Interruzione dei termini di prescrizione: buona la prima

La notifica valida del primo atto di citazione è idonea ad interrompere la prescrizione anche nei confronti del litisconsorte necessario.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36145/2011 depositata il 5 ottobre, ha dichiarato diffamante una lettera inviata a due magistrati in cui si accusa il proprio difensore di infedele patrocinio. L'esposizione dei fatti deve essere avalutativa. In più, il reato di diffamazione è integrato perché della missiva sono venuti a conoscenza anche i soggetti che, per dovere di ufficio, i predetti magistrati sono tenuti ad informare. Il caso. Su querela di un avvocato, viene instaurato un procedimento penale a carico di un uomo, la cui difesa viene affidata ad un avvocato d'ufficio. Ed è qui che nascono i problemi. L'imputato, infatti, incolpa il suo difensore di infedele patrocinio, asserendo che vi fosse una sorta di scorretta intelligenza tra il legale che lo aveva querelato e il proprio difensore. Il fatto è che queste accuse vengono riportate in una missiva, indirizzata al giudice di pace di Novara e al procuratore della Repubblica dello stesso tribunale. Scatta la condanna 800 euro di multa, risarcimento danni e rifusione delle spese in favore della parte civile. L'imputato, contro questa decisione, presenta ricorso per cassazione. Secondo il ricorrente, non può essere considerato diffamazione segnalare reati a due o più magistrati, se non sussiste quello di calunnia. Inoltre, rileva alcune irregolarità formali della sentenza impugnata, in quanto la copia della motivazione ricevuta dal proprio avvocato era priva del frontespizio e del numero della sentenza. E il diritto di critica? Il Collegio, osserva che per ritenersi integrata la generale causa di giustificazione del diritto di critica art. 51 c.p. , l'interessato avrebbe dovuto esprimere l'interrogativo sulla correttezza professionale del proprio difensore con un'avalutativa esposizione delle vicende processuali agli organi preposti al controllo della capacità e della lealtà professionali del difensore d'ufficio . È altresì da sottolineare il fatto che della missiva sono venuti a conoscenza i soggetti che, per doveri di ufficio, sono stati informati dai magistrati. La missiva è lesiva del credito professionale dell'avvocato. Infatti, l'avvocato o meglio l'avvocatessa è stata accusata ingiustamente di rendersi infedele ai suo doveri professionali, cercando di arrecare nocumento agli interessi del suo assistito . Infine, neanche le asserite irregolarità formali degli atti indicati dal ricorrente hanno convinto gli Ermellini a rigettare il ricorso. Tali irregolarità, ai fini del riconoscimento di un qualsiasi ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa, non sono ritenute rilevanti. Sullo stesso argomento leggi anche - Avvocati, non è scriminata la falsa accusa di infedele patrocinio in uno scritto difensivo, di Davide Galasso DirittoeGiustizi@ 23 luglio 2011 - Contro il proprio avvocato si possono inviare lettere al Consiglio dell'ordine, DirittoeGiustizi@ 19 luglio 2011 - Avvocati, la lettera di reclamo inviata al Presidente dell'ordine può integrare la diffamazione, DirittoeGiustizi@ 16 giugno 2011

Appunti presi a volo, in automobile, per la prossima causa, utilizzando un registratore vocale digitale. Anche da questo può riconoscersi l'avvocato del terzo millennio Oltre che dalla relativa multa. Perché il verbale della polizia municipale - come chiarisce la Corte di Cassazione, con sentenza numero 20810, seconda sezione civile, depositata ieri - è una possibilità più che concreta. E, a questo punto, legittima Lavoro in corso. Sempre di corsa, sempre a lavoro. E, allora, anche il tragitto fatto in automobile può rivelarsi utile ecco perché l'avvocato protagonista di questa vicenda ha deciso di optare per l'impiego di un registratore vocale digitale. Così, difatti, è più semplice prendere appunti e annotare questioni di rilievo Far tutto ciò, mentre si è alla guida, comporta un enorme risparmio di tempo. Ma ci si può rimettere economicamente se si viene fermati dalla Polizia Municipale. Cellulare in mano, anzi no la contestazione è legata al divieto, fissato dal Codice della Strada, di utilizzare, durante la marcia , apparecchi radiotelefonici. Ma come inquadrare il registratore? Per il Giudice di Pace e per il Tribunale, però, nessuna differenza la disposizione sanzionatoria doveva applicarsi allo stesso modo . E la possibilità, ammessa dalla legge, di utilizzare apparecchi a viva voce o dotati di auricolare , come il registratore? L'uso delle mani. Proprio su quest'ultimo punto di domanda si centra il ricorso presentato in Cassazione. L'avvocato sanzionato dalla Polizia Municipale, difatti, ricorda che il Codice della Strada non punisce l'uso di un registratore digitale, mentre si è impegnati alla guida . E, allo stesso tempo, aggiunge di aver subito chiarito, già in primo grado, che impugnava un registratore digitale e non un telefono cellulare . Ma, di rimando, i giudici della Cassazione ripescano dalla sentenza del Giudice di Pace elementi chiarificatori era stato ritenuto che il conducente utilizzasse un apparecchio radiotelefonico o registratore digitale e che essendo vietato l'uso delle mani, la contestazione era legittima . Quindi la doppia ipotetica ricostruzione sgombera, secondo il Palazzaccio, il campo da ogni dubbio la sanzione era giustificata perché, secondo quanto attestato nel verbale, il conducente utilizzava un cellulare, e, comunque, in alternativa, era stato proprio il conducente ad ammettere l'uso di un altro apparecchio, mentre era alla guida, anch'esso da punire allo stesso modo Il nodo della ricostruzione. Per la Cassazione, comunque, la ricostruzione proposta è ambigua , ma manca la contestazione, da parte dell'automobilista ricorrente, alla fede privilegiata del verbale o, in alternativa, la querela di falso . Difatti, chiariscono i giudici di piazza Cavour, essendo stata omessa impugnazione sul punto, il Tribunale non aveva il potere di ritenere apoditticamente, come ha fatto, assodato che quello non era un cellulare, ma doveva rilevare, al contrario, che il Giudice di Pace aveva motivato la sua decisione su questa ratio e che essa non era stata convenientemente impugnata, con la conseguente formazione del giudicato su una questione decisiva . Ora, però, spetta alla Cassazione rilevare d'ufficio il giudicato . Ciò comporta il rigetto del ricorso. E la conferma della condanna per l'automobilista-avvocato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1° giugno - 5 ottobre 2011, n. 36145 Presidente Amato - Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 30.6.2010, il tribunale di Novara ha confermato la sentenza 20.12.2010 del giudice di pace della stessa sede , con la quale B. M. è stato condannato alla pena di € 800 di multa, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese, in favore della parte civile, in quanto ritenuto colpevole del delitto di diffamazione, perché, con missiva datata 25.2.05, inviata al giudice di pace di Novara, avv. E. A., e al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Novara, dr. C. C., offendeva la reputazione dell'avv. F. A., suo difensore di ufficio nel procedimento penale, instaurato su querela dell'avv. M. C. nei suoi confronti, incolpandola di infedele patrocinio, asserendo che vi fosse una sorta di scorretta intelligenza tra l'avv. C. e il proprio difensore di ufficio. Il B. ha presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge non può essere considerato diffamazione segnalare reati a due o più magistrati, se non sussiste quello di calunnia. Inoltre il ricorrente rileva che la comunicazione a più persone del contenuto della missiva è avvenuta per mancato rispetto della normativa sulla procedura e per intempestiva iniziativa dei destinatari. 2. vizio di motivazione l'affermazione che vi è prova documentale della missiva da lui inviata è smentita dal contenuto della missiva stessa e dagli atti del presente procedimento. Inoltre l'affermazione di responsabilità si basa sulle dichiarazioni della parte civile, su elementari tautologie, su inconferenti considerazioni e su altre inesattezze, elencate nella memoria difensiva, depositata il 28.6.2010, allegata agli atti di appello. Il ricorrente rileva inoltre alcune irregolarità formali della sentenza impugnata, in quanto la copia della motivazione ricevuta dal proprio avvocato era priva del frontespizio e questo atto, unitamente alla copia del dispositivo e del p.v. dell'udienza 30.6.2010 erano privi del numero della sentenza. Il ricorso non merita accoglimento, in quanto le censure sono del tutto infondate. L'interrogativo sulla correttezza professionale del proprio difensore ben poteva essere espresso dal B. con un'avalutativa esposizione delle vicende processuali agli organi preposti al controllo della capacità e della lealtà professionali del difensore d'ufficio. In questa ipotesi ricorre la generale causa di giustificazione ex articolo 51 c.p., quale esercizio di un diritto di critica costituzionalmente tutelato dall'articolo 21 della Carta Costituzionale. Nel caso in esame, l'imputato ha raggiunto conclusioni direttamente diffamatorie nei confronti dell'avv. A., alla luce di proprie valutazioni faziose e tecnicamente scorrette, anticipando qualsiasi controllo e qualsiasi accertamento, correttamente esercitabili nelle sedi istituzionali. Queste offese sono state comunicate a più persone ai due magistrati, diretti destinatari della missiva, e ai soggetti che, per dovere di ufficio, i predetti magistrati erano tenuti a informare. Il contenuto della missiva acquisita agli atti, è ,con immediata evidenza, lesivo del credito professionale dell'avv. A., accusata - senza alcuna giustificazione - di rendersi infedele ai suo doveri professionali , cercando di arrecare nocumento agli interessi del suo assistito . Nessuna censura è quindi formulabile sulla ricostruzione dei fatti e sulla loro valutazione giuridica, contenute nella sentenza impugnata. Quanto alle asserite irregolarità formali degli atti indicati dal ricorrente, esse non hanno alcun rilievo, ai fini del riconoscimento di un qualsiasi ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa. Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.