, va escluso che l’eventuale impugnazione da parte dell’avv. M. della predetta sentenza n. 825/2001 avrebbe potuto condurre al conseguimento di una sentenza di condanna della SIDA S.p.A. in l.c.a. a rivalere gli assicurati anche oltre il massimale di polizza a titolo di responsabilità contrattuale per mala gestio c.d. propria tra le altre, Cass. n. 3014/2016 . Inoltre, il giudicato costituito dalla medesima sentenza n. 825/2001 - essendo di incompetenza funzionale del giudice ordinario adito come pure nel ricorso viene in più punti ribadito e non già, dunque, di accertamento negativo in ordine al credito risarcitorio preteso dalla parte assicurata e anzi - come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata in questa sede -, in detta sentenza si riconosceva l’esistenza della mala gestio della compagnia assicuratrice - non impediva comunque di far valere il predetto credito in sede di procedura concorsuale tramite domanda di ammissione al relativo passivo così Cass. n. 30661/2017, emessa proprio nella controversia di opposizione al passivo promossa dalla Ritmotex s.r.l. contro la SIDA S.p.A. in l.c.a. per il credito risarcitorio da mala gestio . 4.2. - Pur essendo di per sé assorbente, ai fini della decisione, la statuizione che precede, giova rilevare che i motivi di ricorso palesano, in ogni caso, ulteriori e intrinseci profili di inammissibilità. La denuncia di violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. è incongruente, giacché i ricorrenti si dolgono della valutazione delle prove operata dalla Corte territoriale senza neppure prospettare il vizio di cui al vigente, e applicabile ratione temporis, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , ma non già che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nell’art. 115 c.p.c., ovvero che ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, ovvero, quanto all’art. 116 c.p.c., che il giudice abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, oppure, al contrario, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime Cass. n. 11892/2016 . La denuncia di violazione dell’art. 2909 c.c. - poiché la sentenza n. 1780/2003 della Corte di appello di Firenze non costituisce, all’evidenza, giudicato sostanziale tra le parti del presente giudizio, avente ad oggetto l’azione di responsabilità professionale promossa contro l’avv. M. - si risolve, anch’essa, in una censura di erronea valutazione probatoria inerente, segnatamente, alla portata della sentenza n. 1780/2003 , non congruamente veicolata in base al paradigma del vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c Risultano, infine, inammissibili anche le doglianze di violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 101 c.p.c., comma 2, le quali, oltre ad essere affatto generiche e, soprattutto in riferimento al dedotto vulnus dell’art. 112 c.p.c., poco intelligibili, mancando di specificare quale sia l’eccezione sostanziale e in senso stretto su cui il giudice di appello si sarebbe pronunciato d’ufficio , sono orientate, piuttosto, a criticare l’interpretazione per i ricorrenti asseritamente erronea che la Corte territoriale ha dato della portata della sentenza n. 1780/2003 e, quindi, si risolvono in censure di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale, del resto, si è formato non solo su documento ritualmente acquisito nel processo proprio su produzione degli attori cfr. p. 18 del ricorso , ma anche con diretta attinenza al thema decidendum ampiamente dibattuto dalle parti. 5. - Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e i ricorrenti, in solido tra loro, condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.