L’avvocato reclama il compenso? A lui la prova di aver ricevuto l’incarico professionale

Ai fini di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura ad litem e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura. In tal caso, chi agisce per il conseguimento del compenso ha l’onere di provare il conferimento dell’incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura.

Così, la Suprema Corte – con la sentenza n. 4959, depositata il 28 marzo 2012 - conferma il proprio orientamento in tema di onere probatorio relativo al conferimento dell’incarico professionale in favore del professionista che agisce per il pagamento della propria prestazione professionale. I fatti. La controversia posta all’attenzione della Cassazione ha origine dalla richiesta di restituzione di una somma denaro che un avvocato avrebbe ottenuto in attuazione di un asserito incarico professionale da un fallimento, desunto dall’avere, in precedenza, effettuato un pagamento per conto dell’attore in primo grado nella sua qualità di fideiussore di una società. Innanzi al giudice di prime cure, peraltro, il ridetto professionista spiegava domanda riconvenzionale segnalando, a sua volta, di aver effettuato una serie di attività professionali non liquidate. Accolte le due domande dal Tribunale, entrambe le parti proponevano appello, all’esito del quale si aveva una robusta riduzione delle somme riconosciute al professionista per la propria attività di legale. Avverso tale pronuncia, il professionista in questione ha promosso ricorso per Cassazione. Attività professionale e conferimento dell’incarico serve la prova. E’ principio consolidato, a livello giurisprudenziale, che la sussistenza, in termini generali, di un rapporto professionale, debba essere supportata da una prova sull’effettivo conferimento di tale incarico, che può, peraltro, essere manifestata e provata con qualunque mezzo. Il rapporto di prestazione d’opera professionale la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, infatti, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che stipulando il relativo contratto ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo. In particolare, la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore. L’effettivo conferimento dell’incarico ma chi è il cliente? Il caso in esame, peraltro, presenta una particolarità tale da rendere necessaria una precisazione del S.C., peraltro, come visto, sulla scia di precedenti decisioni. Ed infatti, la questione era sorta anche, e soprattutto, in relazione alla provenienza e alla natura dell’incarico conferito all’avvocato. Infatti, sin dal primo grado di giudizio, la richiesta restitutoria della somma percepita dal fallimento poggiava, nella prospettiva di parte attrice, sulla propria qualità – presunta – di procuratore anche della società dallo stesso garantita tanto più che il legale veniva surrogato dalla banca beneficiaria del pagamento in questione nei confronti del fallimento. Ciò aveva indotto i giudici di primo e secondo grado a ritenere la sussistenza di un incarico di rappresentanza o di mandato in capo, appunto, al garante-fideiussore, nonché attore in primo grado. Ma sul punto, molto nitidamente la Cassazione ha precisato che, non essendo dimostrato tale rapporto, il cliente del legale doveva ritenersi la persona fisica, che agiva in nome proprio e senza, quindi, che si dovesse considerare sussistente un obbligo di mandato, derivante dall’insussistente contratto di mandato. In assenza di procura, l’incarico è conferito in nome proprio. Nel contesto sopra delineato, la Cassazione precisa che in tema di contratto di prestazione d’opera professionale, titolare del rapporto è colui che conferisce l’incarico in nome proprio, ovvero colui che, munito di procura, agisce in nome e per conto del mandante, sicché, ove difetti la rappresentanza, la persona nel cui interesse sia richiesta un’attività professionale non assume alcuna obbligazione nei confronti del professionista officiato tale principio trova applicazione anche con riferimento agli incarichi conferiti ad un professionista dall’avvocato munito di procura ad litem , atteso che essa attribuisce lo ius postulandi e non certo il potere di compiere in nome e per conto della parte attività di tipo diverso da quelle strettamente processuali, ancorché strumentali al positivo esito della controversia. Incarico professionale e diligenza dell’avvocato. Pur non essendo direttamente trattato nella sentenza in commento, uno degli aspetti di maggiore interesse in ordine all’espletamento di un incarico professionale concerne la valutazione della diligenza con la quale l’incarico stesso è espletato. Sul punto, un consolidato orientamento ha precisato che sussiste un obbligo di diligenza a carico dell’avvocato, che si concretizza anche nell’evidenziare i profili di difficoltà di un’eventuale azione giudiziaria e, se del caso, anche di sconsigliarla. Nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c., infatti, impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, a richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso, a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole a tal fine incombe su di lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi , stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o intervenire in giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 gennaio – 28 marzo 2012, n. 4959 Presidente Segreto – Relatore Musso Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 29.3.99, N.T. conveniva innanzi al Tribunale di Vigevano l'avv. M.I. assumendo che aveva consegnato a quest'ultimo nel dicembre 1985, la somma di £ 142.533.666 affinché pagasse un debito da esso istante contratto, quale fideiussore della fallita Italsol s.r.l., con la Cassa di Risparmio di Vigevano che detto avvocato veniva surrogato dalla Cassa nei suoi diritti nei confronti del Fallimento che sempre l'avv. M. non lo aveva successivamente informato del pagamento della somma di L. 114.260.000, effettuato dal Fallimento in data XXXXXXX che, a seguito di notizie presso il Tribunale, aveva accertato l'avvenuto pagamento che, pertanto aveva richiesto la suddetta somma all'avv. M. , senza avere alcun riscontro in proposito. Ciò premesso, l'attore chiedeva che il Tribunale condannasse il convenuto al pagamento della somma di L. 114.260.000, con interessi e rivalutazione. Il convenuto si costituiva. ritualmente in giudizio, contestando le pretese avversarie e proponendo, sua volta, domanda riconvenzionale, assumendo che nulla era dovuto all'attore, ben a conoscenza, sin dal 1991, anche attraverso il suo commercialista, della somma incassata dal Fallimento che invece, il convenuto stesso andava creditore, nei confronti dell'attore, della somma di L. 66.400.000, versata in varie riprese negli anni 1988/1989 come da scontrini prodotti , nonché della somma di L. 78.864.000 per prestazioni professionali, di cui produceva le relative parcelle. L'adito Tribunale, con sentenza n. 142/2005, accoglieva la domanda principale dell'attore e anche la domanda riconvenzionale del convenuto pertanto condannava il convenuto a pagare Euro 59.010,37, oltre rivalutazione ed interesse e condannava l'attore al pagamento di Euro 40.729,86, oltre rivalutazione ed interessi. A seguito degli appelli, in via principale da parte del M. e in via incidentale da parte del N. , la Corte d'Appello di Milano, con la decisione in esame depositata in data 11.2.2010, rigettava il gravame principale e in accoglimento dell'incidentale condannava il N. al pagamento in favore del M. della minor somma di Euro 7.290,45. Ricorre per cassazione il M. con cinque motivi, resiste con controricorso il N. . Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1742 c.c., 9 L. n. 204/85, 1703, 1705 c.c. e 82 e 83 c.p.c., nonché difetto di motivazione. Si afferma in proposito che non vi è alcuna prova che il N. avesse il potere di rappresentare la società Alboshoe né quale rappresentante né quale agente. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e relativo difetto di motivazione, non essendovi titolo per la richiesta condanna risarcitoria in danno del N. in mancanza di prova. Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 1224, secondo comma c.c., trattandosi nel caso di specie di un debito di valuta per cui detto danno ex art. 1224 c.c., va riconosciuto nei termini di cui alla giurisprudenza di legittimità. Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 1813 e 2033 c.c. e difetto di motivazione in relazione ai documenti prodotti dal M. . Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 1703, 1201, 2734 c.c. e difetto di motivazione. Nella memoria del ricorrente si eccepisce la inammissibilità del controricorso per nullità della notifica effettuata al ricorrente da Ufficiale Giudiziario incompetente. Preliminarmente deve rilevarsi che infondata è l'eccezione di inammissibilità del controricorso in proposito, si richiama quanto già statuito da questa Corte tra le altre, n. 11524/1997 , secondo cui l'inosservanza della disposizione di cui all'art. 370 c.p.c. secondo la quale il controricorso deve essere notificato al domicilio eletto dal ricorrente, risulta sanata se la notifica, non effettuata nel luogo predetto, abbia raggiunto ugualmente il suo scopo, che è quello di portare l'atto a conoscenza del destinatario ciò che è accaduto nel caso di specie. Fondato è il primo motivo di ricorso. Deve in proposito ribadirsi che, come statuito da questa Corte con indirizzo giurisprudenziale consolidato tra le altre, Cass. nn. 4489/2010 24010/2004 , ai fini di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura ad litem e rapporto che si istaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l'incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura. In tal caso chi agisce per il conseguimento del compenso ha l'onere di provare il conferimento dell'incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura. Pertanto censurabile è la decisione impugnata sul punto, là dove non tiene conto di detto principio in tema di onere probatorio, limitandosi ad affermare che l'avere M. effettuato un pagamento dovuto da N. con denaro da questi affidatogli a tale fine e l'essersi M. surrogato per conto di lui implica invece un rapporto di mandato, cui inerisce l'obbligo di rendiconto ex. art. 1713 c.c. in difetto di prova contraria, mai articolata sul punto specifico di una supposta deroga all'obbligo di rendiconto e il conseguente obbligo di riversare al mandante le somme che il mandatario, esercitando la surroga in nome proprio ma per conto del mandante, abbia incassato . Inammissibile è poi il secondo motivo, in ordine alla non debenza della somma richiesta per l'intervento nella procedura di opposizione, con esito infruttuoso, in quanto la Corte d'Appello ha accertato, con indagine in fatto non ulteriormente sindacabile nella presente sede di legittimità che il mandato era stato rilasciato per opposizione al decreto ingiuntivo. Infondato è il terzo motivo riguardante la rivalutazione sugli onorari il credito dell'avvocato per onorari professionali è credito di valuta e non di valore avendo per oggetto, fin dall'origine, il pagamento di una somma di denaro. La sopravvenuta svalutazione monetaria non ne consente una rivalutazione d'ufficio, occorrendo una domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti dall'art. 1224, comma secondo, con. civ. ed il soddisfacimento del relativo onere probatorio ed essendo applicabile l'art. 429 cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 533/1973, solo quando l'opera dell'avvocato si configuri come attività continuativa e coordinata tipica dei cosiddetti rapporti di parasubordinazione sul punto, Cass. n. 11777/2005 . Avrebbe quindi il ricorrente potuto chiedere non la rivalutazione della somma ma il maggior danno da svalutazione sia con apposita domanda limitata al maggior danno sia, poi fornendo la prova almeno presuntiva di questo e cioè almeno del tasso del bot non superiore all'anno sul punto, Cass. Sez. Unite, n. 19499/2008 . Inammissibili infine sono il quarto e il quinto motivo di ricorso perché attinenti a questioni di merito. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la decisione impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese della presente fase, alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione.