Falsificazione di documenti e decoro della professione forense: quando è l’avvocato ad essere sotto accusa

Procedimento penale e procedimento disciplinare per la medesima vicenda un esempio su come valutare i ‘fatti’ oggetto dei differenti giudizi, con le relative conseguenze, e la precisazione del concetto di ‘intenzionalità’ della azione od omissione nella vertenza disciplinare.

Sul punto la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 18460/18 depositata il 12 luglio. Il caso. La vicenda giunta sino a Piazza Cavour trae origine da un esposto pervenuto al C.O.A. da parte di una signora che aveva denunciato comportamenti disciplinarmente rilevanti tenuti da due avvocati. Nello specifico, la donna affermava che in un giudizio introdotto da un legale per il pagamento di compensi professionali, difeso dall'altro avvocato accusato, quest'ultimo aveva depositato una lettera di diffida a propria firma, spedita con raccomandata e correlata dalle distinte di accettazione e ricevuta di ritorno. Ma il bello veniva proprio a questo punto l'esponente, infatti, asseriva che tali atti erano il risultato di una falsificazione essendo stata inviata la diffida ad un indirizzo sbagliato nel numero civico -per come platealmente risultava dalla distinta di accettazione ed evidentemente in un secondo momento contraffatto sulla busta e sulla ricevuta di ricevimento perché risultava essere stata ‘ricevuta’ al numero civico della sua effettiva residenza. Lo scopo della falsificazione era quello di interrompere la prescrizione del credito professionale. Inoltre, la relata di notifica riportava due indicazioni contrastanti uno ‘rifiutato dal destinatario’ e l'altro ‘l'indirizzo è inesistente’. Ebbene, nelle deduzioni presentate dal legale incolpato, costei aveva ammesso che al momento della spedizione un proprio collaboratore aveva corretto l'indirizzo del destinatario sulla cartolina ma si era dimenticato di correggerlo nella distinta di accettazione. Pertanto, la grafia su quel documento non era la sua. Inoltre, sottolineava la propria buona fede per aver ella stessa prodotto in giudizio la copia della busta della cartellina, contenenti la alterazione del numero civico, e la copia della distinta di accettazione che invece non lo conteneva. Il capo di incolpazione del COA. Era così che il COA competente formulava il seguente capo di incolpazione nei confronti di ambo i professionisti * aver falsificato, dopo la restituzione al mittente, la busta e la cartolina della raccomandata, violando l'articolo 5 dovere di probità, dignità e decoro e l'articolo 6 dovere di lealtà e correttezza del codice deontologico forense * aver utilizzato in giudizio, dopo la falsificazione, questi atti violando sempre gli articoli 5, 6 ed anche 14 dovere di verità . Nel corso del giudizio emergeva l'estraneità del primo avvocato per intenderci, il legale creditore perché la lettera era stata spedita dallo studio del secondo professionista legale. Il giudizio penale e la assoluzione. Ma nel giudizio penale, iniziato contemporaneamente, il secondo avvocato veniva assolto con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’. In Cassazione, pertanto, quest’ultima ricorreva deducendo che la sentenza penale di assoluzione aveva smentito in fatto che ella avesse effettuato una qualsiasi annotazione sulle due caselle ‘rifiutato’ ed ‘indirizzo inesistente’ e precisava che la spunta su entrambe le caselle dell'adesivo apposto sulla busta era da attribuire ad un errore dell'ufficio postale che aveva siglato inavvertitamente le due caselle nonché che irrilevanti risultavano le correzioni dell'indirizzo del destinatario. Tanto senza considerare la non avvenuta identificazione dei soggetti che eventualmente avrebbero proceduto alla correzione degli indirizzi come sopra, rimanendo non provata la attribuibilità della condotta alla imputata. La pronuncia degli Ermellini. La sentenza penale di assoluzione, però, per la Suprema Corte non vale nel presente giudizio perché la sentenza afferente al ‘fatto non costituisce reato’ non è idonea a formare il giudicato ex art. 653 c.p.p. nel procedimento disciplinare perché ha riguardato fatti diversi. Infatti, come affermato dal Consiglio Nazionale Forense, la sentenza penale di assoluzione ha avuto come oggetto la falsificazione da parte dell'avvocato della relazione di notificazione, con la siglatura delle due contraddittorie diciture uno ‘rifiutato’ e l'altro ‘indirizzo inesistente’ . Ma nel procedimento disciplinare ci si è occupati della falsificazione del numero civico sulla busta e sulla cartolina, dopo la restituzione di queste al mittente. Il C.N.F. ha dato atto anche che sulla busta e sulla cartolina l'indirizzo effettivamente inesistente era stato corretto poi con l'indirizzo corretto corrispondente al domicilio della ex cliente e che, seppur la sentenza penale aveva affermato che l'alterazione non poteva essere attribuita con certezza alla ricorrente, la alterazione del numero civico era stata effettuata da qualcuno dello studio, come affermato dalla stessa incolpata in una propria memoria. In ordine all’accertamento della intenzionalità della produzione di prove false nel processo, necessarie per integrare l'ipotesi dell'illecito contestato, deve darsi atto della identità sostanziale dell'articolo 3 del vecchio codice deontologico, applicabile alla presente fattispecie, con la previsione della volontarietà dell'azione contenuta nell'articolo 4 del nuovo codice deontologico. L’elemento soggettivo nel procedimento disciplinare. In tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato la Suprema Corte ha affermato in più occasioni che ‘la coscienza e volontà delle azioni od omissioni’ consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione od omissione, che possano essere impedite con uno sforzo del volere e siano quindi attribuibili alla volontà del soggetto. Il che fonda la presunzione di colpa per l'atto sconveniente o, addirittura, vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l'onere di provare di aver agito senza colpa. Da tutto ciò deriva che nella presente fattispecie non può parlarsi di mancanza di intenzionalità quando il C.N.F. ha accertato che la stessa incolpata era a conoscenza della correzione dell'indirizzo ad opera di un collaboratore ed ha esibito -comunque in giudizio i documenti contraffatti, salvo poi rinunziare alla eccezione di prescrizione dopo la contestazione dell'illecito disciplinare. In ogni caso, la Suprema Corte precisa che la valutazione del Consiglio Nazionale Forense in ordine alla sussistenza dell'elemento sia materiale che psicologico dell'illecito disciplinare addebitato al professionista è incensurabile in sede di legittimità, in quanto, come nella specie, è sorretta da motivazione adeguata ed immune da errori.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 30 gennaio – 12 luglio 2018, numero 18460 Presidente Schirò – Relatore Armano Fatti di causa L’avvocato D.L. ricorre avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense numero 89 del 13 luglio 2017 di conferma della decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania che le aveva inflitto la sospensione dell’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi due. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania non presenta difese. L’avvocato D. ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Ragioni della decisione 1.La vicenda trae origine da un esposto pervenuto al COA di Catania in data 11 dicembre 2012 da parte della signora T.A. , che aveva denunciato comportamenti disciplinarmente rilevanti tenuti dagli avvocati C.D. e D.L. . La T. affermava che,in un giudizio introdotto dall’avvocato C.D. per il pagamento di compensi professionali, difeso dall’avvocato D.L. , quest’ultima aveva depositato in data 12 giugno 2012 una lettera di diffida a sua firma, spedita con raccomandata del 3 febbraio 2011, lettera correlata dalle distinte di accettazione e ricevuta di ritorno. L’esponente asseriva che tali atti erano il risultato di una falsificazione, essendo stata inviata la diffida ad un indirizzo sbagliato nel numero civico, omissis , come risultava dalla distinta di accettazione, evidentemente in un secondo momento contraffatto sulla busta e sulla ricevuta di ricevimento in 19/A, numero civico di sua effettiva residenza,tutto ciò al fine di interrompere la prescrizione del credito. La relata di notifica riportava, poi, due indicazioni contrastanti, rifiutato dal destinatario e l’indirizzo è inesistente”. Nelle deduzioni presentate al COA in data 27-4-2013 l’incolpata aveva ammesso che al momento della spedizione un suo collaboratore aveva corretto l’indirizzo del destinatario sulla cartolina, ma si era dimenticato di correggerlo nella distinta di accettazione e che pertanto la grafia su quel documento non era la sua deduceva inoltre la propria buona fede per avere ella stessa prodotto in giudizio le copie della busta e della cartolina,contenenti l’alterazione del numero civico,e la copia della distinta di accettazione che non lo conteneva, circostanze poi ribadite nella memoria del 20-6-2014. Il COA formulava il seguente capo d’incolpazione nei confronti dei due professionisti aver falsificato, dopo la restituzione al mittente, la busta e la cartolina della raccomandata violando gli articoli 5 doveri di probità dignità e decoro e 6 doveri di lealtà e correttezza del Codice deontologico forense aver utilizzato in giudizio, dopo la falsificazione, gli atti sopra indicati, così violando gli articoli 5 doveri di probità dignità e decoro , 6 doveri di lealtà e correttezza e 14 dovere di verità . Nel corso del giudizio emergeva l’estraneità dell’avvocato C. perché la lettera era stata spedita dallo studio dell’avvocato D. . Nel giudizio penale, iniziato contemporaneamente, l’avvocato D. veniva assolta con la formula perché il fatto non costituisce reato. 2.Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 652 e 653 c.p.p e degli artt. 5, 6 e 14 del codice deontologico. Deduce la ricorrente che la sentenza penale di assoluzione aveva smentito in fatto che la D. avesse effettuato una qualsiasi annotazione sulle due caselle rifiutato e indirizzo inesistente ed ha precisato che la spunta su entrambe le caselle dell’adesivo apposto sulla busta era da attribuire ad un errore dell’ufficio postale che aveva siglato inavvertitamente due caselle che irrilevanti risultavano le correzioni dell’indirizzo del destinatario al di là invero de la non avvenuta identificazione dei soggetti che eventualmente avrebbero proceduto alla correzione degli indirizzi come sopra, rimane comunque non provata l’attribuibilità della condotta all’imputata D. . 3. Il motivo è infondato. La sentenza penale di assoluzione perché il fatto non costituisce reato non è idonea a formare il giudicato ex art 653 c.p.p nel presente procedimento perché ha riguardato fatti diversi. Infatti, come affermato dal CNF, la sentenza penale di assoluzione ha avuto come oggetto, ai fini dell’accertamento dei reati di cui agli articoli 476 e 482 codice penale, la falsificazione da parte dell’avvocato D. della relazione di notificazione, con la siglatura delle due contraddittorie diciture rifiutato e indirizzo inesistente , mentre il procedimento disciplinare si è occupato della falsificazione del numero civico sulla busta e sulla cartolina, dopo la restituzione di queste alla mittente. Il CNF ha dato atto che sulla busta e sulla cartolina l’indirizzo di omissis , effettivamente inesistente, era stato corretto in omissis , indirizzo corrispondente al domicilio della T. che, se pure la sentenza penale aveva affermato che l’alterazione non poteva essere attribuita con certezza alla ricorrente, l’alterazione del numero civico era stato effettuata da qualcuno dello studio, come affermato dalla incolpata nella sua memoria del 20 giugno 2014. In ordine all’accertamento della intenzionalità della produzione di prove false nel processo, necessaria per integrare l’ipotesi dell’illecito contestato, deve darsi atto della identità sostanziale dell’articolo 3 del vecchio codice deontologico, applicabile alla presente fattispecie, con la previsione della volotarietà dell’azione contenuta nell’articolo 4 del nuovo codice deontologico. Questa Corte ha affermato che in tema di responsabilità disciplinare dell’avvocato la coscienza e volontà delle azioni o omissioni consistono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione che possano essere impedite con uno sforzo del volere e siano quindi attribuibili alla volontà del soggetto. Il che fonda la presunzione di colpa per l’atto sconveniente o addirittura vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa. Sez. S.U. 29-5-2017 numero 13456. Ne deriva che nella presente fattispecie non può parlarsi di mancanza di intenzionalità quando il CNF ha accertato che la stessa incolpata era a conoscenza della correzione dell’indirizzo ad opera di un collaboratore ed ha esibito comunque in giudizio i documenti contraffatti, salvo poi rinunziare all’eccezione di prescrizione dopo la contestazione dell’illecito disciplinare. 4. Con il secondo motivo si denunzia invalidità ed erroneità della decisione per eccesso di potere manifesta contraddittorietà ed illogicità,carenza di istruttoria e travisamento .Insussistenza della violazione dell’articolo 14 canone I del Codice Deontologico Forense, violazione dell’articolo 3 del codice deontologico forense, nella versione applicabile ratione temporis. La ricorrente afferma che la decisione del CNF sarebbe ingiusta anche laddove si prescindesse dalle risultanze della sentenza del giudice penale, per averla ritenuta disciplinarmente responsabile della falsificazione numero civico dell’indirizzo di spedizione a seguito della restituzione al mittente del plico consegnato, al fine di indurre in errore con prova falsificata il giudice del giudizio relativo al recupero di crediti professionali. Il CNF ha fondato tale decisione sulle ammissioni contenute nella memoria del 20 giugno 2014, ritenendo sufficiente a concretare l’illecito l’alterazione dei numeri civici su busta e cartolina. La ricorrente denunzia il travisamento del contenuto della memoria del 20 giugno 14 poiché ella assolutamente non si riferiva ad una correzione successiva, ma bensì ad una correzione dell’indirizzo effettuata prima della consegna della lettera all’ufficio postale per la spedizione. La decisione, per quanto concerne l’individuazione del momento della correzione dei numeri civici, era affetta da palese contraddittorietà ed il gravissimo travisamento del fatto concretava vizio di eccesso di potere. La decisione era illogica e viziata da eccesso di potere ed assunte violazione degli artt. 3 e 14 del codice deontologico forense. Sostiene la ricorrente che solo oggi,con l’introduzione dell’articolo 7 dell’attuale codice deontologico, gli avvocati rispondono sul piano deontologico dell’operare dei propri collaboratori. Se pure si volesse ritenere la correzione successiva alla restituzione al mittente, il CNF avrebbe dovuto motivare in ordine alla circostanza se l’avvocato de Stefano ne fosse a conoscenza prima della produzione in giudizio. 5. Il motivo è infondato. Secondo giurisprudenza consolidata per tutte e fra le più recenti Cass. Sez. Unumero , 20 settembre 2016, numero 18395 Cass. Sez. Unumero , 22 luglio 2016, numero 15203 , le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite della Corte di Cassazione, ai sensi dell’articolo 56 del r.d.l. numero 1578 del 1933, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito Cass., S.U., numero 2637 del 2009 , L’eccesso di potere, cui fa riferimento l’articolo 56 del r.d.l. 27 novembre 1933 numero 1578 convertito con modifiche nella legge 22 gennaio 1934, numero 36 , nel prevedere il ricorso degli interessati e del P.M. avverso le decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, non ricalca la figura dello sviamento di potere o le cosiddette figure sintomatiche, elaborate dalla giurisprudenza amministrativa, ma consiste nel solo cd. eccesso di potere giurisdizionale, che si concreta nell’esplicazione di una potestà riservata dalla legge ad un’altra autorità, sia essa legislativa o amministrativa, o nell’arrogazione di un potere non attribuito ad alcuna autorità, e non può, quindi, essere fatto valere per omissione di valutazioni di fatto. S.U. 4-7-2012 numero 11142. Quindi la censura di eccesso di potere per gravissimo travisamento del contenuto della memoria de 20-6-14 e per aver ritenuto responsabile la D. dell’operato di un suo collaboratore, di cui ella sarebbe stata a conoscenza, è infondata in quanto dalla lettura della sentenza non emerge alcun eccesso o sviamento di potere, ovverosia l’uso della potestà disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito Cass., sez. unumero , 23 marzo 2007, numero 7103 9 maggio 2016, numero 9287 14 dicembre 2016, numero 25627 conf. numero 25633/2016, cit. , ma solo una difforme valutazione delle risultanze processuali rispetto alle tesi difensive dell’interessata, Cass., sez. unumero , 7 aprile 2014, numero 8053 anche nel contenzioso disciplinare Cass., sez. unumero , nnumero 9287-25627-25633/2016, cit. . 6. Le censure formulate esulano dai poteri del giudice di legittimità e richiedono nuovo esame del materiale probatorio sottoposto al giudice di merito. Questo, peraltro, ha compiuto una specifica disamina dei fatti ritenendo che la D. fosse al corrente della alterazione del numero civico perché tale circostanza era stata ammessa proprio dalla D. nella memoria del 20 giugno 2014 e che tali documenti erano stati prodotti nel giudizio a corredo di una diffida che,se effettivamente pervenuta alla destinataria, avrebbe provato per lo meno il decorso della prescrizione presuntiva triennale del credito dell’avvocato difeso dalla ricorrente ha ritenuto che nessun rilievo in ordine alla già avvenuta commissione dell’illecito poteva avere l’aver dichiarato a verbale, successivamente all’esposto presentato a suo carico presso l’organo disciplinare,di non volersi avvalere del giudizio civile della diffida in questione. Inoltre la valutazione del Consiglio nazionale forense in ordine alla sussistenza dell’elemento sia materiale che psicologico concretantesi, di norma, nella coscienza e volontarietà dell’azione o dell’omissione dell’illecito disciplinare addebitato al professionista è incensurabile in sede di legittimità, in quanto, come nella specie, è sorretta da motivazione adeguata ed immune da errori. Nell’enunciare il principio di cui in massima, le S.U. hanno confermato la decisione del CNF, la quale, in fattispecie di utilizzazione da parte dell’avvocato in un giudizio civile di documenti falsi a sostegno della tesi della parte rappresentata, aveva escluso che l’affidamento, da parte dell’incolpato, dello studio e della gestione della controversia al proprio praticante fosse sufficiente ad esentare l’avvocato medesimo da ogni responsabilità . S.0 02-07-2004. numero 12140. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese in assenza di difese dell’intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17 della l. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.