Il giudice ha il potere di ridurre il compenso dell’avvocato

Nel nostro ordinamento è immanente un principio secondo cui, pur nel rispetto dell’art. 1322 c.c., viene attribuito al giudice un potere di controllo sulle pattuizioni delle parti, nell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di evitare che l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro cui appare meritevole di tutela. Tale intervento, pertanto, si pone quale limite all’autonomia negoziale stessa, prevista dalla legge non nell’interesse individuale dei paciscenti, ma nell’interesse generale dell’ordinamento all’equità contrattuale.

È quanto affermato dal Tribunale di Treviso con sentenza depositata l’8 ottobre 2018. Il fatto. Con decreto ingiuntivo il tribunale territorialmente competente ingiungeva agli odierni opponenti il pagamento in favore del professionista, suoi clienti, di una certa somma di denaro. Il professionista, dal canto suo, precisava che i suoi clienti avevano sottoscritto un incarico professionale con cui si impegnavano a pagare una certa somma di denaro per un giudizio di impugnazione. Tuttavia, dopo il conferimento dell’incarico, non veniva depositato il ricorso introduttivo stante la revoca del mandato alle liti da parte degli attori. Gli opponenti eccepivano quindi, che la revoca del mandato era avvenuta solo due giorni dopo il conferimento dell’incarico e contestavano la pretesa creditoria per la fase di studio della procedura di appello ritenendo non dovuto alcun compenso né per la fase di redazione né per quella di studio dell’appello. Il professionista, costituitosi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità dell’opposizione effettuata ex articolo 702 -bis c.p.c e non con atto di citazione , nonché nel merito, l’infondatezza della pretesa, confermando che il egli aveva già provveduto a studiare la controversia in vista della fase di appello e, quindi, era dovuto l’importo concordato dalle parti. La causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni Il Tribunale adito, riteneva nel merito fondata l’opposizione sulla scorta dell’articolo 233 c.c. il quale prevede che per la determinazione del compenso, nel caso di prestazione d’opera intellettuale, l’importo vada determinato innanzitutto in base a quanto convenuto dalle parti e, solo in subordine e in mancanza di accordo, secondo le tariffe. Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto da applicarsi la convenzione intervenuta tra le parti per la fase di appello tuttavia, il magistrato prosegue, se da un lato, stante la così imminente scadenza del termine per impugnare, appare certo che sia stata svolta dal convenuto una propedeutica attività di studio, dall’altro, stante il termine di soli tre giorni dal conferimento dell’incarico e revoca del mandato, l’importo convenuto dalle parti è da ritenersi eccessivo dovendosi riferire ad uno studio completo della controversia che sarebbe certamente continuato, qualora il rapporto tra avvocato e cliente fosse proseguito. Il potere di riduzione ad equità, attributo al giudice dall’articolo 1384 c.c. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento può essere esercitato anche d’ufficio, al fine di ricondurre l’autonomia contrattuale, nei limiti in cui, essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga per altre ragioni. Concludendo. Il giudice, conclude affermando che, la predetta impostazione, avvalorata dall’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale, in tema di clausola generale di buona fede, nell’adempimento del contratto, deriva dal concetto di buona fede, da intendersi si specifichi nell’obbligo di entrambe le parti di salvaguardare l’utilità delle controparti nel limite dell’apprezzabile sacrificio.

Tribunale di Treviso, sez. I Civile, sentenza 8 ottobre 2018 Presidente Barbazza Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della controversia ex art. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. Con decreto ingiuntivo n. omissis /2016 il Tribunale di Treviso ingiungeva agli odierni opponenti il pagamento in favore dell’avv. omissis , della somma di Euro 8.447,80. Il credito azionato in sede monitoria dall’avv. aveva ad oggetto prestazioni professionali relative in parte all’attività giudiziale svolta nella causa avanti il Tribunale di Treviso iscritta al Ruolo con numero 12270/2014 e conclusa con sentenza n. 1185/2016 del 5 maggio 2016 ed in parte all’attività relativa alla fase di appello alla sentenza di primo grado. Precisava l’avv. omissis che gli odierni opponenti avevano sottoscritto un incarico professionale con cui si impegnavano a pagare la somma di Euro 4.800,00 inclusi IVA e Cp per il primo grado di giudizio ed Euro 2.500,00 oltre accessori per la fase successiva così complessivamente Euro 8.447,80 IVA e Cp inclusi . Specificava, inoltre, che dopo il conferimento dell’incarico per il secondo grado di giudizio non veniva depositato il ricorso introduttivo, stante la revoca del mandato alle liti da parte degli attori. Con atto di citazione in opposizione gli opponenti eccepivano in primo luogo che la revoca del mandato avveniva solo due giorni dopo il conferimento dell’incarico e contestavano la pretesa creditoria per la fase di studio della procedura di appello ritenendo non dovuto alcun compenso né per la fase di redazione né per quella di studio dell’appello. Non contestavano, invece, il debito di Euro 4.842,47 compresi IVA e Cp per il giudizio di primo grado. In via subordinata, chiedevano di ridurre il compenso dovuto al convenuto per il procedimento di appello alla sola fase di studio della controversia prevista ex D.M. 55/2014, ossia Euro 1.429,94 comprese spese generali, IVA e Cp , per un totale di Euro 6.272,41 accessori compresi . Costituendosi il convenuto eccepisce l’inammissibilità dell’opposizione effettuata ex art. 702 bis cod. proc. civ. e non con atto di citazione nonché l’infondatezza della pretesa, confermando che il convenuto aveva già provveduto a studiare la controversia in vista della fase di appello e quindi gli era dovuto l’importo di Euro 2.500 oltre IVA e Cp come previsto per la fase di studio dalla convenzione stipulata dalle parti. Chiedeva, inoltre, la condanna degli attori ex art. 96 cod. proc. civ. La causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza odierna. L’opposizione è fondata e andrà, pertanto, accolta. In via preliminare, l’eccezione del convenuto deve essere respinta. Ha chiarito infatti la Cassazione che, l’opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ. al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per prestazioni giudiziali è regolata dal rito sommario di cognizione ai sensi dell’art. 702 bis cod. proc. civ., secondo quanto previsto dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, sicché il relativo atto introduttivo deve avere la forma del ricorso e non dell’atto di citazione cfr. Cass., 10 maggio 2017, n. 11479 . Nel merito, va innanzitutto rilevato che risulta pacifica fra le parti la debenza da parte degli attori della somma di Euro 4.242,47 relativi all’attività difensiva svolta nel procedimento di cui al numero R.G. 12270/14 del Tribunale di Treviso per il giudizio di primo grado. Pertanto, l’opposizione riguarda solamente la verifica dei compensi per la fase di appello. A tal proposito, risulta dalle allegazione e dalla documentazione depositata dalle parti che il conferimento dell’incarico professionale per la fase d’appello risalga al 6 luglio 2016 occorre precisare che il mandato depositato non è sottoscritto dalle parti, ma non è stato contestato . Il termine per proporre giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado era il 14 luglio 2016, e l’atto di citazione in appello non è stato depositato, essendo intervenuta la revoca del mandato in data 9 luglio 2016. Le parti nel conferimento di incarico prevedevano un compenso comprese spese generali di Euro 2.500,00 oltre IVA e Cp per la fase di studio della controversia. Per lo scaglione di valore del procedimento in oggetto, il tariffario professionale di cui al D.M. 55/2014 prevede, per la fase di studio, un compenso medio di Euro 1.960,00 e minimo di Euro 980,00 oltre spese generali, IVA e Cp . L’art. 233 cod. civ. prevede che, per la determinazione del compenso nel caso di prestazione d’opera intellettuale, l’importo vada determinato innanzitutto in base a quanto convenuto dalle parti e, solo in subordine ed in mancanza di accordo, secondo le tariffe. Nel caso di specie, appare necessario applicare, pertanto quanto previsto dalla convenzione in essere fra le parti per la fase di appello. Tuttavia, se da un lato, stante la così imminente scadenza del termine per impugnare, appare certo che sia stata svolta dal convenuto una propedeutica attività di studio, dall’altro, stante il termine di soli tre giorni fra conferimento dell’incarico e revoca del mandato, l’importo convenuto dalle parti va ritenuto manifestamente eccessivo, dovendosi riferire ad uno studio completo della controversia che anche a fronte del fatto che residuavano ulteriori 5 giorni per la proposizione dell’atto di appello sarebbe certamente continuato qualora il rapporto di fiducia fra avvocato e cliente fosse proseguito. Già nel 2005, in tema di clausola penale le Sezioni Unite sent. 18128/2005 hanno ritenuto che il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 cod. civ. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, possa essere esercitato anche d’ufficio, al fine di ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva come era nel caso al vaglio del Supremo Collegio nel 2005 , sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione avvenga per altre ragioni. Nello sviluppo della giurisprudenza, alla riduzione d’ufficio della clausola penale sono state assimilate altre situazioni, nelle quali le parti abbiano dedotto e dimostrato circostanze rilevanti al fine di formulare il giudizio di manifesta eccessività ad esempio, in tema di riduzione della la clausola con cui si determina convenzionalmente la misura degli interessi moratori con funzione liquidativa del risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento di obbligazioni pecuniarie, cfr. Cass. 25334/2017 . Deve ritenersi, pertanto, che sia immanente al nostro ordinamento un principio secondo cui, pur nel rispetto dell’art. 1322 cod. civ., viene attribuito al giudice un potere di controllo sulle pattuizioni delle parti, nell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di evitare che l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro cui appare meritevole di tutela. Tale intervento, pertanto, si pone quale limite all’autonomia negoziale stessa, prevista dalla legge non nell’interesse individuale dei paciscenti ma nell’interesse generale dell’ordinamento all’equità contrattuale. Tale impostazione, inoltre viene avvalorata dall’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in tema di clausola generale di buona fede nell’adempimento del contratto. Infatti, la buona fede deve ritenersi si specifichi nell’obbligo di entrambe le parti di salvaguardare l’utilità della controparte nel limite dell’apprezzabile sacrificio. La buona fede, pertanto, si concreta in una duplice direzione, ossia nei confronti del creditore fa sì che gli sia vietato di abusare del suo diritto e, allo stesso tempo lo obbliga ad attivarsi per evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell’inadempimento. Dunque, il rapporto obbligatorio è caratterizzato da una struttura complessa in quanto il principio di correttezza si pone come fonte di doveri ulteriori che vincolano le parti ancorché non risultino dal titolo del rapporto obbligatorio. Pertanto, la somma pattuita di Euro 2.500,00 deve ritenersi vada ridotta in quanto manifestamente eccessiva della metà, e gli attori condannati alla rifusione al pagamento al convenuto della somma di Euro 4.242,47 accessori compresi per il giudizio di primo grado e di Euro 1.250,00 oltre IVA e Cp per la fase di studio del giudizio di appello. Le spese di lite, in considerazione degli esiti del giudizio, devono essere interamente compensate fra le parti. P.Q.M. il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in persona del dott. Alberto Barbazza, disattesa ogni altra domanda, eccezione o istanza, definitivamente pronunciando, così provvede - Revoca il decreto ingiuntivo nr. omissis /2011 emesso dal Tribunale di Treviso in data 15.02.2011 - Condanna, per le ragioni di cui in motivazione omissis e al pagamento al convenuto della somma di Euro 4.242,47 accessori compresi per il giudizio di primo grado e di Euro 1.250,00 oltre IVA e Cp per la fase di studio del giudizio di appello - Spese di lite compensate.