Gli interessi moratori sulla parcella dell’avvocato maturano solo in seguito alla conclusione del procedimento di liquidazione

In tema di liquidazione di diritti e onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione contenuta nel d.m. n. 238/1992, per la quale gli interessi di mora decorrono dal terzo mese successivo all’invio della parcella, non si applica in caso di controversia avente ad oggetto il compenso tra avvocato e cliente non potendo quest’ultimo essere ritenuto in mora prima della liquidazione delle somme dovute con l’ordinanza che conclude il procedimento ex art. 28 l. n. 794/1942.

E’ il principio ribadito dalla sentenza della Corte di Cassazione, n. 17655/18, depositata il 5 luglio. Il caso. Con ricorso per decreto ingiuntivo un avvocato domandava a un cliente il pagamento di una somma a titolo di spese legali, affermando di avere svolto delle prestazioni professionali in favore di questi che, in ultimo, non aveva provveduto a corrispondere quanto dovuto. Il cliente, ricevuto il decreto ingiuntivo, provvedeva a notificare atto di citazione in opposizione, quantificando la debenza delle parcelle richieste dall’avvocato. Il Tribunale investito della vicenda, all’esito del giudizio, pur riconoscendo le ragioni del legale, accoglieva parzialmente l’opposizione dichiarando la somma dovuta inferiore rispetto a quella fatta oggetto del procedimento monitorio. A seguito del giudizio di primo grado l’avvocato proponeva appello verso la sentenza. La Corte d’Appello accoglieva l’appello proposto nella parte in cui veniva richiesta una diversa quantificazione degli interessi legali sulle somme dovute. Visto l’accoglimento solo parziale dell’appello, l’avvocato proponeva ricorso in Cassazione al fine di vedere riconosciute le proprie ragioni. Con ricorso incidentale il cliente, di contro, chiedeva il rigetto del gravame proposto dall’avvocato e articolava diverse doglianze avverso la sentenza di appello. La Cassazione accoglie il ricorso e rinvia il procedimento alla Corte d’Appello competente. Con il ricorso principale l’avvocato contestava in prima battuta la sentenza d’appello in quanto la Corte avrebbe errato nel valutare la controversia oggetto del giudizio di valore indeterminabile. La seconda doglianza, invece, era basata sul presunto errore della Corte d’Appello nel non fare decorrere gli interessi legali dalla data di invio della parcella o, in ogni caso, da quella della notifica del decreto ingiuntivo. Con la sentenza in commento, la Suprema Corte accoglieva parzialmente le doglianze del ricorrente. Il primo motivo di ricorso veniva, invero, rigettato. Secondo il ricorrente, difatti, la causa da lui patrocinata e che aveva dato luogo alla prestazione professionale oggetto della parcella sarebbe stata di valore indeterminabile e ciò sarebbe stato desumibile in parte dalle dichiarazioni dello stesso cliente e in parte dalle risultanze dell’attività istruttoria del giudizio. La Cassazione, però, rigettava tale interpretazione affermando che in una causa relativa a beni immobili, come quella in questione, il valore della procedura si ricava sulla base del reddito dominicale o della rendita catastale della res . In particolare l’art. 15 c.p.c. afferma che per ottenere il valore di causa è necessario moltiplicare il reddito dominicale o la rendita catastale per duecento per le cause relative alla proprietà per cento per le cause relative all'usufrutto, all'uso, all'abitazione, alla nuda proprietà e al diritto dell'enfiteuta per cinquanta con riferimento al fondo servente per le cause relative alla servitù . Inoltre la Corte affermava che la determinazione doveva essere fatta sulla base degli elementi disponibili dal principio del giudizio e non anche grazie alle risultanze istruttorie assunte in corso di causa. Il secondo motivo di ricorso veniva invece accolto dagli Ermellini. Affermava la Corte come la giurisprudenza avesse da tempo specificato il principio in ragione del quale in tema di liquidazione di diritti e onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tra tariffe forensi contenuta nel d.m. n. 238 del 1992, per la quale gli interessi di mora decorrono dal terzo mese successivo all’invio della parcella, non si applica in caso di controversia avente ad oggetto il compenso tra avvocato e cliente non potendo quest’ultimo essere ritenuto in mora prima della liquidazione delle somme dovute con l’ordinanza che conclude il procedimento ex articolo 28 della legge n. 794 del 1942, sicché è da tale data che, entro i limiti degli importi riconosciuti dal giudice, decorrono gli interessi si veda sul punto anche Cass. Sez. II, 16 febbraio 2016, n. 2954 . Il decreto ingiuntivo, poi, essendo un titolo esecutivo, una volta notificato consente di conoscere con certezza la somma dovuta e quindi a partire da tale momento è legittimo effettuare il calcolo degli interessi moratori e non quindi dalla sentenza relativa al giudizio di opposizione allo stesso decreto. All’esito del giudizio, rigettato integralmente il ricorso incidentale proposto dal cliente, la Cassazione accoglieva il ricorso dell’avvocato limitatamente alla seconda doglianza e – cassata la sentenza di appello – rinviava la procedura al giudice di merito per una nuova valutazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 8 marzo – 5 luglio 2018, n. 17655 Presidente Manna – Relatore Cavallari Motivi in fatto e diritto della decisione Con ricorso per decreto ingiuntivo del 28 gennaio 2000 M.D. ha chiesto al Presidente del Tribunale di Salerno di ingiungere a C. D. , in proprio e quale procuratore generale di C.J.L. e C.V.G. , il pagamento di 37.753.842 a titolo di compenso per la sua attività di avvocato. Con atto di citazione notificato il 22 marzo 2002 C. D. , in proprio e quale procuratore generale di C.J.L. e C.V.G. , ha proposto opposizione contro il summenzionato decreto ingiuntivo e ha chiesto, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno. Il Tribunale di Salerno, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2472/2005, ha accolto in parte l’opposizione e condannato gli opponenti a corrispondere un importo inferiore a quello riconosciuto nel decreto ingiuntivo. Con atto di citazione notificato il 5 gennaio 2006 M.D. ha proposto appello. C.D. , in proprio e quale procuratore generale di C.J.L. e C.V.G. , si è costituito, chiedendo il rigetto del gravame e, in via incidentale, il risarcimento del danno patito. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 980/2012, ha in parte accolto l’appello principale con riferimento al profilo degli interessi legali, confermando per il resto l’impugnata sentenza. M.D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. C.D. , in proprio e quale procuratore generale di C.J.L. e C.V.G. , ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di quattro motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 380 bis c.p.c 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 10, 12, 15, 112, 115 e 116 c.p.c., 111 Cost., 2697 e 2730 ss. c.c., nonché 6, commi 2 e 4, del DM n. 585/1994, poiché la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la controversia, con riferimento alla quale era richiesto il pagamento dell’onorario professionale, di valore indeterminabile. In particolare, M.D. afferma che il giudice di appello non avrebbe considerato che lo stesso C. D. avrebbe in più occasioni espresso il suo pensiero in ordine al valore dei cespiti oggetto della causa presupposta e che questo, comunque, sarebbe emerso da una consulenza di ufficio disposta dal PM presso il Tribunale di Salerno nel corso delle indagini preliminari a carico dei beneficiari degli atti di compravendita immobiliari interessati dalla domanda di declaratoria di nullità formulata nei giudizi iscritti ai numeri 1212 e 1213 del 1995. Inoltre, il ricorrente contesta che la Corte di Appello di Salerno sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione poiché avrebbe qualificato di valore indeterminabile la causa nonostante C.D. ne avesse quantificato il valore in Lire 700.000.000 al momento dell’opposizione con dichiarazione avente carattere confessorio. La doglianza è infondata. Infatti, per costante giurisprudenza, il valore delle cause relative a beni immobili fra le quali quella in esame si determina ex articolo 15 c.p.c. sulla base del reddito dominicale o della rendita catastale della res, da moltiplicare secondo determinati parametri, con la conseguenza che, in assenza sia dell’uno che dell’altra come nella presente controversia , il giudice deve attenersi alle risultanze degli atti e, non emergendo da essi concreti ed attendibili elementi per la stima, ritenere la causa di valore indeterminabile. Gli elementi su cui fondare il giudizio di valore devono, peraltro, risultare precostituiti e disponibili fin dall’inizio del processo, essendo irrilevanti quelli acquisiti in corso di istruzione, nonché specifici, concreti, obbiettivi ed idonei a fornire un razionale fondamento di stima Cass., Sez. 2, n. 7615 del 14 agosto 1997 . Nella specie, sostiene il ricorrente che, benché mancasse l’indicazione del reddito dominicale o della rendita catastale, il valore della controversia con riferimento alla quale era chiesto il pagamento del compenso sarebbe stato perfettamente desumibile dagli atti di causa e, soprattutto, da alcune circostanze elencate nel ricorso. Tale assunto è privo di pregio. Come sopra affermato, gli elementi su cui fondare il giudizio di valore devono essere, oltre che precostituiti e disponibili fin dall’inizio del processo, pure specifici, concreti, obbiettivi ed idonei a fornire un razionale fondamento di stima. L’accertamento della sussistenza di detti elementi e delle loro caratteristiche è rimessa al giudice del merito e deve ritenersi sindacabile solo nei limiti in cui è oggi ancora possibile contestare la motivazione della decisione impugnata, vale a dire in presenza di una motivazione omessa o meramente apparente. La Corte di Appello di Salerno ha valutato le circostanze lamentate dal ricorrente e ne ha esclusa la rilevanza spiegando il proprio convincimento con il fatto che C.D. non aveva certo le competenze per indicare con cognizione il valore della controversia e che la menzionata consulenza del PM presso il Tribunale di Salerno era non attendibile, in quanto lo stesso M.D. ne aveva fortemente contestato l’attendibilità. Se ne ricava che non vi sono gli estremi per ritenere illegittima la pronuncia impugnata sul punto. Inoltre, neppure può prospettarsi un vizio di ultra petizione, poiché la questione del valore della causa presupposta è stata discussa sin dalla presentazione dell’opposizione a decreto ingiuntivo in primo grado. Non si può, poi, attribuire un valore confessorio alle dichiarazioni del controricorrente. A prescindere dal carattere sopravvenuto rispetto al giudizio presupposto e non originario della circostanza, si rileva che C.D. , come riporta il medesimo ricorrente, si sarebbe limitato ad evidenziare l’opinabilità della ricostruzione del valore degli immobili operata da M.D. menzionando, a titolo esemplificativo, la consulenza disposta dal PM presso il Tribunale di Salerno. Ciò, però, al mero fine di affermare la non univocità degli elementi agli atti, che impediva di reputare determinato il suddetto valore, con la conseguenza che alcuna rilevanza confessoria possono assumere le sue dichiarazioni. 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 1224 e 1283 c.c. perché la corte territoriale avrebbe errato nel non fare decorrere gli interessi legali dalla data di invio della parcella o, comunque, da quella di notifica del decreto ingiuntivo. La doglianza merita accoglimento nei termini che seguono. Infatti, secondo la giurisprudenza, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi contenuta nel d.m. n. 238 del 1992, per la quale gli interessi di mora decorrono dal terzo mese successivo all’invio della parcella, non si applica in caso di controversia avente ad oggetto il compenso tra avvocato e cliente, non potendo quest’ultimo essere ritenuto in mora prima della e liquidazione delle somme dovute con l’ordinanza che conclude il procedimento ex articolo 28 della legge n. 794 del 1942, sicché è da tale data che, entro i limiti degli importi riconosciuti dal giudice, decorrono gli interessi Cass., Sez. 2, n. 2954 del 16 febbraio 2016 . Tale principio porta ad escludere, quindi, la fondatezza della contestazione con riferimento all’invio della parcella. Peraltro, deve rilevarsi che il decreto ingiuntivo, una volta emesso, essendo un provvedimento giurisdizionale, determina l’ammontare del credito azionato, con la conseguenza che, perciò, gli interessi domandati dal ricorrente dovevano decorrere dalla notifica dello stesso e non dalla pubblicazione della sentenza che aveva definito l’opposizione. 3. Deve essere esaminato il ricorso incidentale. Con quattro motivi, la cui stretta connessione ne giustifica l’esame congiunto, il ricorrente incidentale lamenta la violazione degli articoli 1224, 1284 e 2043 c.c., 636 e 642 c.p.c., e 30 della legge n. 794 del 1042, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio. In primo luogo, egli sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel riconoscere a controparte gli interessi legali, non essendo stato il credito ancora accertato con sentenza passata in giudicato. Inoltre, la Corte di Appello di Salerno avrebbe omesso di considerare le ragioni su cui era stata fondata la sua domanda riconvenzionale di risarcimento del danno. C.D. contesta, altresì, la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste, l’omessa valutazione degli acconti già corrisposti ed il fatto che non fosse stato acquisito il parere del Consiglio dell’Ordine. Infine, egli si duole della circostanza che la sentenza di primo grado sarebbe stata non appellabile, con la conseguenza che sarebbe ormai passata in giudicato. La prima doglianza è infondata. Infatti, alcuna disposizione impone di riconoscere gli interessi legali spettanti con riferimento ad un credito pecuniario dal momento in cui detto credito è stato accertato con sentenza passata in giudicato. L’articolo 1224 c.c. si limita a stabilire che, nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro, gli interessi legali sono dovuto dal giorno della mora, con la conseguenza che ad assumere rilievo, ai fini del loro computo, non è il carattere non litigioso della relativa pretesa, ma, più semplicemente, la suddetta mora, l’incontestabilità e definitiva certezza del credito potendo intervenire in un’epoca successiva. Diversa questione attiene alla liquidità del credito del professionista, con riferimento alla quale, peraltro, possono richiamarsi le considerazioni svolte esaminando il secondo motivo del ricorso principale. In ordine alla domanda riconvenzionale di C. D. , volta ad ottenere la condanna del ricorrente a risarcire il pregiudizio causato dall’iscrizione di ipoteca giudiziale e di pignoramento immobiliare sulla base del decreto opposto, la contestazione è infondata, avendo la corte territoriale specificamente argomentato quanto alla sua infondatezza ed alla mancanza di prova del danno patito. In particolare, deve osservarsi che l’articolo 655 c.p.c. stabilisce espressamente che i decreti ingiuntivi dichiarati esecutivi costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, con la conseguenza che la condotta del creditore che tale iscrizione richieda non è di per sé antigiuridica ai sensi dell’articolo 2043 c.c Inoltre, si rileva che, comunque, la pretesa di M.D. si è rivelata in parte fondata e che, quindi, neppure può affermarsi che la sua condotta sia stata temeraria. Inammissibile è, poi, la contestazione concernente la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste e l’omessa considerazione degli acconti già corrisposti, non avendo C.D. riportato nel suo ricorso incidentale né il contenuto delle dette prove né l’ammontare dei menzionati acconti. Per ciò che riguarda la non acquisizione del parere del Consiglio dell’Ordine, si sottolinea che, in tema di onorari dovuti ad esercente la professione forense, la mancanza del parere dell’ordine professionale non necessario quando il compenso sia predeterminato sulla base di una tariffa obbligatoria quale quella riguardante i diritti di procuratore stabiliti ex lege in misura fissa e della parcella contenente l’esposizione delle spese e dei diritti, secondo quanto dispone l’articolo 636 c.p.c. ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, può essere eventualmente rilevante sotto il solo profilo del regolamento delle spese processuali, ma non impedisce al giudice dell’opposizione di valutare la fondatezza della pretesa creditoria sulla base di ogni elemento versato in atti Sez. 2, n. 1505 del 12 febbraio 1998 . Se ne ricava che la presenza o meno del parere in questione, essendo stato il decreto revocato, non ha alcuna importanza se non in ordine alle spese, non oggetto, però, della presente controversia. Infine, è infondata la doglianza relativa al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. In tema di onorari di avvocato, secondo la giurisprudenza tradizionale, l’opposizione avverso il procedimento di liquidazione deve svolgersi secondo il rito di cui agli articoli 29 e 30 della legge n. 794 del 13 giugno 1942 e, perciò, essere decisa in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile. Pertanto, ove sia stato seguito il procedimento ordinario, al provvedimento conclusivo deve riconoscersi, anche se adottato nella forma della sentenza, natura sostanziale di ordinanza, sottratta all’appello ed impugnabile solo con ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost Tale principio, però, non si applica se la controversia non verta unicamente sulla misura del compenso dovuto per prestazioni giudiziali rese in materia civile, ma siano contestati i presupposti del diritto del difensore, o le competenze reclamate riguardino prestazioni stragiudiziali, oltre che giudiziali, o la controversia sia estesa all’inadempimento del professionista alle obbligazioni nascenti a suo carico dal rapporto professionale. In tali ipotesi, il procedimento ordinario attrae nella sua sfera, per ragioni di connessione, anche la materia propria del procedimento speciale, e tutto il giudizio si conclude in primo grado con un provvedimento impugnabile con l’appello Cass., Sez. 2, n. 10426 dell’8 agosto 2000 . Nella specie, la corte territoriale ha ben chiarito che oggetto del contendere era pure l’avvenuta esecuzione di alcune prestazioni, per cui il provvedimento che aveva definito il giudizio di primo grado non era ricorribile per cassazione, ma solo contestabile tramite appello. Il ricorso incidentale va, quindi, rigettato. 4. Ne consegue l’accoglimento del ricorso principale limitatamente al secondo motivo ed il rigetto integrale di quello incidentale. La sentenza impugnata va, quindi, cassata, con riferimento al motivo di ricorso principale accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Salerno perché decida la causa anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 Cass., Sez. 6 - 3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015 . P.Q.M. La Corte, rigetta il primo ed accoglie il secondo motivo di ricorso principale e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Salerno affinché decide la causa nel merito anche in ordine alle spese di lite del giudizio di legittimità - rigetta il ricorso incidentale - ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del solo ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.