L’avvocato che recupera il credito non è responsabile della condotta distrattiva dell’amministratore sociale

Non è rimproverabile la condotta dell’avvocato che riversa in moneta contante e con assegni circolari il credito recuperato a seguito di mandato professionale nel caso in cui l’amministratore in carica della società incorra in condotte distrattive di quanto incassato e regolarmente quietanzato.

La vicenda processuale. Il curatore fallimentare conveniva in giudizio un avvocato esponendo che lo stesso non aveva diligentemente adempiuto alle proprie obbligazioni di mandatario nello specifico lo censurava per aver l’avvocato versato all’allora amministratore societario del denaro e assegni in contanti a seguito di un mandato di recupero del credito senza però che risultasse traccia di ciò nelle casse sociali. In definitiva si eccepiva all’avvocato di aver concorso nell’attività distrattiva dell’amministratore in carica, pur avendo questi rilasciato regolare quietanza delle somme incassate. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione al curatore fallimentare l’avvocato era venuto meno alla media diligenza professionale versando direttamente nelle mani dell’amministratore in carica senza la precostituzione della prova dell’esatto adempimento, non essendo bastevole in tal senso il rilascio di una quietanza quietanza che, peraltro, non era stata idonea a inibire la condotta distrattiva concretamente realizzata. Ricorre per cassazione l’avvocato. Le ragioni del ricorso. L’avvocato incentra gran parte della propria difesa sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1188 e 1713 c.c. il rilascio della quietanza liberatoria avrebbe dovuto imporre la ricognizione dell’esatto adempimento della propria obbligazione di mandatario. Nulla poteva essergli imputato a titolo di colpa concorsuale per la successiva condotta dell’amministratore in carica in danno dei creditori sociali. La condotta dell’avvocato. Il Supremo Collegio accoglie il ricorso. Gli Ermellini spiegano che la Corte d’Appello è incorsa nella violazione delle norme indicate e, in special modo, dell’art. 1188, comma 1, c.c., giacché il fatto dell’avvenuto pagamento nelle mani dell’amministratore in carica è suffragato dalla relativa pacifica quietanza. D’altra parte gli amministratori ai sensi dell’art. 2475- bis c.c. sono gli unici, avendo la rappresentanza sociale, ad essere titolati a ricevere i pagamenti. L’avvocato che ha riversato il credito riscosso nella mani dell’allora amministratore non ha posto in essere alcuna condotta negligente, né a danneggiato i creditori sociali a causa della successiva distrazione del denaro dalle casse societarie. D’altra parte il riversamento in contanti e con assegni circolari non costituisce una anomalia di pagamento in chiave distrattiva, atteso che quelle modalità di pagamento ben potevano esser state richieste dall’amministratore in carica. Né la Corte territoriale spiega sotto il profilo dell’ermeneutica giuridica quali poteri avrebbe dovuto opporre l’avvocato all’amministratore per non pagare con tali modalità il credito incassato a seguito dell’espletamento del mandato professionale. Tutte aporie queste che hanno inevitabilmente condotto alla riforma della sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 29 settembre – 4 dicembre 2018, n. 31231 Presidente Travaglino – Relatore Porreca Fatto e diritto Considerato che l’amministrazione fallimentare s.r.l. conveniva in giudizio l’avvocato B.E.A. , esponendo che lo stesso non aveva correttamente adempiuto alle sue obbligazioni di mandatario versando nelle mani dell’amministratore unico della società allora in bonis , Bo.Fr. , in parte in contanti in parte in assegni circolari, alcune somme di denaro ricevute, come da accordi, da una società debitrice, denominata SDA, trattenendo il compenso professionale dovutogli per l’originario mandato di recupero del credito, senza però che di tali importi risultasse traccia nelle casse sociali chiedeva perciò la condanna alla restituzione del corrispondente B.E.A. controdeduceva, per quanto ancora qui rileva, che parte attrice fondava la sua domanda su una sentenza del giudice tributario e una del giudice penale, entrambe di primo grado, con cui gli era stato addebitato il mancato versamento delle correlative imposte e un concorso nell’attività distruttiva dell’amministratore, laddove tali arresti non erano passati in giudicato, mentre in seguito sarebbero stati riformati, e, inoltre, evidenziava di aver ricevuto regolare quietanza dall’allora amministratore sociale in carica il tribunale, davanti al quale si costituiva anche Assicurazioni Generali s.p.a chiamata a titolo di garanzia dall’originario convenuto, accoglieva la domanda, con pronuncia confermata dalla corte di appello che rilevava come, nonostante l’esclusione di debiti erariali e l’assoluzione dall’addebito penale per carenza dell’elemento soggettivo, dichiarate dai giudici di appello in sede di giurisdizione tributaria e penale, B. era venuto meno alla media diligenza professionale esigibile, la quale avrebbe imposto la precostituzione della prova dell’esatto adempimento che non poteva ritenersi integrato dal versamento all’amministratore, personalmente, di ciò che era dovuto alla società, ferma l’inidoneità del rilascio di una quietanza a inibire la condotta distrattiva infatti poi realizzata la corte di appello, inoltre, dichiarava improponibile la domanda di manleva stante la pattuizione, nel contratto assicurativo, di una clausola compromissoria avverso questa decisione ricorre per cassazione B.E.A. formulando tre motivi resiste con controricorso Generali Italia s.p.a., già Assicurazioni Generali s.p.a. Rilevato che con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1188, 1713, cod. civ., poiché la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che la prova liberatoria data dalle quietanze pacificamente rilasciate da Bo.Fr. a nome della società nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante, avrebbe dovuto imporre la ricognizione dell’esatto adempimento della propria obbligazione di mandatario, cui non avrebbe potuto essere imputata, a protezione dei creditori sociali, la condotta distrattiva successivamente posta in essere dal Bo. con il secondo motivo di ricorso si prospetta, in via subordinata, la violazione degli artt. 112 e 346 cod. proc. civ., poiché la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che l’eccezione di compromesso arbitrale sarebbe stata implicitamente disattesa dal tribunale e non riproposta come necessario dalla società interessata in secondo grado con il terzo motivo di ricorso si prospetta, in via di ulteriore subordine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 17, comma 5, della Convenzione per l’assicurazione della responsabilità civile di avvocati e praticanti, stipulata dalle Assicurazioni Generali s.p.a. con la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense in rappresentanza dei suoi iscritti, facente parte del contratto individuale di assicurazione professionale coinvolto, poiché la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che la suddetta clausola prevedeva di demandare alla sede arbitrale le sole controversie concernenti il diritto all’indennizzo ivi regolato, ovvero le controversie collettive coinvolgenti la categoria degli avvocati rappresentati dalla Cassa, e non quella individuale in questione, inoltre non introdotta d’iniziativa del singolo professionista che, nel caso, aveva diversamente chiamato l’ente assicurativo nella causa in cui era stato convenuto Rilevato che il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento dei restanti la corte di appello è infatti incorsa nella violazione delle norme indicate, e in specie dell’art. 1188, primo comma, cod. civ., poiché come dedotto in ricorso cfr., in particolare, pag. 21, primo capoverso il fatto quale pacificamente accertato - ossia il pagamento nelle mani dell’allora amministratore unico della società a responsabilità limitata che, come tale, lo ha quietanzato - risulta essere stato sussunto erroneamente nella disciplina legale la quale, in effetti, diversamente prevede, all’art. 2475 bis cod. civ., che il menzionato soggetto abbia la generale rappresentanza della società, essendo quindi titolato a ricevere i pagamenti il collegio di merito imputa in buona sostanza al deducente, secondo quanto descritto in parte narrativa, un concorso colposo, in ottica civilistica, nella successiva condotta distrattiva, per non aver adottato modalità che avrebbero potuto impedirla assicurando meglio ed effettivamente i creditori sociali, ma l’ipotesi s’infrange nella richiamata disciplina dei poteri dell’amministratore della s.r.l., che legittimavano il riversamento allo stesso delle somme in parola né questa conclusione può essere impedita dalla macroscopica anomalia costituita dal pagamento del tutto inspiegabile in contanti di un importo tanto elevato, ancor più facilmente distraibile pag. 9, ultime righe, della sentenza gravata , atteso che quelle modalità parte in contanti, parte in assegni circolari la medesima corte territoriale stessa pag. 9 inferisce che ben poterono essere richieste dall’amministratore della società cui, secondo il collegio di merito, il ricorrente non avrebbe mai dovuto cedere non si indica, però, in base a quali poteri da opporre a quelli assegnati al legale rappresentante della società dalla norma sopra richiamata non essendo necessari altri accertamenti la controversia può quindi essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda le spese seguono soccombenza, in applicazione del principio di causalità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda, condannando l’intimata alla rifusione delle spese processuali del ricorrente e della Generali Italia s.p.a. liquidate, per ciascuno di tali soggetti, per il primo grado in Euro 8.000,00, per il secondo grado in Euro 7.000,00, e per il giudizio di legittimità in Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali. Il Collegio ha deliberato la motivazione semplificata.