Esercizi commerciali: distanze minime e concorrenza

Le norme sulle distanze tra gli esercizi commerciali vanno rispettate nel caso di apertura di nuovi esercizi capaci di alterare il rapporto esistente tra negozi dello stesso genere nella zona in cui vengono insediati, ma non trovano applicazione nel caso in cui si tratti di un semplice trasferimento di esercizio preesistente, in quanto non può ipotizzarsi nessuna alterazione della finalità considerata, posto che nulla cambia nel rapporto tra le strutture di vendita già operanti.

Il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 4695 depositata l'11 novembre 2016, ha accolto l'appello di un Comune il quale aveva consentito il trasferimento di una impresa operante nel settore dell'acconciatura, anche se la nuova sede veniva a trovarsi molto vicino rispetto ad una impresa concorrente. Relativamente alla questione posta il Collegio ha ritenuto irrilevante prendere in considerazione quanto già dieci anni previsto dall’art. 3 d.l. n. 223/2006, il quale - in anticipo al d.lgs. n. 59/2010 di attuazione della direttiva Servizi - ma in armonia con il diritto comunitario, aveva espressamente escluso la possibilità di stabilire distanze minime tra gli esercizi. Impresa preesistente e nuovi elementi. Nel caso, infatti, di una impresa preesistente, esiste già una valutazione da parte dell’amministrazione che può essere riveduta solo in presenza di elementi sopraggiunti che lascino intendere che l’interesse pubblico alla detta eccezione sia venuta meno. Inoltre, colui che abbia ottenuto la licenza commerciale e manifesti la necessità di cambiamento del locale per impossibilità di svolgimento ivi dell’esercizio commerciale vanta una posizione di aspettativa al mantenimento del proprio esercizio nella stessa zona, poiché rispetto alla stessa risulta aver acquisito un avviamento consolidato. Né lo spostamento in questione avrebbe necessitato un’approfondita istruttoria come se si fosse trattata dalla prima autorizzazione in deroga. Da rilevare, peraltro, che in base al sopraindicato d.lgs. n. 59/2010 di recepimento della direttiva comunitaria 2006/123/CE, una distanza geografica minima tra prestatori, è ammessa soltanto ex art. 12, nei casi in cui sussistono motivi imperativi di interesse generale, quali - ad esempio - in base a costante giurisprudenza, la distanza minima prescritta per le rivendite dei generi di monopolio, in relazione alla tutela della salute. E ciò nonostante l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, AS 1130 del 5 marzo 2014 abbia più volte segnalato alle amministrazioni competenti, che il d.m. 21 febbraio 2013 n. 38 prevedendo distanze minime tra i rivenditori di tabacchi è in contrasto con l’art. 34, comma 2, d.l. n. 201/2011 cd. decreto salva Italia, conv. in l. n. 214/2011 e in violazione degli artt. 49 e 56 TFUE.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre – 11 novembre 2016, n. 4695 Presidente Severini – Relatore Tarantino Fatto e diritto 1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo per l’Umbria la Sig.ra Stefania Torricelli invocava l’annullamento dell’autorizzazione n. 0013510 in data 6 aprile 2006, nonché di ogni altro atto ad essa presupposto ivi compresi i pareri della Commissione consultiva comunale i data 14 gennaio 2003 e 18 novembre 2003 . In particolare, l’originaria ricorrente assumeva di essere lesa nella propria attività di parrucchiera dal detto provvedimento, nella misura in cui quest’ultimo consentiva il trasferimento di un esercizio di dimensioni assai cospicue, comprendente anche un laboratorio di formazione professionale, a distanza di appena 45 metri dal proprio. Con lo stesso ricorso chiedeva il risarcimento del danno 2. Il primo giudice dichiarava parzialmente fondato il ricorso, rilevando che una chiara, univoca incompatibilità della previsione di distanze minime volte a garantire la presenza del servizio in questione, tale da comportarne la immediata abrogazione ad opera della legge 174 del 2005, non può essere affermata. Né sulla questione può incidere il d.l. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, in legge 248/2006, posto che la disciplina ivi contenuta riguarda le attività commerciali come individuate dal d.lgs. 114 del 1998, normativa che, per effetto dell’articolo 2, comma 5, della legge 174 del 2005, non si applica alle imprese esercenti l’attività di acconciatore. Pertanto, il Tribunale amministrativo poneva a base della propria decisione il regolamento adottato dal Comune di Todi, concludendo nel senso che, in omaggio a quanto disposto dall’art. 14 della citata fonte normativa, l’autorizzazione al trasferimento dell’originaria controinteressata avrebbe dovuto essere supportata da una valutazione sulla effettiva difficoltà ed onerosità di reperire adeguati locali ubicati ad una distanza maggiore di quelli oggetto della domanda di trasferimento, aggiornata e motivata con riferimento ai locali disponibili sul mercato, alle loro caratteristiche, al loro prezzo. Ciò che, come esposto, non emerge dalle relazioni tecniche acquisite. Da qui la fondatezza delle doglianze di difetto di istruttori e di motivazione. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno il Tribunale amministrativo la valutava fondata, dettando i criteri ai quali il Comune di Todi avrebbe dovuto attenersi per formulare una proposta satisfattiva del danno cagionato. 3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’amministrazione comunale, che si duole del fatto che a il primo giudice avrebbe omesso di considerare che già la sede dell’originaria controinteressata fosse a 100 metri da quella dell’originaria ricorrente, ossia ad una distanza ben inferiore a quella minima, che per la Zona 1 in cui sono situati i detti esercizi commerciali sarebbe apri a 480 metri. Tanto che si sarebbe dovuto dubitare della stessa titolarità di un interesse a ricorrere da parte dell’odierna appellata b avrebbe errato il Tribunale amministrativo nel ritenere necessaria la dimostrazione dell’impossibilità o eccessiva difficoltà di reperire un locale situato in zona che rispettasse le distanze minime. Il provvedimento impugnato, infatti, sarebbe espressione di un limitato potere discrezionale da parte dell’amministrazione, risultando sufficiente all’uopo la dimostrazione del venir meno della disponibilità dello stabile in cui si esercitava l’attività commerciale. In ogni caso l’originaria controinteressata avrebbe messo a disposizione dell’amministrazione tre relazioni attestanti l’impossibilità o eccessiva difficoltà di reperire un locale situato in zona che rispettasse le distanze minime c il primo giudice si sarebbe addentrato in una valutazione riservata al merito dell’amministrazione con il ritenere inadeguate le relazioni tecniche depositate dalla beneficiaria del provvedimento impugnato. In ogni caso la valutazione operata non sarebbe corretta d l’onere di dimostrare la presenza di ulteriori elementi di valutazione sarebbe spettata all’originaria ricorrente e il primo giudice avrebbe errato nel non ritenere operante l’art. 1, l. 174/2005, che avrebbe liberalizzato l’attività in questione, superando così il regolamento comunale, che impone il rispetto di distanze minime per assicurare la redditività minima dell’attività commerciale. Il citato regolamento sarebbe anacronistico nella vigenza dell’art. 10, d.-l. 7/2007. Inoltre, dovrebbe ritenersi che l’entrata in vigore della l. 174 del 2005 avrebbe comportato l’abrogazione automatica dell’art. 1, l. 161 del 1963 che consentiva ai comuni di adottare il regolamento quale quello oggetto dell’odierno contenzioso. Il primo giudice avrebbe, quindi, errato nell’applicare alla fattispecie in questione l’art. 2, comma 5, l. 174 del 2005, che escluderebbe l’applicabilità del d.l. 223 del 2006 f la sentenza gravata sarebbe erronea nella parte in cui non ha accolto l’eccezione di tardiva impugnazione dei pareri del 18 gennaio e 13 novembre 2003, perché se non si ritengono quali provvedimenti amministrativi, ma meri atti endoprocedimentali in ogni caso non sarebbero suscettibili di impugnazione g infine, il Tribunale amministrativo avrebbe dovuto dichiarare il ricorso inammissibile, avendo l’originaria ricorrente agito in proprio e non in qualità di legale rappresentante del Centro bellezza di Grazia e Fausto” g il capo della sentenza che accorda il risarcimento del danno non avrebbe ricostruito in alcun modo la sussistenza degli elementi costitutivi del presunto illecito. 4. L’appello è fondato nei termini di seguito indicati, poiché merita condivisione la prima doglianza con la quale viene posto in evidenza che nel caso in questione il trasferimento del locale era stato richiesto da un soggetto che già operava ad una distanza inferiore rispetto a quella prescritta dal regolamento comunale approvato con delibera consiliare n. 121 del 2000, pari a 480 metri tra gli esercizi per parrucchieri. Le norme sulle distanze tra gli esercizi commerciali vanno rispettate nel caso di apertura di nuovi esercizi capaci di alterare il rapporto esistente tra negozi dello stesso genere nella zona in cui vengono insediati, ma non trovano applicazione nel caso in cui si tratti di un semplice trasferimento di esercizio preesistente, in quanto non può ipotizzarsi nessuna alterazione della finalità considerata, posto che nulla cambia nel rapporto tra le strutture di vendita già operanti. In quest’ultima ipotesi, infatti, esiste già una valutazione da parte dell’amministrazione che può essere riveduta solo in presenza di elementi sopraggiunti che lascino intendere che l’interesse pubblico alla detta eccezione sia venuta meno. Inoltre, colui che abbia ottenuto la licenza commerciale e manifesti la necessità di cambiamento del locale per impossibilità di svolgimento ivi dell’esercizio commerciale vanta una posizione di aspettativa al mantenimento del proprio esercizio nella stessa zona, poiché rispetto alla stessa risulta aver acquisito un avviamento consolidato. Né lo spostamento in questione avrebbe necessitato un’approfondita istruttoria come se si fosse trattata dalla prima autorizzazione in deroga. Da ciò deriva che non risulta rilevante nella fattispecie la questione relativa alla applicabilità o meno della disciplina contenuta nel d.l. 223 del 2006, che ha condotto al superamento del principio del limite delle distanze nella collocazione degli esercizi commerciali in attuazione del principi comunitari di libertà di circolazione e di stabilimento. Né debbono essere esaminate, ad eccezionedella doglianza relativa al capo della sentenza di primo grado che ha ritenuto fondato la domanda risarcitoria, le ulteriori censure contenute nell’odierno gravame, poiché l’accoglimento della prima consente di assorbire quest’ultime, avendo come effetto quello della riforma della sentenza di prime cure e della reiezione dell’originario ricorso. 5. Quanto, infine, al capo della sentenza che ha accordato il risarcimento del danno a favore dell’originaria ricorrente, deve rilevarsi che, come sostenuto dall’appellante, l’assenza di una condotta antigiuridica in capo all’amministrazione impedisce di ritenere sussistente il paradigma aquiliano con ciò che ne consegue in termini di non condivisione di quanto affermato dal primo giudice e di reiezione della domanda risarcitoria. 6. L’appello in esame deve, quindi, essere accolto. Nella particolare complessità delle questioni in fatto ed in diritto trattate nei due gradi di giudizio si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.