Il giudice tributario non deve limitarsi ad estendere al giudizio sull'atto impositivo l'esito del giudizio penale

Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall'art. 7, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna.

Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario. Nel processo tributario, l'efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 d.lgs. n. 546/1992 e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l'evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti art. 116 c.p.c. , deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. Tali principi sono stati statuiti dalla Corte di Cassazione con la ordinanza n. 5546/19, depositata il 26 febbraio. La vicenda. Il giudice del gravame ha confermato la decisione di primo grado, attribuendo valore dirimente alla sentenza penale di assoluzione del contribuente, per insussistenza dei fatti integranti il reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Il fisco ,con il ricorso in cassazione, ha lamentato che la sentenza impugnata ha ritenuto vincolante la sentenza penale di assoluzione del contribuente per i medesimi fatti oggetto del giudizio tributario. La pronuncia. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno accolto il ricorso in Cassazione del fisco poiché il giudice del gravame si è limitato ad estendere al giudizio sull'atto impositivo l'esito del giudizio penale, senza esprimere alcun apprezzamento sul contenuto della sentenza penale ed omettendo di verificare la sussistenza di elementi idonei a sostenere la fondatezza della pretesa fiscale. La conclusioni. Il giudice è tenuto a valutare le prove raccolte in sede penale, secondo il suo prudente apprezzamento, in assenza di una pregiudiziale tributaria e di un’automatica efficacia di queste prove sul versante del processo tributario. Il giudicato penale non fa stato nel contenzioso tributario, rimanendo libero il giudice di quest'ultimo di valutare liberamente i fatti accertati nel corso del procedimento penale , quand'anche essi fossero i medesimi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha proceduto. Sussiste l'assoluta indipendenza fra procedimento penale e procedimento fiscale. Il decreto penale di archiviazione, intervenuto per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l'accertamento degli uffici finanziari, è un elemento di prova per il giudice tributario, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie Cass. Civ. n. 17624/18 Cass. Civ. n. 17619/18 . L'imputato assolto in sede penale , anche con piena formula per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste , può essere responsabile fiscalmente, qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria da parte dello stesso contribuente, a giustificare in tutto o in parte il debito tributario. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16262 depositata il 28 giugno 2017 intervenendo in tema rapporto tra processo penale e tributario ha affermato la legittimità della sentenza tributaria di condanna che abbia preso atto dell’assoluzione penale, dandone conto in motivazione, e abbia optato per un esito diverso, sfavorevole al contribuente. In sostanza la sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari non è vincolante per il giudice tributario, anche se i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Nel processo tributario vi sono limiti in materia di prova e trovano ingresso invece anche presunzioni semplici non idonee a supportare una condanna penale . Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale con formula piena può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi L’imputato assolto in sede penale , anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale , ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario Sez. 5, sentenza n. 8129/12 . L'imputato assolto in sede penale , anche con formula piena, per non aver commesso il fatto, o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale , ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario. Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve procedere ad un suo apprezzamento. Risulta dunque confermato il principio dell'autonomia delle due sfere di azione cosiddetto doppio binario Cas. n. 8476/18, sez. V . La regola secondo cui il processo tributario inizia, prosegue e si conclude anche in pendenza del procedimento penale comporta, di conseguenza, che il processo tributario è autonomo da quello penale e tale autonomia toglie senso, sia al fatto che un tipo di processo debba attendere l’esito dell’altro, sia che l’esito finale di un processo vincoli ad analogo esito quello ancora non conclusosi. Nel processo tributario, l'efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova come il divieto di quella testimoniale del d.lgs. n. 546/1992, ex art. 7 e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l'evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti art. 116 c.p.c. , deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio Cass. n. 19786/11 si veda, altresì, Cass. n. 2938/15, per la quale la sentenza penale irrevocabile rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 8 novembre 2018 – 26 febbraio 2019, n. 5546 Presidente Greco – Relatore Esposito Rilevato che Con sentenza in data 18 maggio 2017 la Commissione tributaria regionale della Basilicata respingeva l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Matera che aveva accolto il ricorso proposto da C.M. contro l'avviso di accertamento per II.DD. ed IVA con il quale, in relazione all'anno d'imposta 2006, veniva recuperata a tassazione la somma di € 168.638,50, quale costo afferente fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. La CTR perveniva alla conferma della decisione di primo grado attribuendo valore dirimente alla sentenza penale di assoluzione del contribuente per insussistenza dei fatti integranti il reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Avverso la decisione, con atto del 18 dicembre 2017, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo. L'intimato non ha svolto difese. Sulla proposta del relatore ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale. Considerato che Con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 654 cod. proc. pen., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., lamenta che la CTR abbia ritenuto vincolante la sentenza penale di assoluzione del contribuente per i medesimi fatti oggetto del giudizio tributario. Il ricorso è fondato. Secondo il consolidato l'orientamento di questa Corte In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall'art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario tra le tante, Cass. n. 28174 del 2017 Nel processo tributario, l'efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l'evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti art. 116 cod. proc. civ. , deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio Cass. n. 19786 del 2011 . Nella specie, la CTR si è limitata ad estendere al giudizio sull'atto impositivo l'esito del giudizio penale, senza esprimere alcun apprezzamento sul contenuto della sentenza penale ed omettendo di verificare la sussistenza di elementi idonei a sostenere la fondatezza della pretesa fiscale. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.