La perdita della qualifica di praticante avvocato comporta automaticamente il venir meno del patrocinio

La cancellazione dall'albo dei praticanti abilitati non è regolata dall'art. 37 del r. d.l. n. 1578/1993, pertanto una volta decorso il sessennio l'iscritto non può più esercitare il patrocinio, senza dover necessariamente subire la cancellazione del registro, in assenza di specifica previsione normativa che la contempli.

La vicenda processuale. Un laureato in giurisprudenza lamentava dinanzi al Tribunale la sua ingiusta cancellazione automatica dal registro dei praticanti avvocati abilitati al patrocinio eseguita dal competente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, per decorrenza del termine di sei anni di pratica. A fronte di tale provvedimento l'interessato aveva proposto reclamo davanti al Consiglio Nazionale Forense, poi dichiarato inammissibile. Nello specifico il Consiglio dell'Ordine non riteneva operante l'effetto sospensivo del reclamo proposto, nel mentre l'interessato chiedeva di interpellare sulla questione il Consiglio Nazionale Forense. Tale richiesta veniva disattesa dal Consiglio dell'Ordine. Sulla base di tali presupposti l'interessato chiedeva la condanna del Consiglio dell'Ordine al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. a seguito dell'illegittima disapplicazione dell'efficacia sospensiva del reclamo proposto e per l'omesso inoltro della richiesta di parere consultivo al Consiglio Nazionale Forense. Si costituiva in giudizio il Consiglio dell'Ordine eccependo l'intervenuta prescrizione oltre che l'infondatezza della domanda attorea. Il Tribunale rigettava la domanda evidenziato che l'interessato era stato cancellato dal solo registro dei praticanti abilitati, ma non anche da quello dei praticanti non abilitati al tirocinio e che pertanto la cancellazione dal primo registro non prevede la possibilità di reclamo ex r. d. n. 37/1936 conseguentemente non poteva per ordine logico esser invocata la sospensiva. Né pregio aveva il giudicato esterno derivante dalla pronuncia della Corte di Cassazione che aveva in precedenza statuito che il reclamo proposto dall'interessato sospendeva l'effetto della cancellazione. Interposto gravame, questo veniva dichiarato inammissibile. Ricorre per cassazione l'interessato. La decisione del supremo consenso. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Gli Ermellini spiegano che la cancellazione dall'albo dei praticanti abilitati non è regolata dall'art. 37, r. d.l. n. 1578/1933 che, invece, si riferisce alla cancellazione dal registro dei praticanti. Dirimente sul punto è il richiamo alla sentenza delle SS.UU. n. 17761/2008 in base alla quale il laureato in giurisprudenza, iscritto nello speciale registro per l’esercizio della pratica forense ed ammesso ad esercitare il patrocinio legale limitatamente a determinati procedimenti, pur non potendo, decorso il sessennio, esercitare detto patrocinio, non deve essere cancellato automaticamente dal registro mentre è indubbiamente vero che la perdita della qualifica di praticante comporta automaticamente il venir meno del patrocinio, non esistono argomenti per affermare il reciproco, cioè che la perdita del patrocinio per decorrenza del sessennio comporti la cancellazione anche dal registro dei praticanti . Detto altrimenti, una volta decorso il sessennio, l'iscritto non può più esercitare il patrocinio, senza dover automaticamente subire la cancellazione dal registro, in assenza di una specifica normativa che la contempli. In conclusione. Come rilevato dalla sentenza delle SS.UU. n. 17761/2008 il COA persegue uno scopo apprezzabile e conforme alla legge e dunque non contra ius quando è impegnato a contenere il fenomeno dei miniavvocati a vita , cioè di soggetti che senza conseguire la qualifica di avvocato ne esercitano le funzioni, magari con l'aiuto di un professionista compiacente . Questo obiettivo è recepito anche in via normativa quando si pone un limite temporale al patrocinio dei praticanti con la scadenza di tale termine il patrocinante è legittimato soltanto a proseguire nella pratica cioè a svolgere la sua attività di ausilio e di apprendimento sotto il controllo continuo di chi sia iscritto all'albo . Tanto è provato anche dal fatto che per lo svolgimento della mera pratica non è richiesto quel giuramento che è invece richiesto per lo svolgimento di attività a rilevanza estrema . Mentre ove i limiti di legge siano superati, ed il praticante svolga una vera e propria attività professionale sono applicabili le sanzioni penali e disciplinari a carico del soggetto che travalichi i limiti di quanto gli consente la sua laurea in giurisprudenza e dell'avvocato che gli offra copertura .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 marzo – 23 ottobre 2018, n. 26704 Presidente Frasca – Relatore Positano Fatti di causa 1. Il dott. G.A. evocava in giudizio davanti al Tribunale di Asti il locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati deducendo che in data 24 aprile 2004 il Consiglio dell’Ordine aveva deliberato la sua cancellazione dal registro dei praticanti avvocati abilitati al patrocinio, per decorrenza del termine di sei anni di pratica e che, in data 27 aprile 2004, avverso tale provvedimento aveva proposto reclamo davanti al Consiglio Nazionale Forense, successivamente dichiarato inammissibile in data 24 maggio 2006. Il Consiglio dell’Ordine di Asti non riteneva operante l’effetto sospensivo del reclamo proposto da G. il quale chiedeva di interpellare sul punto il Consiglio Nazionale Forense. Richiesta disattesa con comunicazione del 20 maggio 2004 dal Consiglio dell’Ordine di Asti. Sulla base di tali elementi chiedeva la condanna del Consiglio dell’Ordine al risarcimento del danno a seguito dell’illegittima disapplicazione dell’efficacia sospensiva del reclamo proposto e per l’omesso inoltro della richiesta di parere consultivo al Consiglio Nazionale Forense. Si costituiva in giudizio l’Ordine degli avvocati di Asti chiedendo il rigetto della domanda per intervenuta prescrizione e, nel merito, per infondatezza. 2. Con sentenza del 9 dicembre 2015 il Tribunale di Asti rigettava la domanda dell’attore adottando una motivazione fondata sulla ragione più liquida ed evidenziando che G.A. era stato cancellato dal registro dei praticanti abilitati, ma non anche da quello dei praticanti non abilitati al tirocinio e che pertanto la cancellazione dal primo registro non prevedeva la possibilità di reclamo ai sensi dell’articolo 14 del regio decreto n. 37 del 1936, poiché tale istituto trovava applicazione solo nel caso di cancellazione dal registro ordinario dei praticanti. Pertanto, non essendo previsto il reclamo, non avrebbe potuto invocare l’effetto sospensivo dello stesso avverso il provvedimento di cancellazione che, invece, operava automaticamente, senza necessità di provvedimento specifico del Consiglio dell’Ordine. Il Tribunale, inoltre, rigettava la domanda risarcitoria non ravvisando nella condotta del Consiglio dell’Ordine di Asti alcuna violazione di legge, ritenendo irrilevante, ai fini del giudizio, la decisione adottata dalla Corte di Cassazione il 5 marzo 2014 n. 5211 con la quale incidentalmente la Corte aveva stabilito che G.A. avrebbe dovuto fruire della efficacia sospensiva del reclamo sino alla decisione definitiva del Consiglio Nazionale Forense. 3. Avverso tale sentenza proponeva appello in data 26 febbraio 2016 G.A. deducendo la violazione dell’articolo 2909 c.c., dell’articolo 324 c.p.c. e dell’articolo 24 della Costituzione in ordine alla efficacia della pronunzia della citata decisione della Corte di Cassazione. In via subordinata, lamentava la violazione del R.D. n. 1578 del 1933 articolo 37, comma cinque e del R.D. n. 37 del 1934, articolo 14, comma 2, relativamente alla ritenuta negazione dell’efficacia sospensiva del reclamo proposto dall’appellante avverso la cancellazione del registro dei praticanti abilitati. Si costituiva il Consiglio dell’Ordine eccependo l’inammissibilità del gravame ai sensi dell’articolo 342 e 348 bis c.p.c 4. La Corte d’Appello di Torino con ordinanza ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c. del 18 luglio 2016 dichiarava inammissibile l’appello proposto da G.A. rilevando che, decorso il termine di sei anni, l’abilitazione al patrocinio veniva meno automaticamente, senza alcuna discrezionalità da parte del Consiglio dell’Ordine e senza la possibilità di prorogare il termine e quindi di applicare la sospensione automatica del provvedimento in caso di reclamo. Non sarebbe applicabile l’articolo 14 del regio decreto n. 37 del 1934, e non avrebbe alcun rilievo la decisione della Corte di Cass. n. 5211 del 2014 resa tra parti differenti e non opponibile al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Asti ai sensi degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c 5. Avverso la prima decisione propone ricorso per cassazione G.A. affidandosi a cinque motivi. Il Consiglio dell’Ordine resiste con controricorso. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Preliminarmente sono destituiti di fondamento i due rilievi sollevati dal controricorrente. 2. In primo luogo il Consiglio dell’Ordine ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per il mancato deposito in allegato della copia autentica dell’ordinanza ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c. e relativa attestazione della comunicazione a mezzo posta certificata. 3. L’eccezione è infondata. È in atti la copia dell’ordinanza della Corte d’Appello di Torino del 18 luglio 2016, come pure l’attestazione telematica relativa alla comunicazione di cancelleria del predetto provvedimento eseguita il 18 luglio 2016. 4. Nello stesso modo va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché non sarebbero stati riportati nel corpo dell’atto, l’integrale motivazione dell’ordinanza collegiale ed i motivi di appello. Al contrario a pagina 4 del ricorso, nell’esposizione sommaria dei fatti di causa, il ricorrente individua di due motivi di appello riassumendo sinteticamente l’atto e, a pagina 5, indica il contenuto dell’ordinanza del 18 luglio 2016, emessa dalla Corte d’Appello di Torino. 5. Con il primo motivo si deduce la violazione degli articoli 2909 c.c., 324 c.p.c. e 24 Cost. in relazione alla pronunzia contenuta nella decisione della Corte di Cassazione n. 5211 del 2014 ritenuta erroneamente dal Tribunale inconferente ed inapplicabile al procedimento in oggetto. Secondo il Tribunale il reclamo non sarebbe suscettibile di efficacia sospensiva, in quanto G. , alla scadenza dei sei anni, in applicazione dell’articolo 8 del regio decreto legge n. 1578 del 1933 era stato cancellato solo dal registro speciale dei praticanti abilitati R.D. 22.1.1934 n. 37, art. 14, 3 comma e non anche dal registro ordinario dei praticanti 1 e 2 comma per cui non poteva trovare applicazione la diversa ipotesi prevista dall’articolo 14 del regio decreto n. 37 del 1934 e non poteva invocare l’effetto sospensivo del reclamo avverso il provvedimento di cancellazione che, al contrario, nel caso di specie operava automaticamente. Pertanto, il Tribunale non avrebbe considerato il giudicato esterno derivante dalla pronunzia della Corte di Cassazione che aveva statuito che il reclamo proposto da G.A. il 27 aprile 2004 sospendeva l’effetto della cancellazione. 6. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 37, quinto comma del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 e dell’articolo 14, secondo comma, del regio decreto n. 37 del 1934 censurando l’interpretazione restrittiva delle disposizioni che il Tribunale non ha riferito alle ipotesi della cancellazione per decorso dei sei anni. Il ricorrente rileva che il provvedimento del Consiglio dell’Ordine sarebbe comunque impugnabile poiché suscettibile di riforma, escludendo l’ipotesi di cancellazione automatica per il mero decorso del termine di sei anni. Pertanto la decadenza non sarebbe automatica, ma richiederebbe sempre un provvedimento formale del Consiglio dell’Ordine. Rispetto a tale questione il consiglio competente avrebbe omesso di inoltrare la richiesta di parere al Consiglio Nazionale Forense assumendo su di sé la responsabilità della mancata efficacia sospensiva del reclamo proposto dal ricorrente. 7. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 2043 c.c. in relazione all’articolo 25 del regolamento interno per le attività del Consiglio Nazionale Forense del 1992 e la violazione dell’articolo 1176 c.c., in relazione agli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 Cost. relativamente alla ritenuta conformità del comportamento dell’Ordine degli Avvocati di Asti al dettato normativo e alla ritenuta insussistenza di condotte attive o omissive del medesimo, lesive degli diritti del ricorrente. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale che ha affermato la conformità alla legge dell’attività del Consiglio dell’Ordine di Asti, quest’ultimo avrebbe adottato una condotta rilevante ai sensi dell’articolo 2043 c.c. per avere ritenuto non reclamabile la cancellazione dall’albo dei praticanti abilitati, per avere escluso l’efficacia sospensiva del reclamo presentato da G.A. e per avere omesso di richiedere un parere al Consiglio Nazionale Forense sull’efficacia sospensiva del reclamo. 8. Con il quarto motivo si deduce l’ipotesi di ultra petizione per avere il Tribunale respinto la domanda argomentando su questioni non sottoposte alla sua attenzione, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 4 c.p.c., in relazione all’articolo 132, nn. 4 e 5 e 112 c.p.c. Il ricorrente rileva che non era stata mai censurata, quale fonte di responsabilità, la mancata pronuncia costitutiva dell’efficacia sospensiva del reclamo proposto dal ricorrente, da parte del Consiglio dell’Ordine di Asti. 9. Con il quinto motivo si lamenta la violazione, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 4 e 132, n. 4 e n. 534, 187 e 209 c.p.c, nonché 2697 c.c. con riferimento sia all’ordinanza del 16 luglio 2015, che alla sentenza del Tribunale di Asti, nella parte in cui sono state ritenute inammissibili le richieste di prova proposte dal ricorrente, in quanto irrilevanti per il decidere trattandosi, al contrario, di elementi di prova indispensabili e formulati in conformità alle disposizioni codice di rito. 10. La decisione va cassata senza rinvio ai sensi del terzo comma dell’art. 382 c.p.c. in quanto la domanda di G. non avrebbe potuto essere proposta. La pretesa, infatti, è già in astratto priva di fondamento in iure in quanto, anche ipotizzando che il reclamo in oggetto avesse effetti sospensivi, il successivo rigetto dell’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. proposta nel confronti del COA per non avere tale organo avallato la tesi dell’attore secondo cui il reclamo al CNF aveva effetto sospensivo della cancellazione dal registro speciale dei praticanti determinando la nullità dell’attività di patrocinio espletata nelle more, avrebbe comportato l’obbligo di restituzione del corrispettivo ricevuti dal professionista, in favore dei patrocinati. 11. Ne segue che l’azione esercitata individuava come fatto costitutivo un danno inesistente e per tale, ragione il giudice di merito avrebbe dovuto rilevarne la infondatezza in iure e, dunque, la improponibilità. 12. In ogni caso, il primo motivo è infondato non ricorrendo l’ipotesi di giudicato esterno ai sensi dell’articolo 2909 c.c. poiché la pronunzia in questione non ha ad oggetto un diritto che è suscettibile di acquistare autorità di giudicato, trattandosi di giudizio fra altre parti e di una valutazione incidentale in ordine agli effetti di una attività processuale reclamo ed eventuale sospensione degli effetti del provvedimento impugnato . 13. Non sussistono, infatti, i presupposti del vincolo del giudicato esterno, ordinariamente operante nel caso in cui due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi costituisca la premessa logica indispensabile per la statuizione relativa all’altro. 14. Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico, e la relativa preclusione opera anche nell’ipotesi in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono il petitum del primo. Tale indirizzo giurisprudenziale richiede che le cause, tra le stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo titolo negoziale od un medesimo rapporto giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato in tal caso, infatti, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono l’esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo. Nessuno di tali presupposti sussiste poiché il giudizio invocato Cass. n. 5211 del 2014 riguardava parti diverse, nel quale la Corte era chiamata decidere della nullità della notificazione al difensore della ricorrente dott. G.A. della impugnazione, essendosi verificata la circostanza della cancellazione dall’albo dopo la pronunzia della sentenza, ma prima della notifica dell’appello. 15. Quanto al secondo motivo, la decisione del Tribunale non si fonda sulla negazione di un controllo giurisdizionale riguardo al provvedimento di cancellazione dall’albo speciale dei praticanti abilitati al patrocinio, per decorso del termine di sei anni, ma sulla diversa argomentazione dell’inesistenza di una norma che, con riferimento al caso specifico, preveda la sospensione di tale cancellazione. A pagina 3 della sentenza di primo grado vengono esaminate le ipotesi di impugnazione, evidenziando che le stesse non sono riferibili al caso in esame. Pertanto il provvedimento viene rigettato per la mancanza di una specifica disposizione di legge che preveda che l’impugnazione del provvedimento del Consiglio dell’Ordine determini la sospensione, in maniera analoga a quanto previsto per la differente ipotesi disciplinata dall’articolo 37, quinto comma del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, che si riferisce alla cancellazione dal registro dei praticanti, pronunziata dal Consiglio dell’Ordine d’ufficio, su istanza del pubblico ministero e con riferimento all’opposizione dei soli avvocati e procuratori dell’albo professionale. Ipotesi certamente differente rispetto a quella che riguarda la posizione di G.A. . 16. In definitiva, la cancellazione dall’albo dei praticanti abilitati non è regolata dal citato art. 37. L’affermazione tratta dal ricorrente dalla motivazione di Cass. n. 5211 del 2014 non è argomentata e, comunque, essa non aveva di fronte un caso di sicura ricorrenza di una simile ipotesi di sospensione. La sentenza delle SS.UU. n. 17761 del 2008 smentisce la tesi del motivo e così come la recente decisione ord. n. 30057 del 2017, secondo cui, in tema di pratica forense, l’art. 8 del r.d.l. n. 1578 del 1933 prevede uno speciale registro in cui sono iscritti i laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica per la professione di avvocato, i quali, dopo un anno dalla iscrizione, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, a esercitare, limitatamente a determinati procedimenti, il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’ordine circondariale che ha la tenuta del registro medesimo. Una volta decorso il sessennio, l’iscritto non potrà più esercitare il patrocinio, senza dover necessariamente subire la cancellazione dal registro, in assenza di specifica previsione normativa che la contempli. Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte d’appello con la quale il praticante era stato condannato alla restituzione delle somme percepite in rapporto alle prestazioni rese nel periodo successivo alla scadenza del termine di sei anni dalla sua iscrizione nel registro dei praticanti avvocati - Sez. 2, Ordinanza n. 30057 del 14/12/2017, Rv. 646602 - 01 . 17. Gli altri motivi restano assorbiti. In conseguenza della pronuncia vanno liquidate le spese relative al giudizio di primo grado nella misura indicata in dispositivo. 18. Infine non può trovare applicazione, non essendo tecnicamente soccombente il ricorrente e dovendo interpretare restrittivamente la norma dell’art. 13 comma 1-quater del DPR n. 115 del 2002 in tema di contributo unificato per i giudizi impugnatori, in quanto lato sensu sanzionatoria Cass. Sez 6-3, n. 15671 del 23.6.2017 . P.Q.M. La Corte cassa la sentenza impugnata senza rinvio e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente relative al giudizio di primo grado liquidate in Euro 6.000,00 per compensi e per il giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.500,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.