Il sempre necessario presupposto della “doppia conformità” per gli interventi edilizi in sanatoria

Deve ricordarsi che l’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria, non potendosi affatto accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza medesima.

Tale approdo, che richiede la verifica della doppia conformità ”, deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità. E' quanto statuito dal Consiglio di Stato, sez. VI^, con la recentissima pronuncia n. 43/21, del 4 gennaio. L’articolata vicenda degli abusi. A seguito di sopralluogo, effettuato dalla Polizia Municipale del Comune di Pimonte, venivano accertate, in relazione ad interventi edilizi posti in essere dai privati proprietari, due irregolarità edilizie. Precisamente a interventi di cambio di destinazione d’uso , realizzati nel sottotetto di un immobile b costruzione di un vano ascensore esterno al fabbricato, costituito da una struttura di ferro e vetro blindato. Con ordinanza dirigenziale, veniva ingiunto ai proprietari la demolizione delle accertate opere abusive. L’ordinanza veniva impugnata al TAR Campania, sez. Napoli, il quale, con la sentenza sez. VII^ n. 5.110/2014, accoglieva parzialmente il ricorso. Venivano accolte le censure afferenti la contestata irregolarità del vano ascensore, sulla base della considerazione che l’intervento, richiesto invano dai proprietari, è da considerarsi come autorizzato, in base alla peculiare normativa regionale campana art. 4, L.R. n. 13/1989 , che contempla l’ipotesi dell’autorizzazione tacita per silentium . Viceversa, vengono respinte le censure relative al cambio di destinazione. Infatti, come puntualmente accertato, gli effettuati lavori hanno comportato un chiaro mutamento dello stato di fatto trasformazione dei prospetti del fabbricato apertura di nuovi vani tramite l’apertura di due lucernai nelle falde del tetto la creazione di un localino per alloggio caldaia la trasformazione della pensilina l’abbassamento del piano di calpestio del sottotetto per circa 0,80 metri con conseguente aumento dell’altezza dello stesso , dando luogo ad una inequivoca modifica della destinazione creazione di due nuove unità immobiliari ad uso residenziale, che dovevano essere preventivamente assentite con il rilascio di un permesso di costruire, come previsto dall’art. 10 d.P.R. n. 380/2001. La pronuncia del TAR Campania. Avverso l’indicata sentenza, i proprietari proponevano appello al Consiglio di Stato, contestando la mancata rilevazione, da parte del TAR, del fatto che gli interventi edilizi risultavano assentibili in base alla normativa urbanistica del Comune attualmente in vigore. Quindi, secondo gli appellanti, gli interventi erano autorizzabili a posteriori, poiché conformi alla Legge Regionale n. 15/2000 ed, in ogni caso, i medesimi risulterebbero sanabili in applicazione dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, aderendo all’orientamento di parte della giurisprudenza, secondo cui il sopravvenuto mutamento del regime urbanistico dell’area può dar luogo alla cd. sanatoria giurisprudenziale ” i cui presupposti risiedono nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera abusiva che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica vigente, dovrebbe essere successivamente autorizzata. Il Consiglio di Stato prende atto dell’impostazione teorica, posta in essere dagli appellanti e principia la sua analisi evidenziando che gli interventi, al momento della loro concreta realizzazione, erano privi di qualsivoglia titolo autorizzativo. Dunque, l’Amministrazione, una volta accertata l’irregolarità degli interventi, per carenza del titolo edilizio legittimante, correttamente ha proceduto alla repressione degli abusi. Ciò, dal momento che il Comune, al momento dell’accertamento dell’irregolarità edilizia, deve solo applicare la prevista normativa repressiva” e non deve valutare l’eventuale legittimità sostanziale delle opere, in rapporto al regime dell’area alla quale accedono. Infatti, l’art. 31 d.P.R.n. 380/2001 è ben chiaro nell’imporre al Comune di reprimere l’abuso , senza alcuna valutazione di sanabilità, dal momento che l’art. 36 rimette all’esclusiva iniziativa del privato, proprietario dell’area, l’eventuale attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica. Chiarito questo essenziale punto, i giudici amministrativi di appello esaminano la delicata questione della cd. sanatoria giurisprudenziale”. La cd. sanatoria giurisprudenziale”. Al riguardo, occorre ricordare che, al fine di poter regolarizzare la realizzazione di immobili senza il necessario titolo edilizio, il già citato art. 36 d.P.R. n. 380/2001 prevede la possibilità di richiedere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Siffatta disposizione dispone che, in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire o in difformità da esso, oppure in assenza di segnalazione certificata di inizio attività SCIA , nelle ipotesi di cui all’art. 23, comma 1, il responsabile dell’abuso edilizio, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento di presentazione della domanda per il rilascio del titolo c.d. doppia conformità . È necessario segnalare come il citato articolo 36 non sia stata la prima disposizione normativa a prevedere tale sistema sanante. Infatti, già l’articolo 13 della legge n. 47/1985 contemplava espressamente la possibilità di sanare opere realizzate in assenza del titolo formale richiesto per la loro esecuzione oppure nei casi di variazioni essenziali e di difformità totale o parziale. La ratio di tale istituto è quella di consentire la sanatoria degli abusi meramente formali , cioè delle opere per le quali, sussistendo ogni altro requisito di legge e regolamento, manchi solo il titolo edilizio indicativo dell’assenso dell’amministrazione. Per il rilascio del permesso in sanatoria è richiesto, quale presupposto fondamentale ed assolutamente inderogabile, che l’opera abusiva sia, come già detto, conforme alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento sia al momento della presentazione della domanda. Inoltre, il rilascio del titolo in sanatoria è subordinato al pagamento di una somma di denaro determinata, per le opere soggette a permesso oneroso, in misura doppia al contributo di costruzione dovuto per il rilascio del titolo in via ordinaria. Invero, occorre segnalare la sussistenza di un oramai vetusto orientamento giurisprudenziale minoritario che ha cercato di mitigare gli effetti della rigorosa applicazione del requisito della doppia conformità, coniando l’istituto pretorio della c.d. sanatoria giurisprudenziale . Ad avviso di tale orientamento, sarebbe consentita la sanabilità di un’opera, anche se abusivamente realizzata, qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al solo momento del rilascio del titolo abilitativo. Il Consiglio di Stato, sez. VI^, nell’oramai lontana pronuncia n. 2.835/2009, ha affermato che La sanatoria edilizia di opere abusive può ben intervenire anche a seguito di conformità sopraggiunta dell’intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell’interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all’originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia sarebbe infatti palesemente irragionevole negare una sanatoria per interventi che sono legittimamente assentibili al momento della nuova istanza in precedenza, anche CdS, sez. V^, n. 1.796/2005 . Alla base di tale indirizzo, vi è la considerazione, secondo cui la doppia conformità determinerebbe l’imposizione di una duplice attività edilizia , prima demolitoria e poi identicamente riedificatoria. Ciò, secondo tale prospettazione, non avrebbe senso perché darebbe luogo ad un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con la conseguenza, contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale. In buona sostanza, tale indirizzo cerca di trovare spazio argomentativo nella considerazione di non imporre la gravosa demolizione di un’opera prima di ottenere il titolo per realizzarla nuovamente. Tuttavia, siffatta costruzione giurisprudenziale è stata ampiamente sconfessata dalla giurisprudenza successiva Tar Toscana, sez. III^, n. 263/2011 Tar Puglia, sez. Lecce III^, n. 699/2012 Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia n. 242/2012 etc. , in quanto svuoterebbe di significato la previsione e la ratio genitrice della norma sull’accertamento di conformità e, conseguentemente, del requisito, previsto dalla legge statale, della doppia conformità delle opere. E’ stato correttamente osservato che l’istituto della cd. Sanatoria giurisprudenziale non può trovare alcuna cittadinanza nell’ordinamento giuridico, in quanto questo è contrassegnato dai principi di legalità dell’azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla Pubblica Amministrazione. Senza trascurare il fatto che il medesimo istituto potrebbe strumentalmente sollecitare pericolose ed illecite iniziative di variazione dei Piani Regolatori, al fine di offrire copertura” ad irregolarità edilizie già consumate. L’orientamento oramai granitico. Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in esame, è pienamente consapevole del dibattito ora illustrato ed aderisce all’orientamento ampiamente maggioritario e divenuto oramai granitico. Infatti, i Giudici evidenziano che - il citato articolo 36 è ben chiaro nell’esigere il requisito della cd. doppia conformità” - non vi è traccia nella legislazione nazionale di disposizioni normative contrastanti o diverse dall’articolo 36 - la sanatoria giurisprudenziale” costituisce l’esito di un’isolata e risalente impostazione. Invero, i giudici amministrativi di appello conducono la loro analisi, trovando fertile linfa argomentativa in un’importante statuizione della Corte Costituzionale, secondo la quale la necessaria verifica della doppia conformità” deve essere considerata quale principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità Corte Costituzionale n. 232/2017 . In siffatta pronuncia, il Giudice delle leggi è intervenuto nel censurare l’iniziativa del Legislatore regionale Siciliano L.R. Sicilia n. 16/2016 , il quale sostanzialmente tentò di aggirare il principio di doppia conformità e giungere ad una sorta di nuova sanatoria”, fondata sulla sola conformità dell’intervento al momento della presentazione dell’istanza. Infatti, la Corte Costituzionale ha ben ricordato i seguenti principi invalicabili della materia - la disciplina dell’accertamento di conformità attiene al governo del territorio - spetta al Legislatore statale la scelta sull’ an , sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni - le Regioni ad autonomia speciale, anche laddove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia penale e di quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di grande riforma”, come nel caso del titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 10 dicembre 2020 – 4 gennaio 2021, n. 43 Presidente Montedoro – Estensore Lamberti Fatto e diritto 1 - Gli appellanti sono proprietari dell’immobile sito in Pimonte, alla via omissis n. omissis fg. omissis , particella n. omissis , originariamente composto da un piano terra, un primo e secondo piano oltre al tetto di copertura servito da scala, nonché una terrazza al primo piano. 2 - A seguito di sopralluogo della Polizia Municipale, si è accertato che nei locali sottotetto dell’immobile sono stati eseguiti interventi abusivi finalizzati mediante cambio di destinazione, alla realizzazione di due appartamenti” e la costruzione abusiva di un vano ascensore esterno al fabbricato, costituito da una struttura di ferro e vetro blindato”. Con l’ordinanza n. 129 del 13.11.2007, il Comune di Pimonte ha ingiunto agli appellanti la demolizione delle opere abusive. 3 - Tale provvedimento è stato impugnato avanti il T.A.R. per la Campania che, con la sentenza n. 5110/2014, ha accolto il ricorso per quanto attiene al motivo diretto a contestare la pretesa abusività del vano ascensore lo ha invece rigettato in relazione alla contestazione dell’abusività del mutamento di destinazione d’uso del sottotetto. 4 – Con il primo motivo di appello avverso tale pronuncia si deduce la mancata rilevazione da parte del T.A.R. del fatto che gli interventi contestati risultano assentibili in base alla normativa urbanistica del Comune di Pimonte attualmente in vigore. Secondo parte appellante, per quanto attiene all’intervento di cambio di destinazione d’uso del sottotetto a quest’ultimo è autorizzabile a posteriori, poiché conforme alla Legge Regionale n. 15/2000 b seppur tale legge richiede il permesso di costruire, e nonostante l’intervento realizzato sia privo di titolo abilitante, lo stesso sarebbe sanabile in applicazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 c pertanto, sarebbe illegittimo averne disposto la demolizione, dovendosi applicare l’orientamento della giurisprudenza secondo cui il sopravvenuto mutamento del regime urbanistico dell’area può dar luogo alla cd. sanatoria giurisprudenziale” i cui presupposti risiedono nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera abusiva che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice presentazione di un’istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di attività inutili. 4.1 - Con riguardo all’intervento relativo alla realizzazione del balcone lungo il prospetto ovest del fabbricato, lo stesso risulta conforme allo strumento urbanistico vigente, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 4 delle N.T.A. allegate al PRG attualmente in vigore, ha una funzione accessoria esterna rispetto alla superficie del solaio, di cui risulta mera pertinenza. 4.2 - Quanto al vincolo paesaggistico esistente ai sensi della L.R. n. 35/87, i suddetti interventi risultano conformi alle prescrizioni imposte dal PUT per la zona di riqualificazione insediativa ed ambientale, consistendo in mere opere di riqualificazione architettonica della struttura residenziale preesistente, realizzate in materiali compatibili, anche sotto il profilo estetico, con il paesaggio circostante. 4.3 – Parte appellante rileva inoltre che, con il decreto n. 89 del 5/01/2012, il Presidente della Provincia di Napoli ha approvato definitivamente il nuovo P.R.G. del Comune di Pimonte, adeguandolo al PUT della penisola sorrentina di cui alla L.R. n 35/87 pertanto, sarebbe venuto meno il presupposto principale sul quale risulta fondata l’ordinanza di demolizione e cioè il divieto di rilascio di nuovi permessi di costruire, di cui all’art. 5 della L.R. 35/1987. 5 - La censura è inammissibile ed in ogni caso infondata. Sotto il primo profilo, deve evidenziarsi come la prospettazione di parte appellante non sia compiutamente rinvenibile nei motivi di ricorso di primo grado, da cui l’inammissibilità della sua deduzione in questa sede di appello, in quanto in violazione dell’art. 104 c.p.a. Come noto, non possono essere proposti in sede di appello nuovi motivi di ricorso cfr. Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26 Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1972, n. 8 . Pertanto, non sono ammissibili nuove censure contro gli atti già impugnati, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio, in quanto la novità dei motivi equivale ad una domanda nuova cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2977 . 5.1 – La censura è in ogni caso manifestamente infondata sotto plurimi profili. In primo luogo, deve rilevarsi come sia incontestato che il provvedimento impugnato trova fondamento nel fatto che gli interventi eseguiti sull’immobile degli appellanti sono privi di un titolo che li autorizzi. Tale circostanza è sufficiente a giustificare l’ordinanza di demolizione, essendo del tutto irrilevante la prospettata conformità sostanziale delle opere alla disciplina edilizia. Al riguardo, deve precisarsi come, alla luce della disciplina vigente, non sia in alcun modo ravvisabile un principio in base al quale, prima di disporre la demolizione, l’amministrazione debba valutare la conformità sostanziale dell’immobile al regime urbanistico dell’area. La eventuale legittimità sostanziale delle opere, in rapporto al regime dell’area alla quale accedono, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria, non potendosi gravare l’amministrazione dell’onere di valutare d’ufficio tale eventualità. Tanto si evince dall’art. 31 e dall’art. 27 d.P.R. n. 380/2001, che impongono all’amministrazione comunale di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dall’art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica. 5.2 – Quanto all’incidenza dell’istanza di sanatoria sull’ordinanza di demolizione, il T.A.R. ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza più recente, secondo cui la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso non vi è dunque un’automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia Cfr. Cons. St. 2681/2017, Cons. St. 1565/2017, Cons. St. 1393/2016, Cons. St. 466/2015, Cons. St. 2307/2014 . 5.3 – Infine, seppur ogni profilo circa la conformità sostanziale degli interventi alla disciplina urbanistica applicabile esuli del presente giudizio, che non ha ad oggetto la sanatoria delle opere, contrariamente alla tesi di parte appellante, deve ricordarsi che l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria cfr. Cons. St., sez. VI, 3194/2016 Cons. St., sez VI, 5 giugno 2015 n. 2784 Cons. St., sez IV, 26 aprile 2006, n. 2306 Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101 , non potendosi affatto accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza cfr. Cons. St., sez. VI, 3194/2016 Cons. St., sez VI, 5 giugno 2015 n. 2784 Cons. St., sez IV, 26 aprile 2006, n. 2306 Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101 . Tale approdo che richiede la verifica della doppia conformità” deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” cfr. Corte Cost. n. 232 del 2017 . Le considerazioni che precedono comportano anche il rigetto del secondo motivo di appello, le cui censure devono ritenersi sostanzialmente irrilevanti, stante la pacifica esecuzione dei lavori innanzi descritti senza la prescritta autorizzazione. 6 - Con il secondo motivo di appello, si critica la valutazione del T.A.R. circa l’asserita creazione di nuovi volumi e la trasformazione dei prospetti che sarebbero conseguiti dall’apertura di due lucernai nelle falde del tetto, dall’abbassamento del piano di calpestio e dalla trasformazione della pensilina. In particolare, l’appellante critica la scelta del giudice di primo grado di aver posto a giustificazione del rigetto del primo motivo di ricorso proposto dagli attuali appellanti quanto è stato rilevato in data 10/12/2013 dai vigili urbani in un verbale di cinque anni successivo rispetto alla adozione dell’ingiunzione a demolire. 7 – Oltre alle considerazioni già svolte, in riferimento alla specifica censura deve osservarsi come non sia affatto censurabile l’aver utilizzato a fini probatori il verbale degli agenti comunali del 10.12.2013, il quale non costituisce affatto un provvedimento finalizzato ad integrare la motivazione del provvedimento precedentemente impugnato, trattandosi invece di un atto di accertamento, con il quale è stata descritta la situazione di fatto dell’immobile alla data ivi indicata e, pertanto, legittimamente utilizzabile come elemento di prova nel presente giudizio. 7.1 - Nel merito, devono trovare piena conferma le considerazioni svolte dal T.A.R., secondo cui i lavori eseguiti in assenza di titolo hanno comportato la trasformazione dei prospetti del fabbricato e l’apertura di nuovi vani tramite l’apertura di due lucernai nelle falde del tetto, la creazione di un localino per alloggio caldaia, la trasformazione della pensilina, l'abbassamento del piano di calpestio del sottotetto per circa 0,80 metri con conseguente aumento dell'altezza dello stesso”. E’ dunque evidente che le opere hanno integrato anche la creazione di nuovi volumi sul terrazzino, l’aumento del volume del sottotetto grazie all’abbassamento del piano di calpestio e la creazione di due nuove unità immobiliari ad uso residenziale, oltre alla modifica del prospetto esterno. Risulta inoltre corretta la conclusione secondo cui tale tipo di lavori avrebbe dovuto essere realizzato previa l’acquisizione di un idoneo titolo edilizio, stante il disposto di cui all’art. 10 del DPR 380/2001, secondo cui sono soggetti a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, come nella fattispecie in esame, un aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici. 7.2 – Essendo pacifica la modificazione della destinazione d’uso del sottotetto, reso abitativo con la creazione di due appartamenti, per scrupolo, deve precisarsi che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con l’ovvia conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d’uso che alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità, che deve essere rilevata dall’amministrazione nell’esercizio del suo potere di vigilanza cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 6562/18 . Anche la giurisprudenza penale ha chiarito che il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia ciò in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente cfr. Cass. Pen. n. 6873 del 2017 . 8 – Per le ragioni esposte, l’appello non deve trovare accoglimento. Stante la mancata costituzione in giudizio del comune, non è necessario provvedere sulle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta respinge l’appello. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.