Gli eredi dell’avvocato distrattario devono restituire le spese ricevute nell’ipotesi di riforma in peius della sentenza di primo grado

Gli eredi del procuratore distrattario, obbligato alla restituzione delle somme incassate a titolo di spese legali in forza di una sentenza di primo grado successivamente riformata in appello, al pari del loro dante causa non sono parte del processo nel quale le statuizioni sulle spese di lite assumono carattere meramente accessorio e, in tale veste, subiscono gli effetti dell’eventuale riforma in sede di gravame senza aver diritto a interloquire sul merito della controversia o sulle statuizioni concernenti le spese processuali, salvo che per ciò che concerne la distrazione concessa od omessa.

Così deciso dalla Corte d’Appello di Catania con pronuncia del 6 settembre 2018. La fattispecie. Nel caso in esame il Tribunale di prime cure aveva accolto la domanda restitutoria formulata nei confronti degli eredi di un avvocato, dichiaratori antistatario, per le spese versate dalla parte soccombente che, poi, è risultata vincitrice in appello con riforma della sentenza di primo grado anche sul capo delle spese di lite. L’onere del coerede di indicare il valore della quota in cui è chiamato a succedere. Il Giudice di gravame ha ribadito il principio che gli eredi rispondono dei debiti del de cuius nei limiti della quota nella quale sono stati chiamati a succedere con esclusione di qualsivoglia relazione di solidarietà tra le rispettive obbligazioni. Tuttavia qualora l’erede non adempia all’onere di indicare al creditore la propria condizioni di co-obbligato passivo, e i limiti della propria quota, risponde per l’intero con la conseguenza che il creditore potrà richiedere al singolo l’intero debito. Tale eccezione deve essere formulata, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta. L’avvocato antistatario e la qualifica di parte processuale. La pronuncia in esame conferma l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il difensore distrattario assume la qualità di parte esclusivamente quando sorge controversia sulla distrazione ovverosia quando la sentenza impugnata non ha pronunciato sull'istanza di distrazione o l'ha respinta o nell’ipotesi in cui il gravame investe la pronuncia stessa di distrazione. D’altronde l'istanza di distrazione non introduce una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale. La riforma della sentenza di primo grado e gli effetti sul procuratore distrattario. Il procuratore distrattario dunque subisce, ai fini restitutori, gli effetti della riforma in peius della sentenza di primo grado, fatto salvo il diritto a percepire dalla parte assistita quanto abbia dovuto restituire alla controparte. Ciò pur non essendo possibilitato a interloquire nel merito della controversia non essendo una parte processuale se non per il capo inerente alla distrazione.

Corte d’Appello di Catania, sentenza 6 settembre 2018 Giudice Carlà Con atto di citazione ritualmente notificato N.C. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania C.G., S.G. e I.G.G., nella qualità di eredi di F.G., nonché R.M.C., M.G.C., N.C. e A.C., nella qualità di eredi dell’avv. N.C., esponendo con sentenza n. 1333/02 del Tribunale di Catania, Sezione Stralcio, egli era stato condannato, in solido con A.R., R.I. e G.S. e con l’Università degli Studi di Catania al pagamento in favore di F.G. della somma di 16.301,64, oltre interessi e spese ed oltre 4.051,86 per spese liquidate in favore del procuratore distrattario avv. N.C. con atto di precetto notificato il 29.4.2003 F.G. gli aveva intimato il pagamento, in solido con il R., il S. e la I., della somma di 24.108,15, di cui 16.301,64 per sorte capitale ed 7806,51 per interessi e rivalutazione con il medesimo atto l’avv. C. aveva a sua volta intimato il pagamento delle somme distratte in suo favore per compensi professionali F.G. ed il suo difensore avevano quindi proceduto a pignoramento presso terzi nei confronti dell’Università degli Studi di Catania sino alla concorrenza della somma di 24.000,00 indi il G.E. aveva assegnato a F.G. la somma di 13.425,32 e al suo difensore distrattario avv. C. la somma di 6.624,00, di cui 880,69 per spese dopo il decesso del G. in data 24.1.2005 gli eredi, unitamente all’avv. C., avevano continuato a percepire ulteriori somme da parte dell’Università degli Studi di Catania in data 20.4.2006 era deceduto anche l’avv. N.C. in seguito, la Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 230/2007, in riforma della sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda proposta dal G. nei confronti dei convenuti, compensando le spese di lite. Tutto ciò premesso, il C. agiva in giudizio nei confronti degli eredi di F.G. e degli eredi dell’avv. C. chiedendo la condanna dei primi alla restituzione della somma di 2.798,98, oltre interessi legali dall’avvenuto pagamento alla data della domanda, e degli eredi C. alla restituzione della somma di 8.163,69, incassata come da precetto notificato in data il 19.6.2005, il tutto in proporzione alle quote ereditarie dei convenuti, oltre accessori e spese di lite. Instauratosi il contraddittorio, con comparsa depositata in data 6.2.2008 si costituivano in giudizio R.M.C., M.G.C., N.C. e A.C., nella qualità di eredi dell’avv. N.C., i quali preliminarmente eccepivano la nullità della citazione ai sensi degli artt. 163 nn. 3 e 4 e 164 c.p.c., stante la mancata precisazione nell’atto di citazione dell’esatta misura del credito restitutorio singolarmente fatto valere nei confronti di ciascuno di loro, lamentando che la mancata precisazione del petitum non consentiva loro di eccepire l’incompetenza per valore del giudice adito per ogni singola domanda formulata. Ancora eccepivano la nullità della sentenza della Corte d’appello su cui era fondata la pretesa restitutoria dell’attore e la conseguente inopponibilità nei loro confronti delle statuizioni ivi contenute, deducendo che la causa era stata posta in decisione ad una udienza di discussione successiva al decesso dell’avv. C. senza che fosse dichiarata l’interruzione del processo, e senza alcuna possibilità per loro di avvalersi dei mezzi di impugnazione consentiti facendo valere la nullità della sentenza conseguente alla mancata interruzione del giudizio quale motivo di impugnazione, potendo essi impugnare la sentenza solo in caso di controversia sulla distrazione. Contestavano, infine, la proposizione da parte del C. di separata azione per la restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado poi riformata in appello, deducendo che tale restituzione avrebbe dovuto essere disposta dal giudice della impugnazione o, in caso di cassazione, dal giudice del rinvio, perché ciò avrebbe consentito loro di impugnare la sentenza per il capo relativo alla restituzione, non essendo invece ammissibile l’instaurazione a tal fine di separato contenzioso. In subordine, deducevano che la somma eventualmente dovuta in restituzione doveva essere limitata a quanto liquidato a favore del difensore distrattario in sentenza, escluso l’ulteriore aggravio derivante dalla necessità per il creditore delle somme liquidate di procedere ad esecuzione forzata. Chiedevano, infine, di essere autorizzati a chiamare in causa ex art. 106 c.p.c. gli eredi del defunto G.F. per essere da costoro garantiti e manlevati, con domanda di condanna al rimborso di quanto fossero eventualmente condannati a corrispondere all’attore. Con comparsa depositata in cancelleria in data 22.2.2008 si costituivano in giudizio C. e S.G., quali eredi di F.G., dichiarando di aderire alla domanda dell’attore di restituzione della somma indicata nell’atto introduttivo, e, al contempo, chiedendo il rigetto della richiesta di condanna in solido, dovendo darsi applicazione all’art. 752 c.c., relativo alla contribuzione pro quota degli eredi al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari. Offrivano quindi banco iudicis la somma di 989,99 ciascuno, chiedendo di essere estromessi dal giudizio. In corso di causa era disposta ed eseguita la rinnovazione della citazione in favore di G.I. All’udienza del 17.2.2009 parte attrice precisava la domanda deducendo che i convenuti eredi C. erano tenuti alla restituzione in suo favore della somma di 4.081,84, oltre accessori. La causa, posta in decisione all’udienza del 15.3.2011, era rimessa sul ruolo a seguito di astensione del giudice assegnatario. Era, infine posta in decisione all’udienza del 16.7.2012, con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Con sentenza n. 3862/2012 il Tribunale adito, premesso che l’art. 754 c.c. impone al coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario l’onere di far valere la sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota proponendo rituale eccezione propria, potendo in caso contrario essere convenuto per il pagamento dell’intero, rigettava l’eccezione di nullità rilevando che gli eredi C., costituendosi in giudizio, si erano limitati ad eccepire di essere tenuti solo pro quota al pagamento richiesto con la domanda attorea, null’altro specificando tempestivamente circa la consistenza della propria quota. Indi, con riferimento alla prospettata questione di competenza per valore, rilevava che la difesa degli eredi C. si era solo riservata di proporre l’eccezione in esito alla indicazione di quanto ciascuno dei convenuti fosse tenuto a versare pro quota, sul presupposto che detta indicazione spettasse all’attore, e che neppure il giudice aveva rilevato d’ufficio l’eventuale propria incompetenza. Ancora, disattendeva l’eccezione di nullità della sentenza della Corte d’appello su cui era fondata la pretesa restitutoria dell’attore, rilevando che la causa di nullità avrebbe dovuto essere fatta valere con l’impugnazione della sentenza ad opera della parte colpita dall’evento interruttivo. Riteneva, quindi, non censurabile l’omessa statuizione di condanna alla restituzione delle somme percepite dal difensore distrattario o la mancata impugnazione in cassazione da parte dell’attore, il quale aveva invece inteso instaurare per il recupero delle somme versate autonomo giudizio. Riconoscendo dunque la fondatezza della domanda proposta dall’attore, condannava gli eredi G. al pagamento in favore del C. della somma di 2.293,11 ciascuno, oltre interessi legali dalla riscossione al soddisfo, detratta la somma di 989,99 già corrisposta da C.G. e da S.G Condannava altresì gli eredi C., in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attore della somma di 4.081,84, oltre interessi legali dalla data della riscossione al soddisfo. Infine, accoglieva la domanda di manleva proposta dagli eredi C. nei confronti degli eredi Grasso, e, pertanto, condannava questi ultimi a tenere indenni i primi delle somme che fossero tenuti a versare in favore dell’attore. Rigettava la domanda proposta dall’attore di riconoscimento della rivalutazione monetaria. Rigettava la domanda di risarcimento del danno proposta dal C., rilevandone la tardività e, comunque, l’infondatezza per mancanza di prova dell’an e del quantum asseritamente subito. Concludeva compensando integralmente tra le parti le spese di lite. Avverso la sentenza di primo grado interponevano appello R.M.C., M.G.C., N.C. e A.C. per i seguenti motivi 1 erroneità della sentenza del giudice di prime cure per avere disatteso, in rito, la propria eccezione di nullità della citazione e trascurato il tema della incompetenza pure da loro proposto, nonché per vizio di ultrapetizione in relazione alla condanna disposta nei loro confronti in solido 2 difetto di motivazione in merito alla eccepita nullità della sentenza posta a fondamento dell’azione restitutoria promossa dal C Precisavano, quindi, di avere provveduto a notificare l’atto d’appello anche agli eredi di F.G. ai fini della integrità del contraddittorio. Deducevano, infine, di avere immediatamente provveduto a dare esecuzione alla sentenza mediante pagamento della somma di 4.798,45, di cui 4.081,25 per sorte capitale ed il resto per interessi, nonché, a seguito di notifica di atto di precetto, della ulteriore somma di 146,37. Chiedevano, pertanto, in accoglimento dell’interposto gravame, rigettarsi la domanda proposta dal C. nei loro confronti e condannarsi quest’ultimo alla restituzione della somma di 4.944,82, corrispostagli in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi corrispettivi dalla riscossione al saldo, e con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio. N.C., costituitosi in giudizio con comparsa depositata in data 9.11.2013, contestava le avverse censure e chiedeva il rigetto dell’appello proposto avverso la sentenza di primo grado. Chiedeva altresì la condanna degli appellanti al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, contestando la compensazione delle spese disposta con la sentenza impugnata. I.G., C.G. e S.G., sebbene ritualmente evocati in giudizio, rimanevano contumaci. All’udienza del 24.11.2017 la causa era posta in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti costituite, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Motivi della decisione In via preliminare va dichiarata la contumacia degli appellati S., C. e I.G.G., non costituitisi nel presente grado di giudizio benché ritualmente citati. Nel merito, gli appellanti preliminarmente reiterano eccezione di nullità della citazione alla stregua degli artt. 163 nn. 3 e 4 e 164 c.p.c. per insufficiente determinazione del petitum, lamentando che l’attore N.C. si sia limitato, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, a richiedere nei loro confronti la condanna al pagamento del quantum dovuto in restituzione in proporzione alle quote di eredità di ciascuno di loro, anziché individuare per ciascuno l’esatta misura numeraria del credito restitutorio preteso. Si dolgono altresì che tale modalità di proposizione della domanda abbia loro impedito di sollevare eccezione di incompetenza per valore del giudice adito, determinandosi quest’ultima, nell’ipotesi di cause connesse per l’oggetto o per il titolo, in base al valore di ogni singola domanda proposta. Indi deducono la inapplicabilità al caso di specie dell’art. 11 c.p.c., secondo il quale il valore della causa che derivi da richiesta di adempimento per quote di un’obbligazione si determina in base al valore dell’intera obbligazione, poiché, in base all’art. 754 c.c., gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari personalmente, in proporzione della loro quota ereditaria. Si dolgono, altresì, che il giudice di prime cure sia incorso in un vizio di ultrapetizione, avendoli condannati al pagamento della somma di 4.081,25, oltre interessi dalla riscossione al soddisfo, in solido tra loro, in ragione di una errata interpretazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale gli eredi convenuti che non specifichino, nei tempi processuali riservati alla proposizione di eccezioni in senso proprio, le rispettive quote ereditarie, sono esposti alla richiesta del creditore di pagamento del presunto credito per l’intero. Orbene, il giudice di prime cure, disponendo la condanna in solido degli eredi dell’avv. C. alla restituzione in favore del C. delle somme da costui versate, nella causa promossa nei suoi confronti da F.G. ed in esecuzione della sentenza di primo grado che lo aveva visto soccombente, all’avv. N.C. in quanto procuratore distrattario delle somme dovute a titolo di spese legali dell’attore, ha richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, per il quale la norma di cui all'art. 754 cod. civ., secondo la quale gli eredi rispondono dei debiti del de cuius secondo il valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, con esclusione di qualsivoglia relazione di solidarietà tra le rispettive obbligazioni giusto il principio nomina et debita haereditaria ipso iure dividuntur , deve essere interpretata nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l'onere di indicare, al creditore, questa sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell'istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l'intero in termini v. Cass. Sez. 3, sentenza n. 7216 del 05/08/1997 Sez. 3, sentenza n. 15592 del 12/07/2007 Sez. 3, sentenza n. 6431 del31/03/2015 . La regola di diritto, ad avviso degli appellanti, sarebbe stata però non correttamente declinata dal giudice di prime cure, essendo richiesto ai coeredi di precisare la loro condizione di coobbligati passivi nei limiti delle rispettive quote ereditarie, non già di specificare il valore delle quote medesime. L’enunciazione di principio va poi, nel caso di specie, coordinata con la domanda proposta dal C., il quale nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado ha chiesto la condanna degli odierni appellanti, quali eredi dell’avv. N.C., alla restituzione della somma di 8.163,69 poi ridotta in corso di causa ad 4.081,84 , il tutto in proporzione alle quote di eredità dei singoli convenuti . Se dunque è vero che i convenuti eredi C. non hanno sollevato eccezione afferente alla loro condizione di coobbligati entro i limiti delle rispettive quote ereditarie, è altrettanto vero che la domanda dell’attore nei confronti di ciascuno di loro è, ab origine, formulata in proporzione alla quota ereditaria di ciascuno degli eredi, e che solo all’udienza di precisazione delle conclusioni del 16.7.2012 e, dunque, tardivamente l’odierno appellato ha richiesto la condanna degli eredi dell’avv. C. in solido. Il rilievo proposto sul punto si appalesa dunque fondato. Di contro deve essere disattesa l’eccezione di nullità dell’atto di citazione, riproposta alla stregua degli artt. 163 nn. 3 e 4 e 164 c.p.c., per insufficiente determinazione del petitum, sul rilievo che l’attore non abbia precisato l’esatta misura del credito restitutorio vantato nei confronti di ciascuno dei coeredi, in tal modo precludendo loro di sollevare eccezione di incompetenza per valore del giudice adito. Osserva in proposito il Collegio che, se è vero che, a fronte della domanda di condanna al pagamento di un debito ereditario, è onere degli eredi eccepire la propria condizione di coobbligati passivi entro i limiti della propria quota, e ciò per sfuggire ad una condanna al pagamento dell’intero in ragione dell’applicazione della regola della solidarietà tra condebitori, va pure considerato che sì come chiarito dalla Suprema Corte con la recente sentenza della sez. II n. 10808 del 26.5.2015 l'obbligo di ciascun erede di pagare solo la propria parte del debito, ex art. 752 e 754 cod. civ., non comporta l'esistenza, originaria, di una pluralità di autonomi rapporti tra creditore e singoli eredi, giacché il debito di ciascuno di essi ha comunque la sua fonte nell'obbligazione del de cuius, che determina l'unicità genetica del rapporto obbligatorio essendo irrilevante che, a seguito della successione, i rapporti obbligatori tra il creditore e ciascuno degli eredi siano ormai autonomi . Così in particolare recita la sentenza n. 10808/2015 citata Il fatto che, ai sensi dell'art. 752 c.c.,i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle quote ereditarie e che, ai sensi dell'art. 754 c.c., ciascuno è tenuto verso i creditori in proporzione della sua quota, infatti, comporta solo che, a seguito della successione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte , a norma dell'art. 1314 c.c., ma non significa anche che sussistono originariamente tanti autonomi rapporti quanti sono gli eredi, giacché il debito di ognuno pro quota ha comunque la sua fonte nell'obbligazione del de cuius , la quale determina l'unicità genetica del rapporto obbligatorio Cass. 17 9 3008 n. 23765 Cass. 27 9 2007 numero . Da tali principi, dai quali non vi è motivo di discostarsi, consegue che la domanda proposta dal C. in primo grado è compiutamente determinata sia con riferimento al petitum individuato nella somma dallo stesso versata all’avv. C. quale procuratore distrattario a seguito della sentenza di primo grado n. 1333/02 del Tribunale di Catania, riformata in appello che per la causa petendi insita nella caducazione delle statuizioni in forza delle quali il procuratore aveva intrapreso nei confronti del condannato in primo grado azione esecutiva, ottenendo il pagamento delle somme riconosciute con la sentenza di primo grado a titolo di compensi professionali, e nel conseguente diritto alla restituzione delle somme versate . Né sotto tale profilo rileva la omessa individuazione della somma partitamente pretesa nei confronti di ciascuno degli eredi, attesa l’unicità genetica dell’obbligazione del de cuius. Quanto alla questione della incompetenza per valore del Tribunale, la sentenza impugnata correttamente osserva come il difensore dei convenuti eredi dell’avv. C. si sia soltanto riservato di proporre l’eccezione in esito alla indicazione di quanto ciascuno di essi fosse tenuto a versare pro quota e sul presupposto che detta indicazione spettasse all’attore . Tale rilievo non solo trova puntuale conferma nella espressa riserva dei convenuti di proposizione di eccezione di incompetenza per valore del giudice adito in esito alla integrazione della domanda attorea sollecitata ai sensi dell’art. 164 co. 4 e 5 c.p.c. riportata alla pag. 4 della comparsa di costituzione e risposta, ultimo capoverso , ma neppure è contrastato dal proposto motivo di gravame sul punto, dolendosi gli appellanti non che il giudice di prime cure abbia erroneamente interpretato le proprie difese, ma che non abbia espresso alcuna valutazione sul mancato rilievo d’ufficio della questione nel termine previsto dall’art. 38 c.p.c. ovvero entro l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. . Tale censura non coglie però nel segno, posto che quando sia mancata tempestiva eccezione di parte di incompetenza del giudice adito e questi abbia altresì omesso di rilevare d’ufficio la questione nel rispetto delle richiamate preclusioni poste dal codice di rito, la competenza deve intendersi ormai definitivamente radicata presso lo stesso giudice. Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti censurano la sentenza impugnata per avere disatteso l’eccezione di nullità della sentenza n. 230/07 della Corte d’appello di Catania, posta a fondamento della pretesa restitutoria del C., senza alcuna reale motivazione. Sotto tale profilo gli stessi sostengono che erroneamente il primo giudice abbia ritenuto detta sentenza opponibile nei loro confronti, benché affetta da nullità per effetto della mancata interruzione del processo a seguito del decesso dell’avv. C., precisando che, non essendo legittimati, come eredi del procuratore distrattario, a proporre impugnazione se non in caso di controversia sulla distrazione, nei loro confronti la nullità della sentenza d’appello non può dirsi sanata ex art. 161 c.p.c. conseguentemente, nel presente giudizio essi non possono essere ritenuti legittimati passivi, dovendo semmai la parte soccombente in primo grado e poi vittoriosa in appello far valere il proprio diritto alla restituzione delle somme versate a titolo di spese di lite in forza della sentenza di primo grado non nei confronti del difensore distrattario o, come nel caso in questione, nei confronti degli eredi di quest’ultimo , ma della sola parte difesa. Tale motivo d’appello è infondato. Premesso sul punto che l'istanza di distrazione consiste nel sollecitare l'esercizio del poteredovere del giudice di sostituire il difensore alla parte nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali, osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che il difensore distrattario assuma la qualità di parte, sia attivamente che passivamente, esclusivamente quando sorga controversia sulla distrazione, quando, cioè, la sentenza impugnata non abbia pronunciato sull'istanza di distrazione o l'abbia respinta, o quando il gravame investa la pronuncia stessa di distrazione così Cass. sez. III, 15/04/2010 n. 9062, che a sua volta richiama Cass., nn. 8458/95, 5664/98, 3356/99, 3624/01, 12104/03, 20321/05, 4792/06, 20531/08 . Si è detto in particolare che il procuratore distrattario è parte limitatamente al capo di pronuncia con il quale gli sono state attribuite le spese ed alle censure che tale capo specificamente e direttamente investono, e che è dunque legittimato a partecipare in proprio al giudizio d'impugnazione soltanto se, con questa, sia investito il capo di pronuncia concernente la distrazione e nei limiti ed ai fini di tale censura così anche Cass. Sez. L. sent. n. 11919 del 9.6.2015 . L'istanza di distrazione non introduce dunque una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale. Da ciò la Suprema Corte trae motivo per affermare nella sentenza 9062/2010 cit. che non sono applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti e che l'impugnazione della sentenza non deve essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benché il capo della sentenza reso sull'istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell'ambito dell'unico rapporto processuale . In sostanza, la pronuncia sulle spese non perde il proprio carattere di accessorietà in ragione del fatto che esse possano essere distratte a favore del procuratore della parte vittoriosa Così come il difensore non è parte nel giudizio benchè l'art. 93 c.p.c. preveda che il giudice possa condannare la controparte soccombente al pagamento delle spese direttamente in suo favore, allo stesso modo non lo diventa se, disposta la distrazione ed effettuato dal soccombente il pagamento, questi richieda in appello la riforma della sentenza per motivi che non si appuntino specificamente contro l'attribuzione delle spese al difensore della parte vittoriosa, ma attengano invece alla causa quale si è svolta tra le parti del rapporto controverso . Il procuratore distrattario dunque fisiologicamente subisce, ai fini restitutori, gli effetti della riforma in peius della sentenza di primo grado, fatto salvo il diritto a percepire dalla parte assistita quanto abbia dovuto restituire alla controparte. Con recente ordinanza della Sez. 6 3 n. 25247 del 25.10.2017 la Corte ha ancora ribadito i suddetti principi, affermando altresì che il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benché non evocato personalmente ingiudizio . E’ stato del pari chiarito che, in caso di distrazione delle spese ai sensi dell’art. 93 c.p.c., allorché sia riformata in appello la sentenza di primo grado di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa, costituente titolo esecutivo, il soggetto tenuto alla restituzione delle somme corrisposte a tale titolo è il difensore distrattario, quale parte del rapporto intercorrente tra chi ha ricevuto il pagamento non dovuto e chi lo ha effettuato, il quale ha diritto alla rifusione dell’intera diminuzione patrimoniale subita, con gli interessi dal giorno del pagamento così in massima Cass. Sez. III sent. n. 8215 del4/4/2013 . Se dunque è vero che la morte dell’unico difensore della parte costituita determina automaticamente l’interruzione del processo e preclude ogni attività processuale, da ciò conseguendo, nel caso in cui non sia stata dichiarata l’interruzione, la nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata, è vero del pari che solo la parte colpita da tale evento interruttivo, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione, è legittimata a far valere detta nullità in sede di legittimità, essendo invece precluso sia il rilievo d’ufficio da parte del giudice che l’eccezione della controparte v. Cass. Sez. III sent n. 25234 del 14.12.2010 . Da tali coerenti arresti giurisprudenziali va desunto il principio di diritto secondo il quale gli eredi del procuratore distrattario, obbligato alla restituzione delle somme incassate a titolo di spese legali in forza di una sentenza di primo grado successivamente riformata in appello, al pari del loro dante causa non sono parte del processo nel quale le statuizioni sulle spese di lite assumono carattere meramente accessorio, e in tale veste subiscono gli effetti dell’eventuale riforma in sede di gravame senza avere diritto ad interloquire sul merito della controversia o sulle statuizioni concernenti le spese processuali, salvo che per ciò che concerne la distrazione concessa od omessa nonostante la richiesta. Il passaggio in giudicato della sentenza che ha riformato la sentenza di primo grado in forza della quale il procuratore aveva direttamente riscosso, in quanto distrattario, le spese liquidate, pur quando sia affetta da un vizio non riguardante l’unico profilo per il quale il distrattario è legittimato ad interloquire , rende non più modificabile anche il regime delle spese, travolgendo le difformi statuizioni adottate con la sentenza impugnata. Nessuna lesione al diritto di difesa del procuratore è giuridicamente ipotizzabile quando, come nel caso di specie, questi non è parte del processo, non è legittimato ad interloquire sul merito della controversia, sull’esito della stessa, sulle conseguenti statuizioni concernenti le spese di lite, con l’unica limitata eccezione di quelle che dispongano, o non dispongano, la distrazione. Né, nell’ipotesi considerata, subisce una deroga il principio secondo il quale è obbligato alla restituzione delle somme il solo procuratore distrattario che le ha incassate in forza di un titolo successivamente caducato, e non la parte che, in ogni caso, è tenuta a corrispondere al proprio difensore i compensi per l’opera prestata. Sul punto Cass. Sez. III ord. n. 13516 del 30.5.2017 afferma che il provvedimento di distrazione delle spese processuali instaura, fra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente, un autonomo rapporto che, nei limiti della somma liquidata dal giudice, si affianca a quello di prestazione d'opera professionale fra il cliente vittorioso e il suo procuratore , e che di conseguenza rimane integra la facoltà di quest'ultimo non solo di rivolgersi al cliente per la parte del credito professionale che ecceda la somma liquidata dal giudice, ma anche di richiedere al proprio cliente l'intera somma dovutagli, per competenze professionali e spese, nonostante la distrazione disposta Sez. 3, Sentenza n. 27041 del 12/11/2008, Rv.605450 . Di ciò del resto ha dato conto la sentenza impugnata accogliendo la domanda di manleva proposta dagli odierni appellanti nei confronti degli eredi di G.F. Nessuna conseguenza può, infine, derivare dalla scelta, legittima, del C. di agire separatamente ai fini della restituzione delle somme corrisposte in forza della sentenza di primo grado a seguito della riforma in appello. Per questi motivi, in parziale accoglimento dell’interposto gravame, ed in riforma della sentenza impugnata, gli appellanti C.R.M., C.M.G., C.N. e C.A., nella qualità di eredi dell’avv. N.C., vanno condannati alla restituzione in favore dell’appellato C.N. della somma di 4.081,84, oltre accessori sì come statuito nella sentenza di primo grado, in proporzione della rispettiva quota ereditaria. Per il resto l’appello principale deve essere respinto. Deve infine essere delibata la doglianza tempestivamente proposta dall’appellato in merito alla compensazione delle spese di lite operata nel primo grado di giudizio. Sostiene in proposito il C. che le ragioni addotte dal primo giudice per giustificare l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali avrebbero semmai suggerito la condanna degli odierni appellati secondo l’ordinaria regola della soccombenza. Sotto tale profilo, premesso che per la proposizione dell'appello incidentale non occorrono formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall'appellato nella comparsa di costituzione risulti in modo non equivoco la volontà di ottenere la riforma della decisione del primo giudice Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21615 del 15/11/2004 , va poi osservato che le ragioni poste a fondamento della disposta compensazione con un generico richiamo alla peculiarità della controversia e alla genesi del giudizio non appaiono integrare i presupposti normativi soccombenza reciproca o altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione richiesti dall’art. 92 co. 2 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis successivo alla novella operata con Legge 28.12.2005 numero . Si rende dunque necessario procedere ad una nuova regolamentazione delle spese processuali secondo un criterio unitario e globale fondato sull’esito complessivo della lite in tal senso v. Cass. Sez. III sent n. 15483/2008 Cass. Sez. III sent. n. 4052 del 19.2.2009 Cass. Sez. VI L. ord. N. 6259 del 18.3.2014 Cass. Sez. L. sent n. 11423 dell’1.6.2016 , esito che appare, pur a seguito del parziale accoglimento del gravame nei termini in precedenza chiariti, sfavorevole agli odierni appellanti. Ne consegue, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., la condanna degli appellanti, in solido, alla rifusione in favore dell’appellato C.N. delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, da liquidarsi, alla stregua del valore della causa, per il giudizio di primo grado in conformità ai parametri di cui al D.M. 140/2012, vigenti all’epoca della pubblicazione della sentenza del Tribunale in data 28.12.2012 v. in particolare Cass. sez. un., 12.10.2012 n. 17405 , e per l’appello alla stregua dei parametri di cui al D.M. 55/2014, ed in particolare in relazione al giudizio di primo grado, nella misura di 1728,00, di cui 178,00 per spese, 1550,00 per compensi, oltre CPA e IVA come per legge in relazione al giudizio d’appello, in complessivi 1830,00 per compensi, oltre Iva e CPA e rimborso spese nella misura del 15% del compenso liquidato. Con distrazione in favore dell’avv. E.C., procuratore dell’appellato C., dichiaratosi antistatario, ex art. 93 c.p.c P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 885/2013 R.G., in sede di impugnazione della sentenza resa dal Tribunale di Catania, Sezione Quarta Civile, n. 3862/12 depositata in data 28.12.2012, decidendo sull’appello proposto da C.R.M., C.M.G., C.N., C.A. contro C.N., nonché nei confronti di G.I.G., G.C. e G.S., n.q., così statuisce in parziale accoglimento dell’appello proposto da C.R.M., C.M.G., C.N. e C.A., nella qualità di eredi dell’avv. N.C., ed in riforma della sentenza impugnata, condanna gli appellanti alla restituzione in favore di C.N. della somma di 4.081,84, oltre accessori sì come statuito nella sentenza di primo grado, in proporzione della rispettiva quota ereditaria rigetta per il resto l’interposto gravame principale in accoglimento dell’appello incidentale proposto da C.N., condanna gli appellanti, in solido, alla rifusione in favore del suddetto appellato delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate per il giudizio di primo grado nella misura di 1728,00, di cui 178,00 per spese, 1550,00 per compensi, oltre CPA e IVA come per legge, e per l’appello in complessivi 1830,00 per compensi, oltre Iva e CPA e rimborso spese nella misura del 15% del compenso liquidato, con distrazione in favore dell’avv. E.C., procuratore dell’appellato C., dichiaratosi antistatario.