La circostanza attenuante del fatto di lieve entità non è incompatibile con lo spaccio continuo di eroina

La allora così ritenuta circostanza attenuante speciale oggi considerata autonoma ipotesi meno grave di reato del fatto di lieve entità di cui al d.P.R. n. 309/1990, art. 73, comma 5, non è in astratto incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, del medesimo decreto, che, con riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal suddetto art. 73, comma 5, consente di configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del complessivo programma criminoso associativo.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15025/21, depositata il 21 aprile. La Corte d’Appello di Roma confermava la decisione con la quale il Tribunale della Capitale aveva dichiarato la responsabilità penale di uno straniero per aver ceduto eroina per un controvalore di 10 euro, condannandolo alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione e 11.555,00 euro di multa. L’accusato ricorre in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione di legge per non essere stato il fatto attribuito all’imputato qualificato nell’ambito delle ipotesi di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R n. 309/1990, avendo la Corte di merito giustificato siffatta esclusione in ragione della pluralità delle cessioni, desumibili dalle dichiarazioni dell’acquirente del prevenuto della natura organizzata dello spaccio attraverso l’utilizzo del cellulare per fissare gli appuntamenti con gli acquirenti dell’attività di cessione svolta in una zona molto frequentata e del ritrovamento addosso allo stesso della somma di 300 euro. La difesa ricorrente ha rilevato che ci si troverebbe di fronte ad un’ ipotesi di travisamento della prova ” avendo il Giudice di merito fondato il proprio convincimento su una prova inesistente ovvero sull’esistenza di fatti che le prove svolte hanno escluso. Il ricorso è fondato in quanto la Corte di merito avrebbe erroneamente considerato non qualificabile come lieve entità il fatto attribuito all’accusato basandosi sull’organizzazione dell’attività di spaccio svolta dal ricorrente che ne rileverebbe la natura seriale e non occasionale, a causa anche delle dichiarazioni da parte del cliente abituale. Ciò dimostrerebbe la non estraneità del fatto addebitato all’imputato alla fattispecie di lieve entità. Ma quest’affermazione è errata in diritto in quanto la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che la allora così ritenuta circostanza attenuante speciale oggi considerata autonoma ipotesi meno grave di reato del fatto di lieve entità di cui al d.P.R. n. 309/1990, art. 73, comma 5, non è in astratto incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa , come si desume dall’art. 74, comma 6, del medesimo decreto, che, con riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal suddetto art. 73, comma 5, consente di configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del complessivo programma criminoso associativo Cass. n. 14017/2018 e n. 39374/2017 . Nel caso di specie la Corte d’Appello ha erroneamente escluso che il fatto attribuito in contestazione al ricorrente potesse essere considerato rientrante fra le fattispecie di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R n. 309/1990. Per questi motivi la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, rinviando la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 febbraio – 21 aprile, n. 15025 Presidente Lapalorcia – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Roma ha, con sentenza del 28 gennaio 2020, confermato la decisione con la quale, il precedente 15 giugno 2019, il Tribunale di Roma, in esito a giudizio celebrato nelle forme dei rito abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di M.S. in ordine al reato a lui ascritto, avente ad oggetto la cessione di sostanza stupefacente del tipo eroina per un controvalore pari ad Euro 10,00, e lo aveva condannato, ritenute le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 11.555,00 di multa. Avverso la predetta decisione ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario il M. , articolando due motivi di ricorso. Il primo motivo attiene alla illogicità della sentenza ed alla violazione di legge per non essere stato il fatto attribuito all’imputato qualificato nell’ambito della ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Ha, al riguardo, osservato, il ricorrente che nella sentenza della Corte di merito siffatta esclusione è stata giustificata in ragione della pluralità delle cessioni, desumibili dalle dichiarazioni dell’acquirente del prevenuto della natura organizzata dello spaccio, desumibile dall’uso del telefono cellulare per fissare gli appuntamenti, con gli acquirenti della attività di cessione svolta in una zona altamente frequentata dell’inserimento nell’ambiente di spaccio per il ritrovamento addosso all’imputato della somma di Euro 300,00 e del coinvolgimento dell’imputato in fatti analoghi. Si tratta, osserva la difesa ricorrente, o di fatti non riscontrati, ovvero non significativi il ricorrente ha, pertanto, rilevato che ci si troverebbe di fronte ad una ipotesi di travisamento della prova per avere il giudice fondato il proprio convincimento su di una prova inesistente ovvero sulla esistenza di fatti che le prove svolte hanno escluso. Con il secondo motivo il ricorrente si è, invece, doluto del fatto che la Corte di Roma abbia ritenuto inapplicabile in radice l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, non essendo il reato contestato un reato contro il patrimonio. Considerato in diritto Il ricorso, essendo risultati fondati ambedue i motivi di impugnazione formulati dalla difesa del ricorrente, deve essere accolto e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata nei limiti di quanto devoluto, e di quanto da esso derivante. Rileva il Collegio, prendendo le mosse dall’esame della prima delle due censure formulate dalla ricorrente difesa avverso la sentenza impugnata, che effettivamente nella sentenza impugnata, nella parte in cui ha la Corte capitolina ha ritenuto di dover escludere la possibilità di sussumere la fattispecie in esame nell’ambito dei fatti di lieve entità ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, si è fatto cattivo governo dei principi che questa Corte di legittimità, in ossequio, peraltro, al dettato normativo, ha fissato al fine di distinguere, sotto il profilo della loro gravità, le diverse ipotesi delittuose previste dal citato D.P.R. n. 309, art. 73. Infatti, la Corte territoriale di Roma ha considerato non qualificabile come di lieve entità il fatto attribuito al M. sulla base del seguente argomento la organizzazione della attività di spaccio svolta dal M. ne rivelerebbe la natura seriale e non occasionale ciò emergerebbe dal fatto che colui il quale, in occasione della operazione di polizia giudiziaria che ha condotto alla identificazione ed all’arresto del prevenuto, aveva acquistato la sostanza stupefacente dall’imputato ha dichiarato di avere in più occasione fatto acquisti di tale genere dal M. previo contatto telefonico con il medesimo. La Corte ha ulteriormente considerato fattori deponenti per la natura organizzata della attività del M. e, pertanto, ostativi alla qualificabilità di essa in termini di lieve entità del fatto, la circostanza che questi sia stato sorpreso nello svolgimento dell’attività delittuosa nei pressi della principale stazione ferroviaria di Roma, la Stazione Termini - come si legge nella sentenza luogo frequentato da moltissima gente ed anche da spacciatori - nonché il dato che il M. recasse con sé la somma di Euro 300,00, in banconote di piccolo taglio, indicativa, ad avviso della Corte di Roma, della abitualità dello spaccio, atteso che egli cedeva la singola dose per il prezzo di 10,00 Euro. Come è agevole riscontrare si tratta di fattori che non appaiono dimostrativi della estraneità del fatto addebitato all’imputato alla fattispecie di lieve entità. Ed infatti, anche a non volere rilevare la manifesta illogicità di talune inferenze operate dalla Corte di appello di Roma al fine di affermare la organizzazione, seriale e non occasionale della attività di spaccio posta in essere dal M. - quali quella relativa alla espressività di una qualche forma organizzata di spaccio del fatto che questo era svolto in una zona oggetto di ampio traffico di persone, ovvero quella legata alla esistenza di contatti telefonici fra spacciatore ed acquirente prodromici alle singole cessioni, non apparendo che la disponibilità di una linea telefonica sia indicativa di una più che appena primitiva organizzazione criminale, ed ancora quella legata alla disponibilità da parte del M. della somma di Euro 300,00 che, del tutto apoditticamente, viene ricondotta dalla Corte di merito, onde dare atto della floridezza ed abitualità del commercio illecito tenuto dall’imputato, nella sua, peraltro modesta, integralità ai proventi dello spaccio, conseguiti, d’altra parte, in un arco di tempo che la Corte di Roma neppure si perita di, sia pure ipoteticamente, quantificare - è lo stesso presupposto da cui parte la Corte territoriale ad essere non in linea con la giurisprudenza di questa Corte. Essa, infatti, parte dall’affermazione che la natura organizzata della attività spaccio e la sua ripetitività siano di per sé elementi immediatamente ostativi alla qualificazione del singolo atto delittuoso compiuto come espressione di un fatto di lieve entità. Siffatta affermazione è errata in diritto. Come, infatti, questa Corte ha in diverse occasioni rilevato, la allora così ritenuta circostanza attenuante speciale oggi considerata autonoma ipotesi meno grave di reato del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non è in astratto incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, del medesimo decreto, che, con riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal suddetto art. 73, comma 5, consente di configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del complessivo programma criminoso associativo Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 marzo 2018, n. 14017 idem, Sezione VI penale, 23 agosto 2017, n. 39374 . Fondato è, pertanto, il primo motivo di impugnazione collegato alla erroneità in iudicando della motivazione in base alla quale la Corte di appello ha escluso che il fatto attribuito in contestazione al M. potesse essere considerato rientrante fra le fattispecie di lieve entità ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Come dianzi già rilevato, fondato è anche il secondo motivo di censura dedotto dalla ricorrente difesa. Infatti, la Corte di Roma ha, con lapidaria motivazione, affermato, rigettandolo, che era decisamente inconferente il motivo di gravame relativo alla richiesta di applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, non trattandosi con riferimento al reato contestato all’attuale ricorrente di reato contro il patrimonio . Avendo parte ricorrente censurato siffatta motivazione, si rileva che le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata sono fallaci. Componendo, infatti, un risalente contrasto di giurisprudenza si veda, infatti, in un senso, già Corte di cassazione, Sezione VI penale, 16 giugno 1999, n. 7830, e, nel senso opposto, già Corte di cassazione, Sezione VI penale, 6 luglio 1998, n. 7905 , le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti, ulteriormente precisando che essa è, altresì, compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 2 settembre 2020, n. 24990 . La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma che, in applicazione dei principi di cui sopra, valuterà nuovamente la fondatezza o meno della impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza emessa a suo carico del Tribunale di Roma in data 15 giugno 2019. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e alla ricorrenza della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio. Motivazione semplificata.