La Consulta sulla liberalizzazione delle tariffe forensi

I dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal giudice a quo con riferimento all’abrogazione delle tariffe forensi, che hanno svolto egregiamente la propria funzione nell’arco di ben 70 anni , ed al potenziale depauperamento del professionista , non hanno superato il vaglio di ammissibilità del Giudice delle Leggi.

Con l’ordinanza n. 204/2018, depositata il 15 novembre, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, d.l. n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012, sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano. Dubbi di legittimità costituzionale. Il giudice a quo , nel corso di un giudizio di opposizione ad avviso di liquidazione relativo all’accertamento dell’omesso versamento dell’imposta di registro, dovendo provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali a favore dell’Agenzia delle Entrate, quale parte vittoriosa, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma che ha abrogato le previgenti tariffe professionali. Secondo la CTP la disposizione, nel vincolare la liquidazione giurisdizionale del compenso dell’avvocato ai parametri stabili dal ministro, violerebbe il parametro evocato, in quanto adottata in difetto del requisito della necessità”, cui è subordinato oltre a quello della urgenza” l’esercizio in casi straordinari del potere legislativo da parte del Governo . Ed infatti, nell’ambito forense, la liberalizzazione delle tariffe costituirebbe un depauperamento del professionista [] che abbia assistito il contribuente nel giudizio tributario, senza che tale minor locupletazione possa incidere sulla economia nazionale, men che meno sulla libera concorrenza professionale e finirebbe per incidere sui consumi, riducendo la capacità d’acquisto del reddito prodotto in sede professionale . Aggiunge inoltre la CTP che non vi sarebbe stato motivo di abrogare le tariffe professionali che hanno svolto egregiamente la propria funzione nell’arco di ben 70 anni . Questione inammissibile. Il dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice rimettente non supera però il vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale posto che, per riprendere le parole del redattore Morelli, la rimettente trascura, però, di considerare che, ai sensi del comma 2 del censurato art. 9 del d.l. n. 1/2012, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale” quale, appunto, quella che essa deve effettuare , il quantum del compenso è sottratto alla logica della liberalizzazione, poiché va determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante . A ciò si aggiunga che nel caso di specie il giudice deve provvedere alla liquidazione del compenso dovuto alla difesa dell’Agenzia delle Entrate e non quello dovuto all’avvocato del contribuente soccombente profilo completamente escluso dalle censure sollevate , circostanza che esclude dunque la concreta rilevanza della questione nel giudizio a quo . Aggiungendo infine l’assoluta carenza di motivazione, la Consulta dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Corte Costituzionale, ordinanza 24 ottobre – 15 novembre 2018, n. 204 Presidente Lattanzi – Redattore Morelli Fatto e diritto Ritenuto che – con l’ordinanza in epigrafe, emessa nel corso di un giudizio di opposizione ad avviso di liquidazione relativo ad accertamento di omesso versamento di imposta del registro – l’adita Commissione tributaria provinciale di Milano, dopo aver respinto nel merito la domanda del contribuente e dovendo provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali in favore della vittoriosa Agenzia delle entrate, ha sollevato, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività , convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27 che, secondo la rimettente, la disposizione denunciata – che ha abrogato le previgenti tariffe professionali – violerebbe il parametro evocato, in quanto adottata in difetto del requisito della necessità , cui è subordinato oltre a quello della urgenza l’esercizio in casi straordinari del potere legislativo da parte del Governo che il Presidente del Consiglio dei ministri ha concluso per l’inammissibilità della questione perché inerente a scelte riservate alla discrezionalità del legislatore o, comunque, per la sua manifesta infondata. Considerato che – nel denunciare il sospettato contrasto dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività , convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, con l’art. 77, secondo comma, della Costituzione – la Commissione tributaria rimettente argomenta che, quantomeno in ambito forense , la cosiddetta liberalizzazione delle tariffe si concretizzerebbe in un depauperamento del professionista [] che abbia assistito il contribuente nel giudizio tributario, senza che tale minor locupletazione possa incidere sulla economia nazionale, men che meno sulla libera concorrenza professionale e finirebbe anzi con l’ incidere sui consumi, riducendo la capacità d’acquisto del reddito prodotto in sede professionale , per cui non vi sarebbe stato motivo, ad avviso di essa Commissione, di abrogare le tariffe professionali che hanno svolto egregiamente la propria funzione nell’arco di ben 70 anni che la rimettente trascura, però, di considerare che, ai sensi del comma 2 del censurato art. 9 del d.l. n. 1 del 2012, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale quale, appunto, quella che essa deve effettuare , il quantum del compenso è sottratto alla logica della liberalizzazione, poiché va determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante che, per di più, come emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, ciò che, nella specie, quel giudice deve liquidare è il compenso dovuto alla difesa dell’Agenzia delle entrate e non quello dovuto al professionista che abbia assistito il contribuente, esclusivamente in relazione al quale sono formulate le censure rivolte alla norma abrogativa delle previgenti tariffe professionali che, pertanto, la questione sollevata è, sotto più profili, priva di concreta rilevanza nel giudizio a quo e, comunque, è su tali profili assolutamente carente di motivazione , il che ne comporta la manifesta inammissibilità. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività , convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe.