Sentenze definitive CEDU e obbligo di conformarsi: rimedi e “fratelli minori”

Cosa accade se la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo pronunci una sentenza definitiva in cui accerti la violazione dello Stato italiano di una norma della Convenzione EDU in relazione ad una questione su cui si è già formato il giudicato interno?

In contumacia del legislatore, vedremo gli istituti individuati dalla giurisprudenza di Cassazione e soprattutto dalla Corte costituzionale con l’introduzione, nella sentenza additiva n. 113/2011, della revisione europea, che hanno consentito di surrogare all’inerzia del Parlamento, individuando gli strumenti processuali attraverso i quali ripristinare la legalità violata sostanziale o processuale in sede sovrannazionale così come riconosciuta dalla Corte di Strasburgo. Restano tuttavia ancora incerti sia gli strumenti che si possono attivare per conformarsi al contrario giudicato convenzionale, sia il perimetro applicativo con riferimento alla possibilità di percorrerli da parte di soggetti non ricorrenti e vincitori a Strasburgo ma si trovano nella stessa posizione, ossia i cosiddetti fratelli minori”. Su quest’ultima tematica la palla è stata di recente passata alle Sezioni Unite, con ordinanza della Sesta Sezione di legittimità del 22 marzo 2019.

La sentenza n. 113 del 2011 introduce la revisione europea. La giurisprudenza italiana, in una prima fase, aveva constatato l’impossibilità di ricondurre questa ipotesi ai classici casi di revisione previsti dall’art. 630 c.p.p., di conseguenza avevano seguito varie opzioni interpretative, tra cui quella del ricorso straordinario per cassazione ex art 625-bis, oppure quella dell’istituto della restituzione in termini per la proposizione dell’impugnazione. Tuttavia, queste soluzioni presentate risultavano insoddisfacenti, tali dunque da legittimare la chiamata in causa della Consulta. Alla luce della costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, le norme della CEDU integrano, quali norme presupposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 primo comma della Cost. nella parte in cui impone alla legislazione interna di conformarsi agli obblighi internazionali”. In questo caso la norma interposta era l’art. 46 della CEDU nella interpretazione vivente datane dalla Corte di Strasburgo che imponeva la riapertura del processo su richiesta dell’interessato. A questo punto, i giudici delle leggi hanno ritenuto che la sede maggiormente appropriata per realizzare questo scopo sia proprio quella della revisione in quanto essa comporta la riapertura del processo e la conseguente ripresa delle attività processuali in sede di cognizione e di assunzione delle prove. La sentenza additiva n. 113 del 2011, ponendo fine ad un lungo dibattito giurisprudenziale è intervenuta sull’art. 630 c.p.p. introducendo un nuovo e atipico caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna, attraverso la quale ottenere la riapertura del processo. Per la Consulta, la revisione – comportando, quale mezzo straordinario di impugnazione a carattere generale, la riapertura del processo, che implica una ripresa delle attività processuali in sede di cognizione, estesa anche all’assunzione delle prove – costituisce l’istituto, fra quelli attualmente esistenti nel sistema processuale penale, che presenta profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare necessaria al fine di garantire la conformità dell’ordinamento nazionale al giudicato convenzionale. In tale quadro, viene sottolineata la riapertura del processo intesa, quest’ultima, come concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di quella integrale del giudizio quando la riapertura stessa risulti necessaria, ai sensi dell’art. 46, § 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte EDU. I fratelli minori” del ricorrente vittorioso a Strasburgo. Una volta individuato lo strumento per adeguarsi alle sentenze definitive di Strasburgo, si è posto il problema di definire gli esatti confini di siffatto obbligo di conformazione e l'estensibilità del medesimo ai casi, analoghi, sebbene non sottoposti alla Corte di Strasburgo. In particolare se il rimedio della revisione europea possa essere utilizzato anche da coloro che, pur non essendo direttamente destinatari di una pronuncia della Corte EDU, adducano di ritrovarsi nelle medesime condizioni sostanziali di un diverso ricorrente risultato vittorioso e chiedano quindi la riapertura del processo per rimuovere una violazione della Convenzione accertata dai giudici di Strasburgo in un caso distinto ma analogo. La sentenza n. 210 del 2013 della Consulta. Un significativo argomento a supporto della sua estensione anche al di fuori della situazione del singolo ricorrente sembra rintracciarsi nella pronuncia n. 210 del 2013 della Corte costituzionale stessa. In tale arresto è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo la norma che aveva modificato in peius la disciplina del giudizio abbreviato l'art. 7, comma 1 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in l. 19 gennaio 2001, n. 4 . Premesso che la sentenza della Corte EDU, 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, ha affermato che l'art. 442, comma 2, c.p.p. costituisce una disposizione di diritto penale materiale riguardante la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato che l'art. 7, § 1, della CEDU non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa, che si traduce nella norma secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato che in definitiva nella fattispecie vi è stata violazione dell'art. 7 della CEDU in quanto il censurato art. 7, comma 1, del d.l. n. 341 del 2000, con il suo effetto retroattivo, ha determinato la condanna all'ergastolo di imputati ai quali era applicabile il precedente testo dell'art. 442, comma 2, c.p.p. e che in base a questo avrebbero dovuto essere condannati alla pena di trenta anni di reclusione. Sì ai fratelli minori di Scoppola. Si apriva così nella giurisprudenza interna la tumultuosa saga dei c.d. fratelli minori di Scoppola, chiusa dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 34472/2012, Ercolano, ove veniva riscontrata la necessità di estendere l’efficacia della sentenza della Corte EDU nel caso Scoppola contro Italia a tutti i casi analoghi ossia a tutti i soggetti condannati con sentenza passata in giudicato che si trovassero nelle medesime condizioni sostanziali del ricorrente ma tale estensione era giustificata dal fatto che la sanzione europea aveva sancito l’illegittimità convenzionale per contrasto con l’art. 7 CEDU della pena, la quale, laddove sia ancora in esecuzione, non può mai considerarsi una situazione esaurita”. Ciò in quanto l'irrogazione di una pena illegittima, come tale riconosciuta sulla base di un apprezzamento della legalità convenzionale avente valore generale, comporta che quell'apprezzamento non può che avere a sua volta valore generale.

La sentenza Dell’Utri sul riconoscimento in astratto dei fratelli minori. La complessa questione relativa alle concrete ricadute applicative delle sentenze dichiarative di violazioni della CEDU su tutti la sentenza sul caso Contrada, della Corte EDU, del 14 aprile 2015 per la quale violava l’art. 7 CEDU in quanto privo di sufficiente e prevedibile base legale la condanna di Contrada per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, riportata dal ricorrente in relazione a fatti commessi prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 16/1994 ha visto altri capitoli, il primo dei quali è sicuramente quello relativa alla vicenda di Dell’Utri. Anche se la Suprema Corte ha negato la possibilità di avvalersi dei principi di diritto da essa espressi per ottenere la revoca ex art. 673 c.p.p. della propria condanna Sez. I, n. 44193/2016 , non si esclude in astratto la possibilità dei fratelli minori del ricorrente vittorioso. Anzi, a fronte dell'esigenza di conformazione al dictum della Corte EDU, è stata sottolineata la primaria rilevanza della revisione, in specie quando si renda necessaria la riapertura del dibattimento. In tale quadro si è osservato che l'operatività della revisione non è strettamente legata al fatto che l'istanza sia promossa dal soggetto risultato vittorioso dinanzi alla Corte di Strasburgo e neppure al fatto che ricorra, in alternativa, una sentenza pilota in senso formale. Però nel caso di specie si è ritenuto che non fossero identiche le posizioni sostanziali di Contrada e Dell’Utri. Pure il successivo tentativo di percorrere la strada della revisione europea è stata rigettata dalla Corte di Appello di Caltanissetta Sez. II, n. 321 del 2018 . La revisione quale strumento principale di adeguamento alla CEDU. La sentenza Dell’Utri oltre a valorizzare le linee guida desumibili dalla sentenza n. 210 del 2013 della Consulta, aprendo le porte in astratto ai fratelli minori, ha delimitato le rispettive sfere di operatività della revisione europea e dell'incidente di esecuzione. Lo strumento per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte EDU è stato individuato, in via principale, nella revisione introdotta dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011, applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali rilevanti l'art. 6 CEDU, sia in quelle di violazione dell'art. 7 della stessa Convenzione che non implichino un vizio assoluto di responsabilità per l'assenza di una norma incriminatrice al momento del fatto , ma solo un difetto di prevedibilità della sanzione – ferma restando la responsabilità penale – o che comunque lascino aperte più soluzioni del caso. Ruolo residuale dell’indicente di esecuzione. Lo strumento dell'incidente di esecuzione, invece, può essere utilizzato solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che, qualora l'incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli della sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, è necessario anche che la predetta decisione pur non adottata nelle forme della sentenza pilota” abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che la posizione dell'istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo. La sentenza conformativa al dictum Corte EDU Contrada. Con riferimento allo strumento da utilizzare per la rimozione degli effetti pregiudizievoli della condanna europea, la Suprema Corte, nel conformarsi alla pronuncia della Corte EDU, del 14 aprile 2015 Contrada, di violazione dell’art. 7 CEDU, ritiene che l'incidente di esecuzione regolato dagli artt. 666 e 670 c.p.p. costituisce strumento appropriato per l'attuazione di una decisione della Corte di Strasburgo Sez. I, n. 43112/2017 , quando questa non impone la riedizione del processo per violazione dell'art. 6 della Convenzione, realizzabile con lo strumento della revisione europea, ma la mera rimozione degli effetti pregiudizievoli della condanna, alla quale il giudice dell'esecuzione è senz'altro abilitato fino a quando non si sia esaurito il rapporto esecutivo. Niente più ricorso straordinario. Mentre invece era stato dichiarato inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto proposto sempre dal Contrada al fine di ottenere la revoca della condanna inflitta per fatti di concorso esterno in associazione mafiosa commessi antecedentemente al 1994 Sez. II, n. 43886/2016 . Si è in questi casi infatti al di fuori dell'orizzonte applicativo del rimedio previsto dall'art. 625-bis c.p.p., non essendo stato riscontrato e neppure addotto alcun errore di fatto relativo alla sentenza di legittimità impugnata Sez. V, n. 28676/2016 . Occorre centrare lo strumento processuale. Di recente la Suprema Corte ha specificato che lo strumento processuale non è qualcosa di indifferente o di surrogabile, rispetto ai valori che incarna e che intende proteggere. L’adozione di un modello di intervento revisione piuttosto che di un altro incidente di esecuzione non è affatto neutra, rispetto agli ambiti di intervento giurisdizionale ed agli effetti della domanda, il che impone di individuare le ragioni per cui si ritiene di ribadire la tipicità vincolante degli strumenti che, qualora non attivati correttamente dal ricorrente, porta al rigetto del ricorso Sez. I, n. 50989/2018 .

Il caso Drassich e la condanna della Corte EDU. La Suprema Corte, Sezione Sesta, nella sentenza del 4 febbraio 2004, Drassich rigettò il ricorso dell’imputato, negando fra l’altro che fosse maturato il termine di prescrizione per il reato contestato di corruzione di atti contrari ai doveri d’ufficio art. 319 c.p. , stante la circostanza che la qualificazione corretta dei fatti contestati andava – secondo la Corte di legittimità – modificata, dovendosi contestare altro e più grave titolo delittuoso di corruzioni in atti giudiziari art. 319- ter c.p. . L’imputato faceva allora ricorso alla Corte EDU sostenendo essersi verificata una violazione delle proprie facoltà difensive in conseguenza della improvvisa ed asseritamente imprevedibile modifica della qualificazione giuridica del fatto ascritto. La Corte europea riteneva fondate le censure, rinvenendo nei fatti una violazione dell’art. 6, § § 1 e 3, lett. a e b CEDU, non essendo stato l’imputato avvertito della possibilità di una riqualificazione dell’accusa contestata e, ancor meno, messo in condizione di discutere in contraddittorio il nuovo nomen iuris Corte EDU, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia la normativa interna quindi si poneva in contrasto con il dettato convenzionale in misura in cui la modifica dell’imputazione in peius è stata effettuata a sorpresa”, senza il contraddittorio con l’accusato e senza consentire a costui di esercitare i suoi diritti di difesa sul punto in modo concreto ed efficace. I giudici europei poi aggiungevano che un nuovo processo o una riapertura del procedimento a richiesta dell'interessato, [avrebbe] rappresenta[to], in linea di principio, un modo appropriato di rimediare alla violazione rilevata . Il ricorso straordinario come rimedio alla violazione Drassich. Lo strumento giuridico individuato dalla stessa Cassazione, per conformarsi alla sentenza Drassich della Corte di Strasburgo fu quello del ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625-bis c.p.p. introdotto dalla legge n. 128/2001 , con conseguente annullamento della prima decisione del 2004 – censurata in sede CEDU – e successiva celebrazione di un nuovo giudizio di cassazione consentendo all’imputato interessato di interloquire in contradditorio sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati Sez. VI, 12 novembre 2008, Drassich . Tuttavia, il nuovo processo che scaturiva da tale procedura si concludeva nei medesimi termini del precedente, ovvero veniva ribadita la qualificazione dei fatti nei termini dell’art. 319-ter c.p. ed era conseguentemente esclusa la prescrizione del reato Cass., Sez. VI, 25 giugno 2009, Drassich . La revisione europea. In attesa di un intervento del legislatore mai arrivato che individuasse il rimedio ad hoc per conformarsi alle sentenze definitive ‘di condanna’ della Corte EDU, la Corte costituzionale introduceva un nuovo strumento per eseguire la sentenza europea permettendo di rimediare alla violazione convenzionale quello della c.d. revisione europea. In particolare, con la sentenza n. 113 del 2011, la Consulta dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, § 1, della CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte di Strasburgo. Torniamo al caso Drassich. Tale decisione della Consulta evidentemente sollecitava il Drassich a far valere nuovamente le sue ragioni e così costui lamentava prima innanzi alla competente Corte d’appello e poi davanti alla Cassazione di non aver potuto godere delle facoltà riconosciutegli dalla Corte costituzionale, in quanto il suo procedimento non era stato riaperto a mezzo di revisione – come sarebbe stato doveroso dopo la decisione del giudice delle leggi – ma semplicemente era stato rinnovato il giudizio davanti alla Corte di legittimità e limitatamente al solo profilo della corretta qualificazione giuridica dell’accusa. L’esito del nuovo ricorso per cassazione è stato però negativo, in quanto la Suprema Corte ha ritenuto che in caso di inosservanza delle disposizioni della CEDU in tema di compiuta e corretta contestazione all’imputato dell’accusa mossa nei suoi confronti, qualora tale inosservanza risulti essersi verificata nell’ambito del giudizio di legittimità, continua ad essere comunque idoneo a porre rimedio a tali violazioni il ricorso all’art. 625-bis c.p.p., poiché in tal modo è possibile reimmettere l’interessato in una situazione equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato se non vi fosse stata un’inosservanza della medesima Convenzione Sez. II, 15 maggio-12 settembre 2013, Drassich . Tale pronuncia non sembra però considerare che quando viene a modificarsi l’imputazione, anche sotto il profilo giuridico, non ci sembra vi sia altra opzione legittima che ricominciare” il giudizio secondo quelle che sono le cadenze degli artt. 516 e 521 c.p.p. Santoriello . Drassich contro Italia n. 2 della Corte EDU. Veniva pertanto sollecitato nuovamente l’intervento della Corte EDU. Secondo il ricorrente, infatti, il rimedio di cui all’art. 625-bis c.p.p. non avrebbe assicurato alcuni dei suoi diritti difensivi, e cioè i diritti di partecipare personalmente all’udienza, di disporre di un congruo termine per preparare la propria difesa e di acquisire nuove prove. Di qui un secondo ricorso a Strasburgo. Tali doglianze però non sono state accolte dai giudici europei, i quali, con sentenza 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia n° 2, hanno invece reputato che nel giudizio celebratosi nei confronti del ricorrente non sia stata lesa alcuna garanzie difensiva, e ciò perché, in primo luogo, la presenza dell’imputato in udienza non era da considerarsi necessaria visto che il giudizio aveva avuto come oggetto esclusivamente questioni di diritto inoltre, il ricorrente aveva potuto presentare due memorie scritte nelle more dell’udienza in Cassazione infine, l’imputato non aveva mai contestato la ricostruzione dei fatto, chiedendo l’ammissione di ulteriori prove.

Le norme della CEDU sull’obbligo di conformarsi al dictum convenzionale. L’art. 46 primo comma della CEDU, rubricato forza vincolante ed esecuzione delle sentenze, impegna gli Stati contraenti a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea nelle controversie nelle quali sono parti . Mentre il secondo comma recita La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l'esecuzione . Pertanto, qualora le sentenze della Corte EDU accertino la violazione delle norme convenzionali o dei suoi protocolli – cui va equiparata la decisione adottata dal Comitato dei ministri a norma dell’art. 32 della CEDU – lo Stato convenuto non potrà limitarsi a versare all’interessato una somma a titolo di equa soddisfazione ma dovrà, al contrario, adottare tutte le misure individuali e necessarie a riparare la violazione. Infatti, a norma dell’art. 41 della CEDU, solo se il diritto dell’Alta parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa . Le pronunce della Corte di Strasburgo, poiché consentono di incidere sul giudicato interno un tempo ritenuto una sorta di tabù resistente anche a forme di conclamata ingiustizia , impongono quindi allo Stato condannato di apprestare una serie di rimedi volti ad evitare la reiterazione della violazione per un duplice ordine di ragioni in relazione al caso specifico, per ottemperare agli impegni assunti con l’adesione alla Convenzione ai sensi dell’art. 46 CEDU e, in prospettiva profilattica, ad evitare il dilagare di casi analoghi i c.d. fratelli minori” . Fino ad oggi, però, la vincolatività delle decisioni della Corte EDU per lo Stato condannato è stata resa operativa solo da significativi interventi giurisprudenziali, tendenti a disconoscere il vincolo della res iudicata nazionale a fronte di una sentenza di segno opposto da parte degli organi di Strasburgo. Prima di adire la Corte EDU esaurire i ricorsi interni. Importante ricordare che è consentito il ricorso alla Corte di Strasburgo previo esaurimento dei rimedi interni, dunque quando la pronuncia nazionale risulti definita con decisione irrevocabile. A tale proposito l’art. 35, § 1, CEDU prescrive l’aver percorso i ricorsi interni che siano normalmente disponibili e adeguati per permettere di ottenere la riparazione delle violazioni allegate. Questi gravami devono offrire un sufficiente grado di certezza senza la quale sarebbero privi della richiesta accessibilità ed effettività. Niente impone di utilizzare mezzi di impugnazione che siano adeguati ed effettivi. Inoltre secondo i principi diritto generalmente riconosciuti” talune circostanze particolari possono dispensare i ricorrenti dall’obbligo di esaurire i rimedi interni. Tuttavia, il semplice fatto di nutrire dubbi circa l’esito positivo di un determinato ricorso non costituisce un motivo valido per giustificare il suo mancato utilizzo Corte EDU, sez. II, 2 giugno 2009, n. 15476 . Quindi attenzione che la rinuncia ad una impugnazione può costituire un ostacolo alla possibilità di adire la Corte di Strasburgo.

La Sesta sezione penale della Corte Suprema di Cassazione, presso atto del contrasto giurisprudenziale in sede di legittimità, ha rimesso alle Sezioni Unite la quaestio se la revisione europea possa essere richiesta anche da coloro che, pur non essendo direttamente destinatari di una pronuncia della Corte EDU, adducano di ritrovarsi nelle medesime condizioni sostanziali di un diverso ricorrente risultato vittorioso a Strasburgo nel caso di specie si tratta di un fratello minore di Contrada . Argomentazioni favorevoli ai fratelli minori. Nonostante le precauzioni dell’orientamento più restrittivo di legittimità volto a limitare il più possibile l’ambito di applicabilità dello strumento della revisione europea costringendo, in sostanza, i condannati ad adire la Corte di Strasburgo per poter poi attivare, in caso di riconoscimento della violazione della CEDU, la revisione europea , in nome di un’ampia tutela della stabilità del giudicato, sembra preferibile l’orientamento sull’applicazione generalizzata – tanto da parte del soggetto vincitore in sede europea, quanto in favore dei suoi fratelli minori” – del meccanismo della revisione. È stata la stessa Corte costituzionale infatti, nella sentenza n. 210/2013, ad aver affermato che il valore del giudicato appare recessivo” a fronte di più rilevanti valori costituzionali tra quali spicca, indubbiamente, la libertà personale . Occorrerebbe dunque lasciare aperta la possibilità che, nei casi in cui sia invece necessaria una riapertura del processo, anche i soggetti diversi dal ricorrente possano avvalersi dello strumento della revisione europea per ottenere l’adeguamento della propria condanna alle sentenze definitive del giudice di Strasburgo, come ad esempio ai fratelli minori Contrada. Fratelli minori anche per le violazioni del giusto processo. Le stesse conclusioni sull’utilizzazione della revisione europea andrebbero estese per far valere una violazione delle garanzie del equo processo” di cui all’art. 6 CEDU sulla base di un accertamento compiuto dai giudici di Strasburgo nei confronti di un soggetto diverso, laddove si ci ritroverebbe ugualmente di fronte a una violazione della Convenzione di carattere strutturale. Situazione quest’ultima che si verifica allorché i giudici di Strasburgo si spingessero fino a contestare la compatibilità con l’art. 6 CEDU di una norma processuale astrattamente considerata, in ipotesi applicata al ricorrente Come sembra essere avvenuto nel casi dei fratelli minori Lorefice laddove la reiterata violazione dell’equo processo – quando l’overturning della sentenza assolutoria di primo grado in condanna in appello si sia fondato sulla violazione dell’obbligo di risentire in contraddittorio i testi a carico, ai sensi dell’art. 6, § 3, lett. d CEDU, secondo il consolidato orientamento della Corte europea – abbia portato alla constatazione delle norme processuali che non consentano la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per ascoltare la fonte dichiarativa sulla quale si è fondato il ribaltamento del pronunciamento di prime cure. Tale di situazione di incompatibilità convenzionale non potrebbe che richiedere un intervento abolitivo della Corte costituzionale, nella specie evitato solo grazie all’intervento prima delle Sezioni Unite nelle sentenze Dasgupta e Patalano, e dopo dal legislatore con l’interpolazione dell’art. 603 c.p.p. ad opera della c.d. riforma Orlando. E le stesse conclusione vanno estese per le violazioni processuali subite dai fratelli minori di Drassich. Effetto erga omnes delle pronunce della Corte EDU. Le misure che uno Stato è tenuto ad adottare per l’esecuzione di una sentenza non si limitano a quelle che riguardano il ricorrente Biondi . Se la violazione è dovuta a un problema strutturale, lo Stato convenuto deve, al contrario, adottare le misure generali appropriate per porvi rimedio al fine di evitare che la stessa violazione possa colpire altre persone. Ciò è evidentemente legato al fatto che la Corte si basa su dei principi per deliberare. Invero, la Corte di Strasburgo ha rammentato che le sue sentenze servono non solo a decidere le cause ad essa sottoposte, ma più in generale a chiarire, salvaguardare e sviluppare le norme della Convenzione e a contribuire in tal modo al rispetto, da parte degli Stati, degli impegni che questi ultimi hanno assunto nella loro qualità di Parti contraenti. In altri termini, come osservato dal giudice Pinto de Albuquerque nell’opinione dissenziente espressa in allegato alla sentenza della Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia, il valore giuridico della sentenza della Corte ingloba non solo il suo effetto obbligatorio inter partes il suo carattere vincolante”, per riprendere le parole utilizzate dalla Corte , ma anche la sua autorità interpretativa”, altrettanto importante. In tale senso, la sentenza della Corte ha un effetto erga omnes nei confronti di tutte le Parti contraenti, anche se è stata pronunciata solo nei confronti di una o di alcune di esse. In definitiva, sia ai fratelli minori di Contrada che a quelli di Drassich e Lorefice deve essere riconosciuta la possibilità di rimuovere lo stigma dell’ingiustizia” costituito da una condanna frutto – per i fratelli minori di Contrada – di una violazione del principio di legalità con riferimento ai fatti di concorso esterno precedenti alla cristallizzazione dell’orientamento di legittimità con l’arresto delle Sezioni Unite del 1994, per i quali mancava la prevedibilità della condanna e – per i fratelli minori di Drassich e Lorefice – di un processo non equo.

Revisione solo se vi è una sentenza pilota”. Un orientamento intermedio, pur ritenendo che l’obbligo di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU ricorra quando la sentenza sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato – alla stessa stregua dell’orientamento Dell’Utri– estende la revisione europea ritenendola esperibile quando al di fuori del singolo caso oggetto di giudizio davanti i giudici europei qualora la sentenza della Corte di Strasburgo abbia natura di sentenza pilota”. Pertanto riguardi una situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all'interno del medesimo ordinamento giuridico, ovvero, ancora, quando abbia accertato una violazione di carattere generale, desumibile dal dictum della Corte EDU e ricorra una situazione corrispondente che implichi la riapertura del dibattimento Sez. VI, n. 21635/2017 . Niente fratelli minori di Contrada. Per un’ampia parte della giurisprudenza di legittimità, la ratio dell'intervento additivo della sentenza n. 113 del 2011 risiede nell'esigenza di conformazione ad una sentenza vincolante per lo Stato, in quanto il ricorrente sia stato parte del giudizio dinanzi alla Corte. Per cui non può costituire motivo di revisione della sentenza di condanna l'asserita violazione di diritti fondamentali previsti dalla CEDU, in quanto l'attivazione del processo di revisione presuppone che la violazione sia accertata con sentenza della Corte EDU con riferimento al medesimo processo definitivamente concluso Sez. II, n. 53610/2017 Sez. I, n. 8661/2018 Sez. VI, n. 29167/2016 . Alle sentenze di Strasburgo non sarebbe quindi riconoscibile, in via generale e astratta a differenza della sentenza Dell’Utri alcuna capacità di incidere sulle situazioni esaurite”, ovvero sui giudicati non sottoposti al suo diretto vaglio, e ciò a prescindere della ricognizione o meno della natura di sentenza pilota” o quasi pilota” di cui si chiede l’applicazione. Non può al riguardo invocarsi il disposto dell'art. 46 CEDU, che impone alle Alte Parti contraenti l'obbligo conformarsi alle sentenze definitive di detta Corte, dal momento che tale obbligo attiene alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. Non viene accolta una interpretazione estensiva della revisione europea fuori dai limiti nel giudicato convenzionale – quando cioè la richiesta sia relativa a situazione processuale esaurita e coperta da giudicato – perché occorre salvaguardare, per l’appunto, il giudicato”, presidio ancora oggi inelubidile della certezza del diritto. Insomma Contrada rimane figlio unico! Niente fratelli minori di Drassich e Lorefice. Nello stesso senso si sono pronunciate alcune pronunce di legittimità nei casi in cui la pena illegittima non derivi dalla violazione del principio di legalità sostanziale ma sia la risultante di un giudizio non equo, ai sensi dell’art. 6 CEDU, ipotesi nella quale l'apprezzamento verte su eventuali errores in procedendo e implica valutazioni correlate alla fattispecie specifica, richiedendosi dunque un vincolante dictum della Corte di Strasburgo sulla medesima fattispecie. In tal senso sono ritenuti inammissibili i ricorsi presentati dai fratelli minori di Drassich qualora vi sia stata una mutazione in peius, imprevedibile e senza contraddittorio, della qualificazione giuridica dei fatti ascritti Sez. VI, n. 40889/2017, secondo la quale nel caso di specie vi era stato comunque nella specie solo un arricchimento fattuale della condotta ascritta all’imputato . Le ultime pronunce della Suprema Corte Sez. V, n. 7918/2019 e 56163/2018 hanno escluso tutela anche ai fratelli minori Lorefice, ritenendo che qualora la sentenza di condanna sia stata pronunciata in riforma di precedente riforma di precedente pronuncia assolutoria, in assenza della rinnovata escussione delle prove dichiarative, in contrasto con gli arresti della Corte EDU a partire dalla pronuncia Dan c. Moldavia del 2011, da ultimo ribadita per l’appunto dalla sentenza Lorefice c. Italia del 29 giugno 2017 , e con i principi enunciati dalla Corte di cassazione nella sentenza Dasgupta, non necessita di un adeguamento ad un dictum vincolante per lo Stato italiano della Corte di Strasburgo e non può, pertanto, essere ex se posta a fondamento di una istanza di revisione. In entrambi i casi la Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte di Appello di inammissibilità della richiesta di revisione, avanzata da un ricorrente, che, pur senza avere mai adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, assumeva di trovarsi in posizione analoga a quella di altro ricorrente vittorioso a Strasburgo, con riguardo alla riconosciuta violazione dell’art. 6 CEDU caso Lorefice c. Italia del 29 giugno 2017 , e, per tale ragione, chiedeva la riapertura del suo processo. Ma è giusto impedire ai fratelli minori di Lorefice, a differenza di quelli di Scoppola, di rivolgersi ad un giudice interno per accertare se, come nel caso del fratello maggiore, anche nella loro vicenda processuale vi sia stata violazione del diritto fondamentale all’equo processo sancito dall’art. 6 CEDU?