Il limite di età per il ricongiungimento familiare del coniuge può essere raggiunto anche dopo la presentazione della domanda

La finalità di perseguire il legittimo obiettivo della limitazione dei matrimoni forzati non deve tuttavia pregiudicare il diritto al ricongiungimento familiare delle coppie sposate genuinamente.

Lo afferma l’avvocato generale presso la Corte di Giustizia nelle sue conclusioni nelle cause riunite C-338/13 del 30 aprile 2014. L’avvocato generale si concentra su una rilevante fattispecie relativa al diritto al ricongiungimento familiare in capo a cittadini extracomunitari. La vicenda. Nel settembre 2010, una cittadina afghana, ha presentato all’ambasciata d’Austria in Pakistan una domanda di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare con il marito, anch’esso cittadino afghano residente in Austria. Tale domanda è stata respinta dalle autorità austriache in quanto quest’ultimo non aveva compiuto ventuno anni al momento della presentazione di detta domanda, pur avendo peraltro raggiunto tale età prima dell’adozione della decisione di rigetto. La cittadina afghana ha proposto ricorso contro tale decisione negativa. Del caso è stato investito il supremo giudice amministrativo austriaco il quale ha chiesto alla Corte di Giustizia di valutare la compatibilità della normativa austriaca con la direttiva sul ricongiungimento familiare. Permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare. Per una migliore comprensione dei termini della questione e della fattispecie, si rivela opportuno ricordare che il diritto dell’Unione, in particolare la Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare definisce la cerchia dei membri della famiglia dei cittadini di Stati terzi soggiornanti in uno Stato membro che possono beneficiare di un permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare. Per quanto riguarda il coniuge, al fine di assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati, la direttiva 2003/86/CE prevede che gli Stati membri possano imporre un limite minimo di età pari al massimo a ventuno anni per effettuare il ricongiungimento familiare. Essa non specifica però il momento in cui il soggiornante ed il suo coniuge devono aver raggiunto tale limite minimo di età. A termini della legge austriaca, il limite di età di 21 anni deve essere necessariamente raggiunto dai coniugi al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. Una domanda presentata prima che entrambi i coniugi abbiano compiuto ventuno anni deve essere respinta anche se essi raggiungono tale età nelle more del procedimento. Il diritto al ricongiungimento familiare si ascrive nel diritto al rispetto della vita familiare. Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale evidenzia innanzitutto che il diritto al ricongiungimento familiare, riconosciuto e disciplinato dal diritto dell’Unione europea, costituisce un profilo specifico del diritto al rispetto della vita familiare il quale, a sua volta, è un diritto fondamentale consacrato non solo dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La giurisprudenza della Corte ha già chiarito che l’autorizzazione al ricongiungimento familiare costituisce la regola generale e poiché, in determinate ipotesi, la direttiva impone agli Stati membri di autorizzare il ricongiungimento senza margini di discrezionalità, a tale obbligo corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti. Peraltro, l’eventuale discrezionalità riconosciuta agli Stati membri non deve essere esercitata in modo tale da pregiudicare l’obiettivo della direttiva stessa, né il suo effetto utile. Il momento rilevante per il raggiungimento del limite di età è l’accettazione della domanda. L’avvocato generale ritiene che un’analisi letterale della disposizione pertinente della direttiva deponga in favore di un’interpretazione secondo cui il momento rilevante per il raggiungimento del limite di età ivi previsto non possa essere quello della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, bensì quello dell’accettazione da parte dell’autorità competente. Inoltre, secondo lo stesso avvocato generale, sebbene la finalità esplicita della possibilità attribuita agli Stati membri di prevedere un limite minimo di età per effettuare il ricongiungimento familiare sia quello legittimo di prevenire i matrimoni forzati – sulla base della considerazione che un’età maggiore comporti un più alto livello di maturità il quale potrebbe, in teoria, aiutare la persona a resistere alle pressioni per contrarre un matrimonio forzato –, tale scopo deve però essere controbilanciato con il diritto al ricongiungimento familiare di coloro che si sono sposati sinceramente e genuinamente. Bisogna interpretare la direttiva non in maniera formalistica. Un’interpretazione della direttiva che permetta di introdurre la domanda prima del raggiungimento del limite di età e di ottenere il permesso di soggiorno nel caso in cui siffatto limite sia stato raggiunto al momento dell’adozione della decisione dell’amministrazione sulla domanda di ricongiungimento familiare va nel senso di un favore per il ricongiungimento familiare, evitando un’interpretazione formalista della norma che ne ostacola la realizzazione. Infine, da un’analisi sistematica dell’insieme della direttiva, non risulta nessuna sua disposizione che stabilisca che il raggiungimento del limite di età ivi previsto costituisce una condizione formale di presentazione della domanda. In conclusione. Per tutte queste ragioni, l’avvocato generale suggerisce alla Corte di giudicare che la norma austriaca che permette di rigettare una domanda di ricongiungimento familiare per mancato raggiungimento del limite di età per l’esercizio del relativo diritto, ancorché, al momento dell’adozione della decisione da parte delle autorità, tale limite di età sia stato raggiunto, è incompatibile con la direttiva sul ricongiungimento familiare.

Avvocato Generale, conclusioni 30 aprile 2014, causa C-338/13 * Droit au regroupement familial – Directive 2003/86/CE – Réglementation d’un État membre prévoyant que le regroupant et le conjoint aient atteint l’âge de vingt et un ans avant l’introduction d’une demande de regroupement familial 1. Le mariage ne peut être conclu qu’avec le libre et plein consentement des futurs époux . Ainsi est libellé l’article 16, paragraphe 2, de la déclaration universelle des droits de l’homme 2 . 2. Par la présente demande de décision préjudicielle, déférée par le Verwaltungsgerichtshof autrichien, la Cour est appelée à prendre position pour la première fois sur une disposition contenue dans la directive 2003/86/CE, relative au droit au regroupement familial 3 , qui a pour objectif spécifique de prévenir les mariages forcés, c’est-à-dire les mariages dans lesquels au moins l’un des deux époux s’engage sans donner son consentement de manière libre et entière, car sa volonté est soumise à une forme de coercition physique ou psychologique, telle que des menaces, d’autres formes d’abus émotionnel ou, dans les cas les plus graves, d’abus physiques 4 . 3. Le phénomène des mariages forcés est une pratique souterraine en Europe, mais sa portée n’en est pas pour autant négligeable 5 . C’est justement dans l’optique de limiter ce phénomène, qui donne lieu à des violations odieuses des droits fondamentaux des personnes, surtout des femmes, qu’a été introduite, dans la directive 2003/86, la disposition dont la juridiction nationale demande l’interprétation à la Cour de justice. 4. Comme nous le verrons par la suite, dans la présente affaire, toutefois, la poursuite légitime de cet objectif devra être mise en balance avec les exigences découlant du droit au respect de la vie familiale des couples mariés de manière authentique. I – Cadre normatif A – La convention européenne des droits de l’homme 5. D’après l’article 8 de la Convention européenne de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales ci-après la CEDH 6 , intitulé [d]roit au respect de la vie privée et familiale 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance. 2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien-être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. B – Droit de l’Union européenne 6. Aux termes de l’article 7 de la charte des droits fondamentaux de l’Union européenne ci-après la charte , intitulé respect de la vie privée et familiale Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de ses communications . 7. La directive 2003/86 fixe les conditions dans lesquelles est exercé le droit au regroupement familial dont bénéficient les ressortissants de pays tiers résidant légalement sur le territoire des États membres. Conformément à son deuxième considérant, cette directive respecte les droits fondamentaux, notamment le droit au respect de la vie familiale, consacré dans de nombreux instruments du droit international, dont, en particulier, l’article 8 de la CEDH et l’article 7 de la charte, précités. 8. L’article 4 de la directive 2003/86 définit le cercle de personnes, membres de la famille du regroupant, qui peuvent bénéficier d’un titre de séjour au titre du regroupement familial. Selon le paragraphe 1er, sous a de cet article, l’époux du regroupant figure parmi ces personnes. 9. Ce même article 4 de la directive 2003/86, au paragraphe 5, dispose ce qui suit [a]fin d’assurer une meilleure intégration et de prévenir des mariages forcés, les États membres peuvent demander que le regroupant et son conjoint aient atteint un âge minimal, qui ne peut être supérieur à 21 ans, avant que le conjoint ne puisse rejoindre le regroupant . C – Droit national 10. Le Niederlassungs und Aufenthaltsgesetz loi relative à l’établissement et au séjour des étrangers 7 , prévoit que, sous certaines conditions, les autorités autrichiennes compétentes accordent un titre de séjour aux membres de la famille de ressortissants d’États tiers. D’après l’article 2 du Niederlassungs und Aufenthaltsgesetz, sont membres de la famille au titre de cette loi le conjoint [] et également les partenaires enregistrés les conjoints et les partenaires enregistrés doivent avoir atteint l’âge de 21 ans à la date du dépôt de la demande [] . II – Faits, procédure nationale et question préjudicielle 11. Madame Noorzia, requérante dans la procédure au principal, est une ressortissante afghane née le 1er janvier 1989. 12. Le 3 septembre 2010, Mme Noorzia a déposé, près l’ambassade d’Autriche à Islamabad Pakistan une demande tendant à l’obtention d’un titre de séjour au titre du regroupement familial avec son époux, né le 1er janvier 1990, lui aussi ressortissant afghan, résidant en Autriche. 13. Par décision du 9 mars 2011, la Bundesministerin für Inneres Ministre de l’intérieur autrichien , partie défenderesse dans l’affaire au principal, a rejeté la demande de regroupement familial. Dans sa décision, l’administration autrichienne a motivé le rejet de la demande par la considération que, même si l’époux de Mme Noorzia avait bien eu 21 ans avant l’adoption de la décision de rejet de la demande de regroupement familial, selon la loi autrichienne, la date pertinente pour déterminer l’âge minimal est la date de dépôt de la demande et non la date de l’adoption de la décision. Partant, puisque l’époux n’avait pas encore 21 ans à la date du dépôt de la demande de regroupement familial, il n’était pas satisfait à l’un des prérequis spécifiques de l’introduction d’une demande valable en ce sens. 14. Mme Noorzia a attaqué la décision de rejet et la juridiction de renvoi a été saisie de l’affaire. 15. Ladite juridiction relève, en premier lieu, que l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 ne précise pas si, pour déterminer l’âge minimal qui y est visé et que les États membres ont la faculté de fixer afin que le regroupement familial puisse avoir lieu, la date pertinente est celle de la décision de l’autorité, ou de l’entrée concrète sur le territoire de l’État membre concerné, ou encore une autre date. La juridiction de renvoi relève en outre que le législateur autrichien a explicitement affirmé que l’âge minimal de 21 ans constitue une condition formelle à la délivrance d’un titre de séjour pour le regroupement familial, que cette condition doit exister à la date du dépôt de la demande de regroupement et que l’absence d’une telle condition entraîne le rejet de la demande, sans qu’il soit possible d’y remédier d’aucune faÇ on en conséquence de l’atteinte de l’âge en question au cours de la procédure. 16. Dans ce contexte, la juridiction de renvoi se pose la question de la compatibilité de la réglementation autrichienne en question avec la disposition figurant à l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86. La juridiction de renvoi estime que deux interprétations alternatives de la disposition en question sont possibles. D’une part, le libellé de la disposition plaiderait pour une interprétation aux termes de laquelle la date pertinente d’atteinte de l’âge minimal prévu est la date d’octroi du titre de la part de l’autorité, et non la date de dépôt de la demande. Si la disposition de la directive devait être interprétée en ce sens, alors, selon la juridiction de renvoi, la réglementation autrichienne pourrait être incompatible avec la directive 2003/86. D’autre part, cependant, d’après la juridiction de renvoi, l’analyse de la finalité de la disposition en question pourrait porter à une interprétation différente, qui pourrait avoir pour conséquence la compatibilité de la réglementation nationale avec la directive précitée. 17. Eu égard aux considérations qui précèdent, la juridiction de renvoi, par ordonnance du 29 mai 2013, a estimé qu’il y avait lieu de surseoir à statuer dans l’affaire dont elle était saisie, afin de déférer à la Cour de justice la question préjudicielle suivante L’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 [] doit-il être interprété en ce sens qu’il s’oppose à une disposition prévoyant que des conjoints et partenaires enregistrés doivent déjà avoir atteint l’âge de 21 ans au moment du dépôt de la demande pour pouvoir être considérés comme des membres de la famille éligibles au regroupement? III – Procédure devant la Cour 18. L’ordonnance de renvoi est parvenue au greffe le 20 juin 2013. Madame Noorzia, les gouvernements autrichien et hellénique ainsi que la Commission ont présenté des observations écrites. IV – Analyse juridique A – Observations liminaires 19. La demande de décision préjudicielle soumise par la juridiction de renvoi à la Cour de justice concerne l’interprétation de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 relative au droit au regroupement familial. 20. À cet égard, il y a lieu de relever, à titre liminaire, que le droit au regroupement familial, reconnu et régi par la directive 2003/86, constitue un aspect spécifique du droit au respect à la vie familiale, qui, à son tour, constitue un droit fondamental consacré par l’article 8 de la CEDH et par l’article 7 de la charte et, en tant que tel, est protégé dans l’ordre juridique de l’Union européenne 8 . 21. La relation directe entre le droit fondamental au respect de la vie familiale et le droit au regroupement familial est spécifiquement reconnue par la directive 2003/86, au deuxième considérant, mentionné au point 7 ci-avant. 22. Dans ce contexte, la Cour a ainsi affirmé expressément que les dispositions de la directive 2003/86 doivent être interprétées à la lumière des droits fondamentaux et, plus particulièrement, du droit au respect de la vie familiale consacré tant par la CEDH que par la charte 9 . 23. La Cour a en outre relevé que la directive 2003/86, en particulier son article 4, paragraphe 1, impose aux États membres des obligations positives précises, auxquelles correspondent des droits subjectifs clairement définis, puisqu’elle leur impose, dans les hypothèses déterminées par la directive, d’autoriser le regroupement familial de certains membres de la famille du regroupant sans pouvoir exercer leur marge d’appréciation 10 . 24. Dans cette perspective, il ressort de la jurisprudence que l’autorisation du regroupement familial constitue la règle générale et que, partant, la faculté reconnue aux États membres par la directive 2003/86 de poser des conditions à l’exercice du droit au regroupement familial doit être interprétée de manière stricte 11 . 25. La Cour a en outre relevé que l’éventuelle marge de manœuvre reconnue aux États membres par les dispositions de la directive 2003/86 ne doit pas être utilisée par ceux-ci d’une manière qui porterait atteinte à l’objectif de la directive, qui est de favoriser le regroupement familial, et à l’effet utile de celle-ci 12 . 26. Par ailleurs, d’après la Cour, il ressort de l’article 17 de la directive 2003/86, lequel prévoit qu’en cas de rejet d’une demande de regroupement familial, [l]es États membres prennent dûment en considération la nature et la solidité des liens familiaux de la personne et sa durée de résidence dans l’État membre, ainsi que l’existence d’attaches familiales, culturelles ou sociales avec son pays d’origine , que les États membres sont soumis à une obligation d’individualisation de l’examen des demandes de regroupement 13 . 27. C’est à la lumière des principes susmentionnés, exprimés dans la jurisprudence, qu’il y a lieu de répondre à la demande de décision préjudicielle déférée par la juridiction de renvoi. B – Sur la question préjudicielle 28. Par sa question préjudicielle, la juridiction de renvoi demande, en substance, à la Cour de déterminer si l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 doit être interprété en ce sens qu’il fait obstacle à une réglementation nationale qui prévoit que l’âge minimal qu’aux termes de cette disposition, les États membres peuvent imposer au regroupant et à son conjoint aux fins du regroupement familial, doit nécessairement être atteint par chacune de ces personnes au moment du dépôt de la demande de regroupement familial. 29. La demande de décision préjudicielle tire son origine du fait que, d’une part, l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 n’indique pas expressément la date à laquelle le regroupant et son conjoint doivent avoir atteint l’âge minimal qui y est visé et, d’autre part, du fait que conformément à la réglementation autrichienne de transposition de cette directive, les autorités nationales compétentes peuvent rejeter une demande introduite avant que l’un ou les deux conjoints concernés ai en t atteint l’âge requis, même si toutes deux l’ont atteint à la date de l’adoption de la décision relative à la demande de regroupement familial. 30. La question soulevée dans la demande de décision préjudicielle soumise à la Cour par la juridiction de renvoi implique donc la précision de la date à laquelle, au sens de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86, l’âge minimal qui y est prévu, ne pouvant excéder 21 ans, doit être atteint. Il y a donc lieu de procéder à une interprétation de cette disposition. 1 Sur l’interprétation de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 31. Il découle d’une jurisprudence constante de la Cour qu’il y a lieu, pour l’interprétation d’une disposition de droit de l’Union, de tenir compte non seulement des termes de celle-ci, mais également de son contexte et des objectifs poursuivis par la réglementation dont elle fait partie 14 . Il y a donc lieu de procéder à une interprétation littérale, téléologique et systématique de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86. a Interprétation littérale 32. Dans l’ordonnance de renvoi, la juridiction nationale relève qu’il ressort manifestement du libellé même de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86, que cette disposition doit être comprise en ce sens que la date à laquelle l’âge minimal qui y est prévu doit être atteint est celle de l’octroi du titre de séjour par l’autorité compétente, et non celle du dépôt de la demande de regroupement familial. 33. Je partage l’analyse de la juridiction de renvoi selon laquelle le libellé de la disposition en question plaide en faveur d’une interprétation aux termes de laquelle la date pertinente d’atteinte de l’âge minimal ne saurait être celle du dépôt de la demande de regroupement familial. 34. En effet, dès lors que l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86, dans la version italienne, confère aux États membres la faculté d’imposer un âge minimal avant que 15 le conjoint ne puisse rejoindre le regroupant , cela implique que cet âge doit être atteint au moment où peut se réaliser le regroupement familial, c’est-à-dire au moment de l’acceptation par l’autorité compétente de la demande de titre de séjour pour regroupement familial. En effet, le regroupement peut avoir lieu uniquement à partir du moment où la demande a été acceptée, et non avant. 35. Une telle interprétation littérale de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86, dans sa version italienne, trouve confirmation dans les autres versions linguistiques de cette disposition. En effet, dans les versions franÇ aise, anglaise, allemande et espagnole de la disposition en question, il est également fait référence au fait que l’atteinte de l’âge minimal doit survenir avant que le regroupement puisse avoir lieu 16 , et non avant le dépôt de la demande 17 . Or une telle référence à la possibilité 18 de procéder au regroupement familial démontre que le moment pertinent est celui de l’acceptation de la demande. 36. L’interprétation littérale de la disposition porte donc à la conclusion que la date à laquelle le regroupant et son conjoint doivent avoir atteint l’âge minimal aux termes de la disposition en question est la date à laquelle le conjoint peut rejoindre le regroupant. Il s’ensuit que cette date ne peut coïncider avec la date de dépôt de la demande de regroupement familial, en ce que, comme l’a d’ailleurs relevé la juridiction de renvoi elle-même, à ce moment, le regroupement ne peut encore avoir lieu, dans l’attente de la nécessaire analyse de la part de l’autorité administrative compétente quant à l’existence des conditions d’éligibilité au regroupement familial. b Interprétation téléologique 37. La juridiction de renvoi note toutefois que l’interprétation téléologique de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 pourrait porter à un résultat différent. 38. En effet, cette juridiction relève qu’une interprétation de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86, en ce sens que la date à laquelle doit être atteint l’âge minimal qui y est prévu est celle du dépôt de la demande de regroupement familial, serait davantage susceptible de contribuer à l’atteinte de l’objectif de prévention des mariages forcés. En effet, la juridiction nationale estime que les risques de conclusion de mariages forcés seraient supérieurs s’il était permis aux époux d’avoir un âge inférieur à 21 ans au moment du dépôt de la demande, par rapport à l’hypothèse dans laquelle ceci ne serait pas possible. 39. Les gouvernements autrichien et hellénique partagent une telle approche et soutiennent qu’une interprétation de la disposition en question, en ce sens qu’il serait nécessaire d’atteindre l’âge de 21 ans dès la date de dépôt de la demande, non seulement permettrait de mieux remplir l’objectif de la prévention des mariages forcés, mais garantirait également le respect tant du principe d’égalité de traitement – en ce qu’elle permettrait un traitement identique de tous les demandeurs qui se trouveraient chronologiquement dans la même situation, rendant dépourvue de pertinence la circonstance que l’âge minimal pourrait être atteint au cours de la procédure – que du principe de sécurité juridique, en ce que les demandeurs seraient mis à l’abri de tout traitement discriminatoire éventuel de la part des autorités compétentes. 40. Or il ne fait aucun doute que la ratio fondamentale de l’introduction, par l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86, de la faculté de prévoir un âge minimal est d’éviter les mariages forcés. À cet égard, je considère qu’il est vraisemblable que, de manière générale, le fait d’être plus âgé peut comporter un niveau de maturité supérieur pouvant, en théorie, aider la personne concernée à résister aux pressions subies pour s’opposer au mariage forcé et éventuellement l’inciter à solliciter de l’aide. 41. Toutefois, j’estime que l’analyse tendant à établir si cela est véritablement le cas doit nécessairement être individualisée par rapport aux circonstances propres à chaque situation spécifique. En outre, je ne peux manquer de relever que dans la société civile européenne, des doutes ont été exprimés quant à l’incidence réelle de l’établissement d’un âge minimal pour l’autorisation au regroupement familial sur la prévention de l’avènement des mariages forcés 19 . 42. Il est certain, en revanche, que l’établissement d’un âge minimal aux fins du regroupement familial a une incidence directe sur l’exercice de ce droit par les jeunes époux dont le mariage est authentique et non forcé. En effet, une disposition telle que la disposition nationale en question, qui conformément à la directive 2003/86, soumet sans distinction et sans analyse individualisée l’exercice du droit au regroupement familial à l’atteinte d’un certain âge, empêche l’exercice de ce droit aux personnes qui se sont mariées sincèrement et de manière authentique, mais qui n’ont pas encore atteint l’âge minimal prévu. 43. Il ressort des considérations qui précèdent, dans le cadre de l’interprétation de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86, que l’objectif de prévention des mariages forcés, pour autant que légitime et opportun, doit être contrebalancé par le droit des couples mariés authentiquement d’exercer leur droit au regroupement familial, découlant directement du droit au respect de leur vie familiale consacré par l’article 8 de la CEDH 20 ainsi que par l’article 7 de la charte 21 . 44. En outre, il ressort de la jurisprudence mentionnée aux points 24 et 25, d’une part, que dans le système créé par la directive 2003/86, l’autorisation du regroupement familial constitue la règle générale et que, partant, les conditions que les États membres ont la faculté d’imposer à l’exercice de ce droit doivent être interprétées strictement et, d’autre part, que la directive elle-même doit être interprétée au regard de son objectif général qui est de favoriser, et non d’entraver, le regroupement familial ainsi que de manière à en garantir l’effet utile. 45. À la lumière de ces considérations, j’estime qu’une interprétation de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 qui imposerait d’attendre le vingt et unième anniversaire des époux pour introduire la demande de regroupement familial est moins conforme aux objectifs poursuivis par la directive qu’une interprétation de la même disposition qui permettrait, au contraire, d’introduire la demande avant l’atteinte de l’âge précité et d’obtenir le titre de séjour au cas où cet âge serait atteint au moment de l’adoption de la décision de l’administration sur la demande de regroupement familial. 46. En effet, cette seconde interprétation, tout en garantissant l’effet utile de la disposition tendant à la prévention des mariages forcés, est favorable au regroupement familial, en évitant une interprétation formaliste de la disposition qui en entraverait la réalisation. 47. Dans cette perspective, il me semble qu’il y a lieu d’écarter les arguments présentés par le gouvernement autrichien et le gouvernement hellénique s’agissant, respectivement, du principe d’égalité de traitement et de celui de sécurité juridique. En effet, le fait de permettre que l’âge minimal soit atteint également après le dépôt de la demande n’est pas susceptible de comporter, selon moi, une quelconque discrimination et ne crée aucune insécurité juridique. À cet égard, rappelons qu’en tout état de cause, conformément à l’article 5, paragraphe 4 de la directive 2003/86, les autorités compétentes sont tenues d’adopter la décision sur la demande de regroupement familial dès que possible, et en tout état de cause au plus tard neuf mois après la date du dépôt de la demande . L’établissement d’une limite temporelle au traitement de la demande élimine donc toute insécurité juridique. 48. Enfin, il y a lieu de relever que l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 prévoit explicitement un autre objectif aux fins duquel les États membres peuvent introduire un âge minimal à l’exercice du droit au regroupement familial, à savoir l’objectif d’assurer une meilleure intégration. Sur ce point, je relève toutefois que ni la juridiction de renvoi ni les intervenants qui ont présenté des observations devant la Cour n’ont pris position à ce sujet. Cela peut être dû au fait que dans le cadre de la disposition en question, cet objectif est perÇ u comme secondaire par rapport à celui de la prévention des mariages forcés. 49. Indépendamment de cela, je note à cet égard que l’idée sur laquelle repose un tel objectif semble être que l’intégration dans la société de l’État membre qui accueille le conjoint du regroupant peut être plus simple si le conjoint a atteint un niveau de maturité supérieur, dû au fait qu’il a atteint un certain âge. Sans qu’il soit nécessaire de prendre position sur cette possible finalité de la disposition, j’estime en tout état de cause que cela n’affecte en aucune manière la conclusion que l’interprétation de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 selon laquelle l’âge minimal peut être atteint au moment où le regroupement a lieu, et non au moment du dépôt de la demande, est davantage conforme à l’atteinte des objectifs généraux de la directive. 50. À cet égard, je relève également, d’une part, qu’une séparation prolongée entre membres de la famille est en réalité susceptible d’avoir des effets négatifs sur l’intégration, dès lors qu’une telle séparation est susceptible d’affecter les liens familiaux. D’autre part, et en tout état de cause, l’appréciation de la capacité d’intégration du conjoint du regroupant liée à l’âge ne peut avoir lieu indépendamment d’une analyse au cas par cas, telle que prescrite par l’article 17 de la directive, à la lumière de la jurisprudence citée au point 26. c Interprétation systématique 51. La lecture de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 qui résulte de l’interprétation littérale et téléologique développée aux paragraphes précédents est, selon moi, corroborée par l’interprétation systématique de cette disposition. 52. En effet, il y a tout d’abord lieu de relever qu’il ressort d’une lecture globale de la directive en cause que lorsque le législateur de l’Union a voulu se référer au moment du dépôt de la demande, il l’a fait de manière explicite. 53. Le paragraphe 6 du même article 4 de la directive 2003/86, qui suit immédiatement le paragraphe dans lequel se trouve la disposition faisant l’objet de l’interprétation dans la présente affaire, en constitue un premier exemple. Cette disposition, d’ailleurs, confère elle aussi aux États membres la faculté d’établir un âge, bien que maximal et non minimal, pour l’exercice du droit de regroupement familial. Dans ce paragraphe, le législateur de l’Union a prévu que dans certaines circonstances les États membres peuvent demander que les demandes concernant le regroupement familial d’enfants mineurs soient introduites avant que ceux-ci n’aient atteint l’âge de 15 ans 22 . 54. Force est donc de constater que dans ce paragraphe, contrairement au paragraphe précédent faisant l’objet de l’interprétation dans la présente affaire, le législateur de l’Union a explicitement mentionné que la limite d’âge doit être atteinte avant le moment du dépôt de la demande de regroupement familial. 55. Dans la même perspective, à l’article 7, paragraphe 1 de la directive 2003/86, en prévoyant que les États membres ont la faculté d’exiger de la personne concernée qu’elle fournisse la preuve d’une série de conditions relatives au regroupant, le législateur a fait explicitement référence au moment du dépôt de la demande de regroupement familial . 56. Il s’ensuit que si le législateur de l’Union avait voulu signifier que l’âge minimal prévu au paragraphe 5 de l’article 4 devait être atteint au moment du dépôt de la demande, il l’aurait indiqué spécifiquement dans la disposition elle-même. Puisqu’il ne l’a pas fait, il y a lieu de privilégier l’interprétation selon laquelle le moment auquel doit être atteint l’âge minimal ne coïncide pas avec le moment de dépôt de la demande, mais coïncide avec le moment auquel il peut être procédé au regroupement familial, à savoir le moment de l’acceptation de la demande. 57. Le gouvernement autrichien et le gouvernement hellénique soutiennent que l’atteinte de l’âge minimal prévu à l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 constitue une condition formelle du dépôt de la demande de regroupement familial. Le gouvernement hellénique soutient notamment que le moment auquel l’âge minimal doit être atteint pourrait être déduit de la disposition contenue à l’article 5, paragraphe 2 de la directive 2003/86, qui prévoit que la demande de regroupement familial doit être accompagnée de pièces justificatives prouvant les liens familiaux et le respect des conditions prévues, entre autres, à l’article 4 de la même directive. Or selon le gouvernement hellénique, il ressortirait du libellé de cette disposition que parmi les pièces devant être fournies à l’administration par le demandeur, doit figurer la preuve que l’âge minimal prévu à l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 a été atteint. 58. À cet égard, je remarque toutefois qu’il ne ressort d’aucune disposition de la directive 2003/86 que l’atteint de l’âge minimal prévu à l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 constitue une condition formelle du dépôt de la demande. Je ne vois notamment pas comment cela pourrait être nécessairement déduit de la disposition figurant à l’article 5, paragraphe 2 de la directive 2003/86, aux termes de laquelle la demande doit être accompagnée de la preuve du respect des conditions prévues à l’article 4. Cette disposition, lue en combinaison avec l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86, peut en effet – et à mon avis doit – être interprétée en ce sens que la demande doit être accompagnée de la preuve que l’âge minimal sera atteint au moment où le regroupement aura lieu. 59. Le gouvernement autrichien soutient également, ensuite, que dans la mesure où l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 ne spécifie pas expressément le moment où l’âge minimal doit être atteint, il laisse une marge discrétionnaire aux États membres, qui, conformément au principe d’autonomie procédurale, leur permet de le déterminer comme ils l’estiment le plus approprié. 60. Je relève à cet égard, d’une part, que l’on déduit des considérations élaborées aux précédents points 33 à 36 qu’en réalité, il ressort du libellé de la disposition en question que le moment auquel doit être atteint l’âge minimal doit être celui auquel le regroupement peut avoir lieu, ce qui exclut que ce moment soit celui du dépôt de la demande. 61. D’autre part, même à admettre que la disposition en question laisse aux États membres une marge discrétionnaire quant à la fixation du moment pertinent pour atteindre l’âge minimal, il ressort de la jurisprudence citée au précédent point 25 que, là où la directive 2003/86 reconnaît aux États membres une marge discrétionnaire, celle-ci ne doit pas être employée d’une manière qui porterait atteinte à l’objectif de la directive, qui est de favoriser le regroupement familial. 62. Or, à mon avis, une disposition qui permet d’adopter une décision de rejet d’une demande de regroupement familial au motif que l’âge minimal pour l’exercice du droit regroupement n’a pas été atteint au moment de l’introduction de la demande, alors que pourtant il l’a été au moment de l’adoption de cette décision, non seulement ne favorise pas le regroupement familial, mais y fait obstacle, et ce indépendamment du fait, mis en évidence par le gouvernement autrichien, que les époux peuvent postérieurement présenter une nouvelle demande de regroupement familial. d Conclusion 63. Il ressort de l’interprétation littérale, téléologique et systématique de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 que le moment auquel les États membres peuvent exiger que le regroupant et son conjoint aient atteint un âge minimal de 21 ans au plus, afin d’exercer leur droit regroupement familial, est le moment auquel ledit regroupement peut avoir lieu. Ce moment ne peut donc coïncider avec celui auquel la demande de regroupement familial est déposée auprès de l’administration compétente. Il s’ensuit qu’une réglementation telle que la réglementation nationale en cause dans l’affaire au principal, subordonnant l’accueil de la demande de regroupement familial à l’atteinte de l’âge minimal précité au moment du dépôt de la demande et qui permet ainsi aux autorités compétentes de la rejeter au motif que lors de son dépôt, l’âge en question n’était pas atteint, même s’il l’était au moment de l’adoption de la décision de rejet, est incompatible avec la disposition susmentionnée de la directive. 2 Sur la demande faite à la Cour de vérifier la validité de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86 64. Dans ses observations, Mme Noorzia demande à la Cour de vérifier la validité de l’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86. Elle soutient que la condition d’atteinte de l’âge minimal de 21 ans afin d’exercer le droit au regroupement familial, indépendamment du fait qu’elle doive être remplie à la date du dépôt de la demande ou à la date d’autorisation du regroupement, ne serait pas de nature à prévenir les mariages forcés. 65. À cet égard, il convient de rappeler que selon la jurisprudence constante de la Cour, il incombe exclusivement à la juridiction de renvoi de définir l’objet des questions qu’elle entend poser. Il appartient en effet aux seules juridictions nationales qui sont saisies du litige et qui doivent assumer la responsabilité de la décision juridictionnelle à intervenir d’apprécier, au regard des particularités de chaque affaire, tant la nécessité d’une décision préjudicielle pour être en mesure de rendre leur jugement que la pertinence des questions qu’elles posent à la Cour 23 . 66. Or, par sa question préjudicielle, la juridiction de renvoi vise uniquement à obtenir l’interprétation de l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86. Elle montre ne nourrir aucun doute quant à la validité de cette disposition et n’indique aucunement qu’une question de cette nature aurait été soulevée devant elle dans le cadre de l’affaire au principal. 67. Partant, l’article 267 TFUE ne constituant pas une voie de recours ouverte aux parties au litige pendant devant le juge national, la Cour ne saurait être tenue d’apprécier la validité du droit communautaire pour le seul motif que cette question a été invoquée devant elle par l’une de ces parties dans ses observations écrites 24 . Par conséquent, indépendamment des considérations figurant au précédent point 41, j’estime qu’il n’est pas nécessaire que la Cour examine la question de la validité de la disposition figurant à l’article 4, paragraphe 5 de la directive 2003/86, soulevée par Mme Noorzia. V – Conclusion 68. Pour les raisons qui précèdent, je suggère donc à la Cour de répondre comme suit à la question préjudicielle soulevée par le Verwaltungsgerichtshof L’article 4, paragraphe 5, de la directive 2003/86 relative au droit au regroupement familial fait obstacle à une disposition prévoyant que l’âge minimal que les États membres, aux termes de cette disposition, ont la faculté d’imposer au regroupant et à son conjoint afin que le regroupement familial puisse avoir lieu, doit nécessairement être atteint par chacun d’eux au moment du dépôt de la demande de regroupement familial, pour que celle-ci puisse être accueillie . * fonte http //curia.europa.eu/