Vietato negare ipso iure la naturalizzazione dello straniero per una vecchia condanna per guida alterata

Una pregressa vecchia condanna ad una pena pecuniaria per guida sotto effetto di stupefacenti, ai sensi dell’art. 187, comma 1, d.lgs. n. 285/92, non può giustificare un rifiuto ipso iure di riconoscere la cittadinanza per naturalizzazione ex art. 9, comma 1, lett. f , l. n. 92/91. Devono essere valutate tutte le circostanze del caso, in primis l’intervenuta pronuncia di riabilitazione, prima di escludere l’inserimento sociale o l’adesione ai valori della Repubblica del richiedente, perché ciò costituirebbe una forma di automatismo ostativo mascherato” da una motivazione stereotipa .

E’ quanto deciso dal Consiglio di Stato, sez. III, numero 1837 depositata il 20 marzo 2019. Il caso. Il ricorrente è un cittadino iracheno titolare di un permesso di soggiorno di durata illimitata quale soggiornante di lungo periodo nell’UE. L’8 aprile 2015 ha presentato istanza per ottenere la cittadinanza per naturalizzazione ex art. 9, comma 1, L. numero 92/91, ma gli è stata automaticamente negata perché già condannato per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope art. 187, comma 1, d.lgs. numero 385/1992 ad un’esosa pena pecuniaria. Nel 2016 il Tribunale di sorveglianza di Firenze con l’ordinanza numero 456/16 lo aveva riabilitato. Il Viminale aveva fondato il rifiuto in modo meccanicistico, a fronte del fatto storico di reato e nonostante la intervenuta riabilitazione su un complesso di fatti e comportamenti, tenuti dal richiedente nel decennio antecedente questa istanza, che lo denotavano come inaffidabile e ne escludevano l’integrazione sociale. Il TAR Lazio 9862/18, introducendo motivazioni postume, non presenti nel provvedimento ministeriale, aveva notato che il reato di guida in stato di ebbrezza effettivamente provoca un forte allarme sociale ed è, pur se non grave con riferimento alla pena edittale, connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato nonché posto a tutela anticipata della pubblica incolumità . Aver guidato ubriachi o drogati non legittima l’automatico rifiuto della cittadinanza. In primis il reato di guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope non rientra tra i reati ostativi alla concessione della cittadinanza ex art. 6 L. numero 92/91, perciò era necessaria una valutazione dei fatti e delle circostanze sottese alla fattispecie prima di rigettare la richiesta del ricorrente. Inoltre la prassi della Cassazione penale Cass. Penumero , numero 54018/18 se da un lato riconosce in questo reato una situazione pericolosa con conseguente offesa alla vita ed all’incolumità personale, dall’altro ne prevede la non punibilità per fatti di tenue gravità. Si deve tenere conto anche dell’intervenuta riabilitazione che elimina le conseguenze civili del reato ed attesta il ravvedimento di una persona, anche se non è una condizione per l’automatica concessione della cittadinanza, eliminandone, però, i vincoli ostativi Cass. Penumero , numero 31089/09 e Cons. St. numero 4686/18 . In breve la PA, pur nella sua discrezionalità, è tenuta a valutare tutti i fatti e le circostanza del caso nel suo complesso, senza desumere in modo automatico il disvalore morale od una pericolosità sociale per il nostro ordinamento sulla base di astratte tipologie di reato o pericolosità, benché la sua valutazione sia finalizzata a scopi autonomi e diversi da quella del giudice penale che ha concesso la riabilitazione del condannato, non per questo essa può esimersi da una considerazione in concreto del fatto, delle sue modalità, del suo effettivo disvalore come anche della personalità del soggetto . Non si può pretendere da uno straniero un grado di irreprensibilità morale od impeccabilità sociale, superiore a quelli richiesti mediamente alla collettività nazionale in un dato momento storico. I motivi del diniego automatico perciò costituiscono una motivazione illecita e stereotipata perché basata su criteri aprioristici ed antistorici. Sei cittadino se aderisci ai valori della Repubblica. Il Consiglio di Stato, perciò, invita il Ministero dell’Interno a rivalutare, alla luce di questi parametri, il caso negando la cittadinanza al ricorrente/richiedente solo se nel complesso, della sua condotta di vita, della sua permanenza sul territorio nazionale, dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa, e di tutti gli elementi ritenuti rilevanti a tal fine, non denoti una mancata adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento giuridico, a cominciare dal principio personalistico e da quello solidaristico, compendiati nel valore, posto al vertice dell’ordinamento , della dignità umana v., sul punto, Corte Cost. numero 258/2017, proprio in materia di giuramento reso dallo straniero disabile per ottenere la cittadinanza . Solo se infatti lo straniero riconosce questi fondamentali valori dell’ordinamento come propri, l’ordinamento, correlativamente, può riconoscerlo come cittadino, secondo un rapporto di mutuo riconoscimento .

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 21 febbraio – 20 marzo 2019, n. 1837 Presidente Lipari – Estensore Noccelli Fatto e diritto 1. L’odierno appellante, cittadino iracheno nato a omissis il omissis , è titolare di un permesso di soggiorno N. omissis , di durata illimitata, quale soggiornante di lungo periodo UE. 1.1. In data omissis egli ha presentato una istanza di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f , della l. n. 92 del 1991, e, nell’inerzia del Ministero dell’Interno, ha proposto un ricorso ai sensi dell’art. 117 c.p.a. avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, iscritto al R.G. n. omissis e attualmente pendente per la pronuncia sulle spese . 1.2. Il omissis egli ha ricevuto una comunicazione, ai sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, in quanto condannato per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope art. 187, comma 1, d. lgs. 30.4.1992 n. 385 . 1.3. Con il successivo decreto del Ministero dell’Interno del 22 maggio 2018, notificato il 31 maggio 2018, l’istanza è stata respinta. 2. Avverso tale provvedimento l’interessato ha proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, articolando tre distinti motivi di ricorso, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con il conseguente annullamento del decreto impugnato. 2.1. Nel primo grado del giudizio non si è costituito il Ministero dell’Interno. 2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 9862 del 10 ottobre 2018 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha respinto il ricorso e ha revocato l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato per la manifesta infondatezza della domanda. 3. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con il conseguente annullamento del decreto impugnato in prime cure. 3.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno, odierno appellato, per chiedere la reiezione del gravame. 3.2. Nella camera di consiglio del 21 febbraio 2019, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, sentiti i difensori delle parti e dato l’avviso di cui all’art. 60 c.p.a., ha trattenuto la causa in decisione, ritenendola matura per una eventuale definizione con sentenza in forma semplificata. 4. L’appello deve essere accolto. 5. Il decreto ministeriale oggetto del presente giudizio, che ha respinto la domanda volta ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f , della l. n. 92 del 1991, si fonda sulla condanna alla pena pecuniaria – l’ammenda di € 3.078,00 – irrogata per un risalente episodio di guida in stato di alterazione dovuta all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, ai sensi dell’art. 187, comma 1, del d. lgs. n. 285 del 1992, rispetto alla quale è intervenuta, da parte del Tribunale della sorveglianza di Firenze, una pronuncia di riabilitazione ord. n. omissis , sub doc. omissis parte ricorrente in primo grado . 5.1. Nella sentenza qui impugnata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, ha osservato che il reato di guida in stato di ebbrezza effettivamente provoca un forte allarme sociale ed è, pur se non grave con riferimento alla pena edittale, connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato nonché posto a tutela anticipata della pubblica incolumità . 5.2. Si tratta, però, di una motivazione postuma, del tutto assente nel provvedimento ministeriale, che non fa alcun cenno al particolare disvalore di tale condotta rispetto ai principî fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della incolumità pubblica, ma si è limitato solo a constatare in modo meccanicistico, a fronte del fatto storico di reato e nonostante la intervenuta riabilitazione, la mancata coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana sul rilievo che la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale desumibile da un complesso di situazioni e comportamenti, posti in essere nel corso della permanenza nazionale – e, in particolare, nel decennio anteriore alla data di presentazione della domanda – idonei a fondare l’opportunità della concessione del nuovo status civitatis . 5.4. Quale sia questo complesso di situazioni e comportamenti , tuttavia, non è dato desumere dal provvedimento ministeriale, a fronte, soprattutto, degli elementi rappresentati in sede procedimentale dall’odierno appellante, che ha rappresentato di vivere da lunghi anni in Italia perfettamente integrato nel tessuto sociale, senza che tali elementi siano stati valutati e bilanciati expressis verbis nel provvedimento ministeriale. 5.5. Occorre osservare, anzitutto, che la fattispecie dell’art. 187, comma 1, del d. lgs. n. 285 del 1992 – c.d. codice della strada – non rientra in alcune delle ipotesi ostative di cui all’art. 6, comma 1, della l. n. 92 del 1991 ed è pertanto necessaria una valutazione in concreto del fatto di reato. 5.6. Al di là del suo valore postumo, la motivazione della sentenza impugnata, nella sua rigidità preclusiva, non è peraltro condivisibile nemmeno nel merito, quanto alla concreta valutazione di tale fatto v. già, nello stesso senso, Cons. St., sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1037 , perché la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope, pur costituendo una condotta illecita rispettivamente sanzionata a livello contravvenzionale dagli artt. 186 e 187 del codice della strada, non può ritenersi in sé ostativa al riconoscimento della cittadinanza, soprattutto ove sia intervenuta riabilitazione, se la condotta, per le concrete modalità della condotta e per tutte le circostanze del caso, non denoti un effettivo sprezzo delle più elementari regole di civiltà giuridica, ma costituisca un isolato episodio, non ascrivibile a deliberato, pervicace, atteggiamento antisociale o ad una ostinata, ostentata, ribellione alle regole dell’ordinamento. 6. Sul punto non si può non ricordare, in conformità all’orientamento assunto dalla Suprema Corte in relazione alla fattispecie dell’art. 186 del d. lgs. n. 285 del 1992 con ragionamento estensibile, però, anche alla successiva fattispecie contravvenzionale dell’art. 187 , che la condotta della guida in stato di ebbrezza – o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti – è tratteggiata in modo categoriale nel senso che il legislatore individua i comportamenti contrassegnati – alla stregua di informazioni scientifiche o di comune esperienza – dall’attitudine ad aggredire il bene giuridico che si trova sullo sfondo, da individuare nella vita e nell’integrità personale Cass. pen., sez. IV, 3 dicembre 2018, n. 54018 . 6.1. Una volta accertata la situazione pericolosa tipica e l’offesa ad essa sottesa, però, resta sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inserisce e, di conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole. 6.2. La stessa Suprema Corte ne ha tratto la conclusione che la causa di non punibilità del fatto particolarmente tenue, ora prevista dall’art. 131-bis c.p., sia applicabile anche alla contravvenzione prevista dall’art. 186 del codice della strada Cass. pen., sez. IV, 3 dicembre 2018, n. 54018 . 6.3. Non può dunque la pubblica amministrazione, nel denegare il riconoscimento della cittadinanza per naturalizzazione richiesto ai sensi dell’art. 9 della l. n. 92 del 1991, fondare il proprio giudizio di mancato inserimento sociale sull’astratta tipologia del reato – la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope – e sulla sua pericolosità, astratta o presunta, senza apprezzare tutte le circostanze del fatto concreto e, benché la sua valutazione sia finalizzata a scopi autonomi e diversi da quella del giudice penale che ha concesso la riabilitazione del condannato, non per questo essa può esimersi da una considerazione in concreto del fatto, delle sue modalità, del suo effettivo disvalore come anche della personalità del soggetto. 6.4. La riabilitazione del resto, come questa Sezione ha ricordato v. Cons. St., sez. III, 30 luglio 2018, n. 4686 , comporta l’accertamento del completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione ove possibile delle conseguenze civili del reato Cass. pen., sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089 . 7. Questa Sezione ha ribadito però, e per altro verso, che la riabilitazione da parte del giudice penale, pur eliminando quell’elemento ostativo previsto dall’art. 6 della l. n. 91 del 1992 qui peraltro, come detto, nemmeno astrattamente ravvisabile per non essere la contravvenzione di cui all’art. 187, comma 1, del d. lgs. n. 285 del 1992 ricompresa tra le ipotesi necessariamente ostative , non comporta però, per altro verso, alcun automatismo circa l’ottenimento della cittadinanza, poiché lascia sempre in capo alla pubblica amministrazione la decisione discrezionale inerente alla concessione della cittadinanza. 7.1. Ciò in quanto, come più volte pure sottolineato da questa stessa Sezione nella sua costante giurisprudenza, il mutamento dello status civitatis è un fatto di rilevante importanza pubblica e, pertanto, i requisiti di cui all’art. 9 della l. n. 91 del 1992, da leggere in combinato con gli elementi ostativi dell’art. 6, per quanto necessari, non risultano tuttavia da soli sono sufficienti. 7.2. Detti requisiti infatti, oltre a non essere sufficienti, non costituiscono nemmeno una presunzione di idoneità al conseguimento dell’invocato status v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 13 novembre 2018, n. 6374 . 8. L’amministrazione, nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell’art. 9 della l. n. 91 del 1992, è chiamata insomma ad effettuare una delicata valutazione in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società, ma non può limitarsi, pur nel suo ampio apprezzamento discrezionale, ad un giudizio sommario, superficiale ed incompleto, ristretto alla mera considerazione di un fatto risalente, per quanto sanzionato penalmente, senza contestualizzarlo all’interno di una più ampia e bilanciata disamina che tenga conto dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa, del suo reale radicamento al territorio, della sua complessiva condotta che, per quanto non totalmente irreprensibile sul piano morale, deve comunque mostrare, perlomeno e indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento, di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. 8.1. Se si prescinde dalle ipotesi ostative al riconoscimento della cittadinanza, contemplate dall’art. 6 della l. n. 92 del 1991, non è possibile però esigere dallo straniero, per riconoscergli la cittadinanza, un quantum di moralità superiore a quella posseduta mediamente dalla collettività nazionale in un dato momento storico, sicché il giudizio sulla integrazione sociale dello straniero richiedente la cittadinanza italiana, sebbene debba tenere conto di fatti penalmente rilevanti, non può ispirarsi ad un criterio di assoluta irreprensibilità morale, nella forma dello status illesae dignitatis, o di impeccabilità sociale, del tutto antistorico prima che irrealistico e, perciò, umanamente inesigibile da chiunque, straniero o cittadino che sia. 8.2. Un simile criterio, nella sua aprioristica purezza e in una visione eticizzante dello Stato portatore di una morale superiore ed escludente, implicherebbe l’impossibilità di ottenere la cittadinanza per il sol fatto di avere compiuto un reato, anche se non avente una concreta – concreta, si noti, e non meramente astratta o presunta – carica di disvalore morale o di pericolosità sociale per l’ordinamento giuridico. 8.3. Si verrebbe a realizzare, in questo modo, un irragionevole chiusura della collettività nazionale all’ingresso di soggetti che, pur avendo tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza, si vedono privare di questo legittimo interesse, attinente anche all’esercizio di diritti fondamentali, in assenza di un effettivo, apprezzabile, interesse pubblico a tutela della collettività, e per mere fattispecie di sospetto in danno dello straniero. 8.4. Se tutto ciò è vero, pertanto, il Ministero dell’Interno dovrà rivalutare se il comportamento dell’odierno appellante, per le concrete modalità del fatto contravvenzionale in ordine al quale è intervenuta riabilitazione, sia concretamente indice di un mancato inserimento sociale e, quindi, di una compiuta integrazione nella comunità nazionale o se, al contrario, simile comportamento, tenuto conto, nel complesso, della sua condotta di vita, della sua permanenza sul territorio nazionale, dei suoi legami familiari, della sua attività lavorativa, e di tutti gli elementi ritenuti rilevanti a tal fine, non denoti una mancata adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento giuridico, a cominciare dal principio personalistico e da quello solidaristico, compendiati, nel valore posto al vertice dell’ordinamento , della dignità umana v., sul punto, Corte cost., 7 dicembre 2017, n. 258, proprio in materia di giuramento reso dallo straniero disabile per ottenere la cittadinanza . 8.5. Solo se infatti lo straniero riconosce questi fondamentali valori dell’ordinamento come propri, l’ordinamento, correlativamente, può riconoscerlo come cittadino. 8.6. Ma, ove ciò avvenga, proprio quel valore della persona umana richiamato dalla Corte, nello straniero richiedente la cittadinanza e avente tutti i requisiti per ottenerla, non può essere avvilito solo per una malintesa, e comunque immotivata, concezione etica dello Stato, che fonda un surrettizio automatismo preclusivo in presenza di qualsivoglia condanna, anche ove per essa sia intervenuta da anni addirittura la riabilitazione. 9. Una valutazione in concreto della adesione dello straniero ai valori dell’ordinamento, per le ragioni viste, è mancata nel decreto ministeriale qui impugnato, che si è limitato a fare applicazione di un automatismo preclusivo a fronte di una condotta che, per quanto penalmente rilevante, è stata oggetto di prognosi favorevole da parte del giudice penale, con la conseguente riabilitazione del condannato, senza considerare se tale condotta, tenendo conto di tutti gli elementi rappresentati dal richiedente, denotasse effettivamente uno scarso inserimento sociale e, quindi, una compiuta integrazione nella comunità nazionale nei sensi appena delineati. 9.1. La mancata integrazione nella comunità nazionale non può certamente essere desunta solo dalla tipologia del reato, non rientrante tra le fattispecie delittuose ostative previste dall’art. 6, comma 1, della l. n. 91 del 1992, poiché una simile valutazione integrerebbe una forma di automatismo ostativo mascherato” da una motivazione stereotipa. 10. La Sezione ha già chiarito, in casi analoghi al presente, che la valutazione discrezionale sull’integrazione dello straniero nel tessuto sociale della Repubblica deve certo tener conto anche degli illeciti penali da questo commessi nel periodo in cui egli dimora in Italia, ma non può legittimamente prescindere da un giudizio globale sulla di lui personalità e, soprattutto, dal giudizio sulla gravità in sé della vicenda penale, a fronte di ogni altro comportamento del soggetto. 10.1. Per quanto possa, infatti, essere reputata fonte di rilevante allarme sociale la guida di autoveicoli in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, non risulta, dalla lettura del provvedimento impugnato in primo grado, che il Ministero dell’Interno abbia valutato, al di là del dato fattuale del decreto penale di condanna peraltro di un reato meramente contravvenzionale, previsto dal codice della strada a prevenzione di eventuali sinistri, senza che in concreto risulti siano stati provocati incidenti, tanto meno con danni , l’effettiva gravità della vicenda, la quale si sostanzia in un caso isolato e risalente rispetto alla data della statuizione dell’Amministrazione stessa v., in questi termini, già Cons. St., sez. III, 28 maggio 2013, n. 2920, Cons. St., sez. III, 29 aprile 2015, n. 2185 . 10.2. Ne segue che, a fronte di tale grave difetto motivazionale, il provvedimento di diniego debba essere annullato, salvi gli ulteriori provvedimenti della pubblica amministrazione, che dovrà rivalutare, nei sensi sopra chiariti, l’effettiva pericolosità dello straniero senza preconcetti e immotivati apriorismi in presenza di una qualsivoglia condanna penale. 11. Pertanto, in integrale riforma della sentenza impugnata, l’appello di W.S.B. deve essere accolto, con il conseguente annullamento del decreto ministeriale qui impugnato per le ragioni sopra esposte, da ritenersi assorbenti, per la loro integrale satisfattività, anche di tutte le altre censure formulate dall’odierno interessato. 12. La fondatezza della domanda qui accolta giustifica la riforma della sentenza impugnata anche nella parte in cui ha revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per la manifesta infondatezza del ricorso. 12.1. Alla liquidazione dei relativi onorari e compensi, sussistendone tutti i presupposti di legge, si provvederà con separato, successivo, provvedimento collegiale. 12. Le spese del doppio grado del giudizio, attesa la delicatezza degli interessi coinvolti che devono essere attentamente riesaminati dal Ministero dell’Interno alla luce dei principî sin qui affermati, possono essere interamente compensate tra le parti. 12.1. Il Ministero dell’Interno, comunque soccombente nel merito, deve essere condannato però a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da W.S.B., lo accoglie e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, annulla il decreto del Ministero dell’Interno del 22 maggio 2018. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Condanna il Ministero dell’Interno a rimborsare in favore di W.S.B. il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso nel primo e nel secondo grado del presente giudizio.