Accertamento nullo senza rispetto dei termini

E' nullo l'accertamento notificato prima della scadenza del termine dei 60 giorni dalla chiusura delle operazioni degli organi di controllo. L'importante principio è contenuto nella sent. n. 18906 del 16 settembre 2011 della Corte di Cassazione l'ufficio finanziario non può emanare l'avviso di accertamento prima della scadenza del termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza, e la nullità dell'atto è riscontrabile anche allorché non sia stata eseguita una mera attività di verifica ma solo un reperimento di documenti fiscali. Vanno salvaguardate le garanzie del contribuente. L'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000 prevede che a seguito del rilascio della copia del verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici finanziari. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Tale termine, pertanto, è finalizzato a garantire al contribuente la possibilità di interagire con l'amministrazione prima che questa emetta l'avviso di accertamento e il mancato rispetto del termine determina l'illegittimità dell'accertamento. La giurisprudenza tributaria in vari pronunciamenti ha ritenuto l'illegittimità dell'accertamento notificato al contribuente prima della scadenza dei 60 giorni, a nulla rilevando che l'accertamento abbia avuto luogo presso il contribuente o presso terzi. La fattispecie. A seguito di verifica fiscale e del reperimento di alcuni documenti fiscali, l'ufficio finanziario ha rettificato il reddito di una società emettendo il relativo accertamento. Avverso quest'ultimo la società ha proposto ricorso eccependo la nullità dello stesso in quanto emesso prima della scadenza del termine di 60 giorni di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000. Sia in primo che in secondo grado i giudici hanno respinto i ricorsi presentati dall'ufficio finanziario, che, in ultima analisi, ha proposto ricorso per cassazione, eccependo che il termine di cui trattasi è un termine ordinatorio e non perentorio con la conseguenza che la sua inosservanza non può determinare la nullità dell'avviso. La natura perentoria di un termine può essere desunta, nel silenzio della legge, dalla ratio della norma. Tale pronunciamento di legittimità è coerente con la sentenza n. 244/2009 della Corte Costituzionale, con cui è stata dichiarata l'infondatezza della questione di costituzionalità del citato art. 12 per violazione degli artt. 24 e 11 Cost., ritenendo che nel caso di specie la previsione della nullità sarebbe una sanzione sproporzionata rispetto alla tutela dell'interesse del contribuente all'esercizio efficace della propria difesa e all'interesse al buon andamento che insieme ispirano il principio di collaborazione e di partecipazione . Questa interpretazione, basata sul rispetto di un termine fissato per legge, può essere certamente opinabile ma altrettanto certamente, hanno ritenuto i giudici di legittimità, non è arbitraria né pretestuosa e dovrebbe indurre l'amministrazione ad adeguarsi al regime più rigoroso e al rispetto dei tempi. Accertamento nullo se notificato prima della scadenza dei 60 giorni. Pertanto, secondo la S.C., l'Amministrazione finanziaria non può notificare, a pena di nullità, un avviso di accertamento prima dello scadere dei 60 giorni dalla chiusura delle operazioni, nel rispetto delle disposizioni contenute nell'art. 12, l. n. 212/2000 che infatti, oltre a prevedere testualmente che dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, il contribuente possa comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste, sancisce che l'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza . Tale previsione vale anche nei casi in cui l'attività espletata dall'Amministrazione sia rappresentata dalla raccolta di documenti fiscali e non sia derivata da una mera verifica. Quest'ultima annotazione costituisce un importante chiarimento in quanto il divieto di emanare atti prima della scadenza del termine di 60 giorni non attiene solo, quindi, al verbale di constatazione ma riguarda anche altri atti emanati dall'amministrazione, non rilevando la denominazione tecnica di verbale, come provvedimento finale dell'attività di verifica.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 7 aprile - 16 settembre 2011, n. 18906 Presidente/Relatore Pivetti Svolgimento del processo A seguito di un accesso presso la società C. & C. Tessiture S.r.l. in liquidazione, finalizzato all'acquisizione di documentazione fiscale relativa ai costi portati in diminuzione del reddito d'impresa e concluso con la redazione del processo verbale di conclusione di accesso, l'Agenzia delle Entrate, ufficio di Firenze III, individuava nella documentazione acquisita in copia incongruenze fiscali relative alla corretta imputazione di costi. Provvedeva pertanto a rideterminare il reddito d'impresa e ad emettere e notificare il relativo avviso d'accertamento nel quale si richiedeva il pagamento di maggior imposta Irpeg per € 18.737,06, Irap per € 3.072,40 ed Iva per € 7.230,40, oltre ad interessi e sanzioni. Avverso tale atto la società C. & C. proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze lamentando in primo luogo la nullità dell'avviso in quanto emesso prima del decorso del termine di 60 giorni decorrenti dalla chiusura delle operazioni di controllo attraverso il rilascio della copia del relativo processo verbale, termine statuito dall'art. 12, comma 7, della legge 212/2000 nel merito, l'errata esclusione da parte dell'Ufficio dei costi sostenuti a titolo di spese di rappresentanza. L'Ufficio contro deduceva sostenendo l'inapplicabilità dell'art. 12 Statuto del Contribuente, poiché l'attività espletata durante l'accesso non era da considerarsi attività di verifica, bensì di mera raccolta di informazioni al pari degli altri strumenti similari come i questionari, l'invito a produrre documenti, l'invito a presentarsi e simili, mentre la disposizione di legge citata fa esclusivo riferimento al processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica. Inoltre, circa la natura di tale termine. l'Ufficio rilevava che, anche in caso dì mancato rispetto l'avviso avrebbe conservato lo stesso la sua validità, stante l'assenza nel dettato di legge di un'espressa previsione della sanzione di nullità dell'atto impositivo. La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze accoglieva l'eccezione preliminare in merito al mancato rispetto dell'art. 12 rappresentano i principi generali dell'ordinamento tributario. La Commissione tributaria regionale respingeva l'appello dell'ufficio e contro tale pronunzia ha proposto ricorso l'Agenzia delle entrate. Motivi della decisione La sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dell'accertamento perché emesso prima del termine dilatorio di 60 giorni dalla comunicazione del processo verbale di constatazione, termine previsto, ma senza espressa sanzione di nullità in caso di violazione, dall'articolo 12, comma 7, della legge 212 del 2000 statuto del contribuente . L'Agenzia delle entrate deduce violazione di tale norma, in quanto la nullità non è né espressamente né implicitamente stabilita e perché comunque non si trattava di un vero e proprio verbale di accertamento ex articolo 12 ma di un processo verbale di accesso. Per quanto riguarda la questione preliminare, circa gli effetti perentori o meno del mancato rispetto del termine dilatorio dì 60 giorni previsto dall'articolo 12, comma 7, della legge 212 del 2000 la notazione che tale norma come le altre di tale legge rappresenta un principio generale dell'ordinamento tributario, non appare fondata dato che la norma è chiaramente una norma di dettaglio, priva delle caratteristiche estrinseche proprie delle norme che esprimono principi generali ed è comunque irrilevante, posto che il problema è quello dell'interpretazione della norma stessa ed è un problema che prescinde dalla natura di essa. La tesi sostenuta dall'amministrazione finanziaria appare coerente con la disciplina stabilita dall'articolo 156 cod.proc.civ. , applicabile anche al procedimento amministrativo essendo l'unica disciplina generale che regoli i termini ed i loro effetti. Ed è altresì coerente con un principio generale del diritto amministrativo, quale espresso tra le altre pronunzie da Consiglio di Stato Sez. VI, n. 6405 del 20/10/2003 Costituisce principio generale quello secondo il quale i termini del procedimento amministrativo devono essere considerati ordinatori qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge o che la loro perentorietà non debba necessariamente discendere dalla logica del sistema . Nel silenzio della norma di legge il carattere perentorio di un termine può quindi essere desunto dalla ratio della norma e così ha fatto la Corte di cassazione con la Cass. n. 22320 del 03/11/2010 . Le più recenti di tali pronunzie appaiono coerenti con la sollecitazione proveniente dalla pronunzia della 56, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto , i quali stabiliscono che l'avviso di accertamento deve essere motivato, a pena di nullità, in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Ciò premesso la Corte ha rilevato che il giudice a quo si era limitato, invece, ad asserire che la disposizione censurata non è assistita da alcuna sanzione di invalidità, facendo derivare da tale mera asserzione la prospettata illegittimità costituzionale. Ma la pronunzia del giudice delle leggi aggiunge un rilievo finale che avrebbe invero dovuto portare ad una dichiarazione di manifesta infondatezza e non di manifesta inammissibilità della questione prospettata. L'ordinanza, infatti, si conclude affermando che, anche a prescindere dalle considerazioni appena svolte in punto di manifesta inammissibilità della questione, va, in ogni caso, rilevata l'inconferenza degli art. 24 Cost., ordinanze n. 940 e n. 21 del 1988, n. 324 del 1987 . Dal momento che la corte costituzionale ha dichiarato comunque l'infondatezza della denunzia di incostituzionalità per violazione degli 111 cost., ritenuti inconferenti, la sua interpretazione della normativa diretta a segnalare la possibilità di una lettura diversa è ovviamente importante ma è ultra vires e quindi non vincolante in alcun modo. In questa ricerca ermeneutica andrebbe anche considerato che per assicurare la effettiva vincolatività della norma che prescrive un termine può essere possibile anche il ricorso a strumenti diversi dalla nullità dell'atto compiuto dopo la scadenza del termine stesso ed anzi una interpretazione funzionale e razionale delle norme dovrebbe indirizzare a limitare drasticamente le ipotesi di nullità formali che incidono sui diritti sostanziali delle parti compreso, tra di esse, il Fisco . Nella specie, inoltre, la previsione della nullità per il mancato rispetto del termine in questione costituirebbe una sanzione sproporzionata rispetto alla tutela dell'interesse del contribuente all'esercizio efficace della propria difesa e all'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione che, insieme, ispirano il principio di collaborazione e di partecipazione , perché tale interesse deve essere bilanciato con quello alla riscossione dei tributi, che trova fondamento nell'art. 53 Cost. e che assume un rilievo particolarmente importante in un ordinamento quale il nostro, caratterizzato da fenomeni di evasione straordinariamente maggiori di quelli che affliggono altri paesi. Il procedimento tributario è già caratterizzato da un formalismo eccessivo che appare spesso poter anche rappresentare uno strumento di mascheramento per pratiche elusive o collusive. Nel suo ricorso l'Avvocatura ha ben evidenziato che il carattere non perentorio del termine in questione appare ricavabile anche dall'esame dei lavori preparatori, dato che l'originaria formulazione della norma nel disegno di legge AC 4818-A-bis conteneva l'esplicita espressione a pena di nullità e tale inciso è stato significativamente soppresso in sede di esame finale del testo normativo. L'Avvocatura ha anche argomentato in modo esauriente circa il gran numero di strumenti a disposizione del contribuente per far valere le proprie ragioni fin dall'inizio delle operazioni di verifica il contribuente può far valere le proprie osservazioni e le proprie ragioni giuridiche mediante dichiarazione a verbale a seguito della notifica dell'avviso di accertamento al contribuente o anche su iniziativa d'Ufficio è data la possibilità di ricorrere all'istituto dell' accertamento con adesione L. 212/00. Infine può essere anche osservato che la Corte costituzionale ha affrontato il problema esclusivamente sotto il profilo della motivazione circa le condizioni di particolare urgenza richieste dalla norma per consentire la abbreviazione unilaterale del termine dilatorio, ma non ha affrontato il diverso e distinto problema di quali siano le conseguenza del mancato rispetto del termine dilatorio in assenza delle condizioni di urgenza. La mancata motivazione sull'urgenza può rendere illegittima l'anticipazione, ma si tratta di vedere quali siano le conseguenze di tale illegittimità, sia in caso di mancanza delle condizioni di urgenza, sia in caso di mancata esposizione di tali ragioni nella motivazione dell'avviso tenuto conto anche del fatto che le norme richiamate dalla ordinanza ella Corte costituzionale prescrivono che l'avviso di accertamento sia motivato in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato e non anche in relazione alle ragioni di urgenza in presenza delle quali esso è stato pronunziato. Tali profili di opinabilità della soluzione interpretativa contrastata dall'amministrazione finanziaria debbono peraltro misurarsi non solo con le ragioni espresse a favore del contrapposto indirizzo interpretativo, ma anche con la stessa esistenza di un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato anche per effetto del supporto fornito dalla pronunzia della Corte costituzionale. La salvaguardia dell'unità dell'interpretazione è infatti ormai da considerare specie dopo le ultime innovazioni legislative relative al giudizio di cassazione come un criterio legale di interpretazione delle norme legislative. Non l'unico criterio di ermeneutica, ovviamente, e neppure quello su ogni altro prevalente, ma di certo un criterio importante dato anche il suo collegamento con i principi costituzionali di uguaglianza e di libertà dei cittadini. Un principio particolarmente importante in materia procedimentale e processuale, posto che in tale materia la prevedibilità e l'uniformità delle regole che disciplinano il come agire sono requisiti imprescindibili di giustizia. Non un criterio decisivo e assoluto non si può dubitare che un'interpretazione che si consideri non plausibile sul piano letterale, logico e sistematico possa ciononostante essere mantenuta per ossequio ai precedenti consolidati, ma solo se essa non sia manifestamente arbitraria e pretestuosa e non dia luogo a risultati disfunzionali, irrazionali o semplicemente ingiusti. Nella specie l'interpretazione qui in esame è certamente molto opinabile ma altrettanto certamente essa non è né arbitraria né pretestuosa. E' pur vero che essa appare suscettibile di dar luogo a risultati disfunzionali e fuori misura , ma non dovrebbe essere troppo difficile, per l'amministrazione finanziaria , evitare tali risultati adeguandosi operativamente a questo più rigoroso regime. Non vi sono quindi buone ragioni per allontanarsi dal criterio interpretativo della conformità ai precedenti giurisprudenziali. Il primo motivo deve quindi essere respinto. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione della stessa norma sotto altro profilo e cioè per il fatto che nella specie essa non era applicabile in quanto l'attività posta in essere di verificatori era riconducibile non ad una vera e propria verifica ma al mero reperimento di documentazione fiscale. Quest'ultimo profilo è privo di autosufficienza e non può quindi essere esaminato, dato che il ricorso non specifica il contenuto delle operazioni svolte dalla Guardia di finanza. Comunque deve anche essere osservato che la distinzione prospettata dall'Agenzia delle entrate non appare avere corrispondenza nella norma in esame. Il ricorso deve quindi essere respinto. Non vi è luogo a pronunzia sulle spese in quanto l'intimato - nonostante quello che viene dichiarato nella missiva del curatore fallimentare in data 5 gennaio 2011 - non era costituito. P.Q.M. Rigetta il ricorso.