Non basta il coinvolgimento – anche consapevole – dell’acquirente

Ai fini dell’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti, non è sufficiente il coinvolgimento – anche consapevole – dell’acquirente.

Il caso. La controversia scaturisce dall’impugnazione di avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria contestava ad una S.p.A. l’attuazione di frodi carosello mediante fatture soggettivamente inesistenti. L’attività oggetto di rettifica consisteva nell’acquisto di autoveicoli di provenienza estera da società intermediarie e nella successiva rivendita, profittando della disciplina delle cessioni intracomunitarie. La Commissione Tributaria Regionale, in riforma della pronuncia di prime cure, respingeva le doglianze della società contribuente. Nella sentenza n. 10167 del 2012, la Corte di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso della S.p.A., cassando con rinvio la pronuncia impugnata. Frodi carosello e indetraibilità dell’Iva. La Suprema Corte sviluppa considerazioni separate per Iva e imposte sui redditi. Per quanto concerne l’Iva, il Collegio ricorda che la fattispecie concreta è riconducibile allo schema delle cosiddette frodi carosello , fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro. Il meccanismo e gli scopi dell’operazione vale a dire acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che [] l’Iva assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile [], anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 867, in bancadati DeJure . Nella fattispecie concreta esaminata, durante il giudizio di merito la società contribuente non ha dato la prova della propria buona fede. Al contrario, vi sono indizi della consapevolezza del carattere delle operazioni da parte di detta società tanto convincenti da indurre il giudice d’appello a considerare accertata l’esistenza di un comportamento fraudolento più grave di quello origina rimanete ipotizzato dall’ufficio procedente. Nella sentenza si menziona l’assenza di una qualsiasi convincente spiegazione dell’intera operazione, in particolare in ordine alla necessità dell’interposizione di altre società – peraltro prive di mezzi e strutture necessarie per la realizzazione dell’operazione stessa – e dalla qualità di operatore qualificato della società contribuente che, attraverso l’intervento di funzionari esperti nel settore, ben difficilmente poteva non conoscere a quali obiettivi potesse mirare la presenza di un terzo intermediario dell’operazione si tratta di gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di cartiera , la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario ossia elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10414, in CED Cass. , Rv. 618009 . Frodi carosello e indeducibilità dei costi. Nel ricorso per cassazione, la società contribuente lamentava la violazione dell’art. 14, comma 4 bis , l. 24 dicembre 1993, n. 537. Le stratificazioni nella disciplina dei costi da reato. Nel 1993, il Legislatore tributario ha posto fine alla discussione sull’imponibilità dei proventi – prezzo, prodotto e profitto – da reato, sancendo la riconducibilità alle categorie di reddito ex art. 6, comma 1, Tuir dei proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale art. 14, comma 4, l. n. 537/1993 . Oltre alla disposizione sui proventi illeciti, l’art. 2, comma 8, l. 27 dicembre 2002, n. 289 ne ha inserita una seconda concernente i costi illeciti, con la quale è stata stabilita l’indeducibilità di costi e spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato art. 14, comma 4 bis , l. n. 537/1993 . L’art. 8, comma 1, d.l. 2 marzo 2012, n. 16 ha sostituito la disciplina dei costi illeciti, stabilendo che, nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, Tuir non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi . L’art. 8, comma 3, d.l. n. 16/2012 ha regolato l’ambito temporale di applicazione della novella, riconducendo ad essa anche fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore del decreto, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4 bis previgente non si siano resi definitivi e mantenendone ferma l’applicabilità anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’Irap. La posizione della Suprema Corte. La Cassazione formula il seguente principio di diritto In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4 bis, l. n. 537/1993 nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, d.l. n. 16/2012, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. frode carosello , anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Tuir siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità . Richiamati alcuni passaggi della relazione al disegno di legge di conversione, il Collegio osserva che ai soggetti terzi – alla cui categoria appartiene la società contribuente nel caso di spese – coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti . Non è quindi più sufficiente il coinvolgimento – anche consapevole – dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi alle predette operazioni. Resta da verificare in concreto la deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 13 marzo - 20 giugno 2012, n. 10167 Presidente Adamo – Relatore Botta Svolgimento del processo La controversia concerne l'impugnazione di una serie di avvisi di accertamento ai fini IVA. IRPEG ed IRAP relativamente ad una attività di acquisto di autoveicoli di provenienza estera cessioni intracomunitarie da società intermediarie e successiva rivendita realizzando un meccanismo contabile di fatturazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una frode carosello Ulteriore contestazione mossa dall'amministrazione, ma successivamente abbandonata, era quella relativa a certi bonus straordinari versati ad agenti o ad altri intermediari. La Commissione adita accoglieva il ricorso della società contribuente, ma la decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe che dava atto anche della rinuncia dell'Ufficio alla pretesa relativa ai cd. bonus qualitativi , avverso la quale la società contribuente propone ricorso per cassazione con quattordici motivi. L'amministrazione non ha notificato controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione ai fini della partecipazione all'udienza di discussione. Motivazione I motivi di ricorso, salvo l'ultimo che deve essere considerato separatamente, rappresentano una artificiale parcellizzazione di una sostanzialmente unica censura che investe, sotto il profilo del vizio di violazione di legge e del vizio di motivazione, la sentenza impugnata sul punto relativo alla natura di cartiere delle società interposte e al carattere evasivo della società contribuente sulla base delle prove presuntive addotte dall'amministrazione e ritenute, dalla parte ricorrente, non assistite dai requisiti di gravità, sufficienza e concordanza, nonché sulle conseguenze che da tanto sono state dedotte quanto alla affermata indetraibilità dell'IVA con violazione dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e alla ritenuta indeducibilità dei costi con violazione dell'art. 14, comma 4-bis, L. 537 del 1993 . Per valutare la fondatezza o infondatezza del complesso delle censure articolate nel ricorso molte delle quali si palesano inammissibili quali istanze per una mera revisione del giudizio di merito e per difetto di autosufficienza , va rilevato che la sentenza impugnata, con analitico approfondimento di tutti gli clementi della fattispecie sottoposta al suo esame, ha accertato in fatto, con congrua motivazione, l'esistenza di una ipotesi di frode carosello in un quadro probatorio tanto grave da far concludere il giudice per un comportamento della società contribuente che, al di là di fatture e di operazioni soggettivamente inesistenti , si sostanzia in un comportamento globalmente fraudolento nel suo insieme, che si traduce in un pregiudizio per l'erario per effetto del versamento di una minore imposta, nonché in un vulnus alla correttezza e alla regolarità commerciale e del mercato, realizzato per effetto dell'abuso di circostanze a sé favorevoli . Contrariamente a quanto la società ricorrente dimostra di credere - il giudice d'appello ha verificato la sussistenza di un comportamento fraudolento più grave di quello originariamente ipotizzato dall'amministrazione finanziaria, spiegandone efficacemente e compiutamente le ragioni sicché non vi è stata omissione di pronuncia, bensì rigetto implicito della contraria ipotesi avanzata, né vi è stata violazione di legge o inadeguatezza della motivazione. Punto centrale resta la prova che il contribuente, a fronte di operazioni inesistenti, è tenuto a dare anche secondo l'orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia della propria buona fede e che nel caso il giudice ha ritenuto non sia stata data . Quel che la ricorrente insiste nel ritenere una parte debole della sentenza impugnata - e cioè, l'affermazione che Questa Commissione non parlerebbe tanto di fatture e di operazioni soggettivamente inesistenti, bensì di un comportamento globalmente fraudolento nel suo insieme, che si traduce in un pregiudizio per l'erario - è, invece, un elemento forte della decisione, in quanto, come già rilevato, esprime il convincimento, raggiunto dal giudice d'appello, sulla sussistenza di un quadro indiziario di tale capacità probante, da eccedere la dimostrazione persuasiva dell'esecuzione di singole operazioni inesistenti , per far emergere un più complessivo sistema fraudolento, nel quale sarebbe impossibile negare la consapevolezza della società contribuente nella partecipazione alla frode . E analiticamente il giudice spiega come siffatte conclusioni fossero giustificate dall'assenza di una qualsiasi convincente spiegazione dell'intera operazione, in particolare in ordine alla necessità dell'interposizione di altre società - peraltro prive di mezzi e strutture sufficienti per organizzare operazioni di acquisto e rivendita di autoveicoli della dimensione quantitativa di quelle realizzate grazie alla B. S.p.A. -, e dalla qualità di operatore qualificato di quest'ultima che, attraverso l'intervento di funzionari esperti nel settore, ben difficilmente poteva non conoscere a quali obiettivi potesse mirare la presenza di un terzo intermediario dell'operazione . Tanto più che si trattava di un terzo privo di quelle caratteristiche proprie necessarie per realizzare l'operazione stessa e fonte, comunque, di ulteriori ed evitabilissimi costi . Sicché la sentenza impugnata si dimostra adeguatamente motivata e riesce ad illuminare efficacemente le ragioni per le quali il giudice ha ritenuto nella specie la gravità, precisione e concordanza del quadro indiziario. Né la ricordata affermazione del giudice di merito si presta ad essere interpretata come una violazione del precetto di dovuta corrispondenza tra chiesto e pronunciato, né come una terza via a sorpresa eletta dal giudice per risolvere le questioni sottopostegli si tratta, in verità, di una semplice enunciazione dell'efficacia probante del quadro indiziario teso a dimostrare, come necessario e come possibile mediante l'utilizzo di presunzioni semplici dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di cartiera , la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario , ossia elementi obiettivi tali da porre sull'avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull'inesistenza sostanziale del contraente v. Cass. n. 10414 del 2011 . Questo e non più di questo è il senso dell'affermazione, a torto criticata, che il giudice d'appello pone a fondamento della sua decisione. Tanto premesso deve essere valutato separatamente, quanto alle conseguenze dell'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, il profilo relativo alla indetraibilità dell'IVA da quello relativo al profilo della indeducibilità dei costi. Quanto al primo profilo, non può esservi dubbio, sulla scorta del costante orientamento di questa Corte, che quanto affermato dalla sentenza impugnata in tema di sussistenza nella fattispecie di operazioni soggettivamente inesistenti, non può costituire una violazione della sesta direttiva CEE relativamente alla indetraibilità dell'imposta. In tema di IVA ha stabilito questa Corte , nelle cd. frodi carosello - fondate sul mancato versamento dell'imposta incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l'interposizione di una o più società filtro {buffers - il meccanismo dell'operazione e gli scopi che la stessa si propone acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato , fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall'art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta da! medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell'intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari Cass. n. 867 del 2010 . Nel caso di specie, come si è già rilevato, il giudice di merito, con congrua motivazione, ha accertato che nel giudizio non è stata conseguita la prova della buona fede della società contribuente, anzi che vi sono convincenti indizi della consapevolezza del carattere delle operazioni da parte di detta società. Quanto al secondo profilo, quello relativo alla indeducibilità dei costi rispetto al quale viene dedotta la violazione dell'art. 14. comma 4-bis, L. 537 del 1993, occorre tener conto della modifica apportata alla predetta disposizione con l'art. 8, comma 1, D.L. 2 marzo 2012, n. 16. Detta norma prevede che il comma 4-bis dell'art. 14 della legge n. 537 del 1993 sia sostituito dal seguente Nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi . A norma del comma 3 dell'art. 8, D.L. n. 16 del 2012 Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell'articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base a! comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi resta ferma l'applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive . La relazione al disegno di legge di conversione del decreto all'esame del Parlamento spiega Io scopo della norma con la volontà del legislatore di inibire in modo inequivoco la deducibilità dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi, evitando che tale indeducibilità possa essere letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell'ambito della determinazione del reddito imponibile . Venendo a quel che più interessa la fattispecie che si discute nella presente controversia, la ricordata relazione al disegno di legge di conversione, afferma Per effetto di questa disposizione, l'indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 pertanto, ove del caso, l'indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l'operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi . Ciò significa che ai soggetti terzi - alla cui categoria appartiene la società contribuente nel caso di spese - coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti. Sicché non è più sufficiente il coinvolgimelo anche consapevole dell'acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall'effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni. Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ma di un siffatto accertamento non vi è traccia nel giudizio. Pertanto sotto questo profilo il ricorso è da accogliere con la conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito perché esamini nuovamente la questione concernente la deducibilità dei costi alla luce del seguente principio di diritto In tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, comma 4-bis, L. n. 537 del 1993 nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, D.L. n. 16 del 2012, sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cd. frode carosello , anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità . Con il quattordicesimo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di disapplicazione o, subordinatamente, di riduzione delle sanzioni. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Nella sentenza impugnata manca qualsiasi riferimento ad una sollevata eccezione di disapplicazione delle sanzioni e alle relative ragioni legittimanti nel ricorso non sono chiariti questi punti, se non attraverso un richiamo ad una richiesta, genericamente formulata, di disapplicazione delle sanzioni, senza esporre quali fossero state le motivazioni addotte dalla società contribuente a sostegno della richiesta stessa. E tanto non basta, in particolare alla luce della perplessa esposizione del motivo di ricorso che si muove tra una disapplicazione che sarebbe dovuta sulla base di una non meglio chiarita incertezza delle condizioni di applicabilità della normativa quale? ed una supposta riduzione che sarebbe consequenziale alla parziale estinzione della controversia in ordine ai bonus. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto nei limiti di cui alla surriportate motivazioni e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna, che provvedere anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna.