Giudizio di adeguatezza della custodia cautelare in carcere rispetto agli arresti domiciliari semplici e controllati

L’applicazione della misura inframuraria o quella meno grave degli arresti domiciliari semplici non è automaticamente ricollegabile all’accertata indisponibilità del braccialetto elettronico, ma necessita di un previo apprezzamento sulle esigenze cautelari da soddisfare in concreto. Quanto al pericolo di reiterazione, la custodia cautelare in carcere sarà applicabile solo all’esito della valutazione negativa di idoneità in concreto degli arresti domiciliari a contenere il rischio di recidiva, all’esito di un giudizio legato alle concrete circostanze del contesto e all’inaffidabilità dell’indagato.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sezione V Penale, con la sentenza n. 12095/21 depositata il 30 marzo. Custodia cautelare in carcere le censure difensive relativa all’adeguatezza degli arresti domiciliari a fronteggiare le esigenze cautelari del caso. La sentenza in commento ha ad oggetto il tema dei rapporti tra la misura cautelare in carcere e quella degli arresti domiciliari, affrontato nell’ambito di un ricorso avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che confermava la misura della custodia in carcere applicata all’indagato per i reati di associazione a delinquere e in relazione ai connessi furti in abitazione aggravati commessi in concorso. Nella specie, le doglianze difensive coinvolgono il profilo dell’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari a salvaguardare le esigenze cautelari del caso concreto, avuto riguardo alla scrupolosa e trentennale osservanza dell’indagato della prescrizione impostegli nell’ambito di restrizioni domiciliari relative a diversi procedimenti penali. Rapporti tra custodia in carcere ed arresti domiciliari il giudizio di adeguatezza del giudice penale alla luce del contesto concreto e dell’affidabilità dell’indagato. La Suprema Corte ribadisce come, sulla scorta dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, la custodia cautelare in carcere abbia natura di extrema ratio e, correlativamente, ne afferma la sua residuale applicazione solo all’esito della ritenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari alla salvaguardia delle esigenze cautelari. Al contrario, qualora il Giudice riconosca come adeguata la misura degli arresti domiciliari, deve ritenersi implicitamente escluso che la permanenza in carcere sia giustificata, a prescindere dalla disponibilità di strumenti di controllo. Richiamando inoltre l’importante riforma intervenuta con la l. n. 47/2015, si è sottolineata la volontà del legislatore di ridurre il ricorso alla custodia cautelare e il rafforzamento, nell’ottica di effettiva gradualità delle misure, degli arresti domiciliari controllati. Pertanto, l’applicazione della misura inframuraria o quella meno grave degli arresti domiciliari semplici non è automaticamente ricollegabile all’accertata indisponibilità del braccialetto elettronico, ma necessita di un previo apprezzamento sulle esigenze cautelari da soddisfare in concreto. In tal senso sono significative le modifiche apportate all’art. 276, comma 1- ter e all’art. 284 comma 5- bis , a seguito delle quali l’applicazione della misura inframuraria non è più automaticamente ricollegata all’avvenuta trasgressione, ma necessita di un previo apprezzamento del Giudice in ordine all’effettivo disvalore della trasgressione stessa. In particolare, quanto al pericolo di reiterazione, la custodia cautelare in carcere sarà applicabile solo all’esito della valutazione negativa di idoneità in concreto degli arresti domiciliari a contenere il rischio di recidiva, all’esito di un giudizio legato alle concrete circostanze del contesto e all’inaffidabilità dell’indagato. Difatti, seppur l’inosservanza della prescrizione non introduce alcun automatismo in riferimento alla valutazione di inaffidabilità, nondimeno l’esecuzione di altri reati nel corso della misura prova l’inadeguatezza in concreto della stessa, avendo le prescrizioni fallito la funzione preventiva e svelando in concreto l’inaffidabilità del beneficiario. Nel quadro così formulato, le censure proposte con il ricorso si appalesano inammissibili. Il ricorrente difatti predica una sorta di merito cautelare domiciliare, derivantegli dalla trentennale esecuzione presso l’abitazione sia di misure cautelari che di pene definitive, intrinsecamente smentito dalla ininterrotta serie di reati contro il patrimonio consumati grazie alla permanenza domestica, rivelatasi del tutto inadeguata a prevenirne la reiterazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 gennaio – 30 marzo 2021, n. 12095 Presidente Catena – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza del 29 settembre 2020, il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede del 17 settembre 2020, con la quale è stata applicata a B.P. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato di associazione per delinquere ed ai connessi furti in abitazione aggravati in concorso, consumati il 16, il 20 febbraio ed il 9 marzo 2020. Il Tribunale ha, in particolare, ritenuto che le esigenze cautelari, sub specie di concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato, potessero essere contenute solo attraverso la misura della custodia in carcere, non avendo gli arresti domiciliari già applicati all’indagato in ordine a delitti della stessa specie, pur nel quadro dell’omesso rilievo di accertati inadempimenti alle prescrizioni imposte, impedito al B. di reiterarne la consumazione, come emerso dalle intercettazioni. 2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso l’indagato, con atto a firma del difensore, Avv. Giovanni Maria Chiara, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione per avere il Tribunale del riesame respinto le deduzioni difensive, omettendo di considerare - quanto al giudizio proiettivo sull’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari richiesti - la scrupolosa e trentennale osservanza delle prescrizioni imposte al B. , puntualmente documentata ed invece apprezzata dallo stesso Tribunale in diversi procedimenti, con conseguente contraddittorietà delle valutazioni espresse. 3. Con requisitoria scritta D.L. 21 dicembre 2020, n. 37, ex art. 23 il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. 4. Con memoria pervenuta alla Cancelleria il 29 dicembre 2020, il difensore dell’imputato ha rassegnato per iscritto le conclusioni, ulteriormente specificando le censure, sia in riferimento all’esecuzione della detenzione domiciliare ex art. 47-ter O.P. rispetto al tempus commissi delicti del reato sub 1 , che alla violazione delle prescrizioni imposte con D.P.C.M. 8 marzo 2020, retroattivamente applicato. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il tema che il ricorso impone di affrontare investe l’esatta delimitazione dei diversi piani in cui si articola il giudizio di proporzione della misura della custodia cautelare in carcere rispetto a quella degli arresti domiciliari e la conseguente delibazione a cui è chiamato il giudice della cautela. 1.1. Quanto ai rapporti tra le misure in esame, il Supremo consesso di questa Corte ha, anche di recente Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, Rv. 266651 , riaffermato la natura di extrema ratio della custodia in carcere e, correlativamente, la sua residuale applicazione solo all’esito della ritenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari alla salvaguardia delle esigenze cautelari. Nel ricostruire il quadro normativo in cui si colloca la previsione dell’art. 275 c.p.p., comma 3-bis, introdotta dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 - secondo la quale quando il giudice applica la misura della custodia cautelare in carcere, deve indicare le specifiche ragioni per le quali ritiene inidonea nei caso concreto la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico - le Sezioni unite hanno rimarcato la finalità di imporre al giudice una valutazione rafforzata nel caso in cui operi la scelta di applicare la cautela estrema, sicché, qualora il giudice riconosca come adeguata la misura degli arresti domiciliari, deve ritenersi implicitamente escluso che la permanenza in carcere sia giustificata, a prescindere dalla disponibilità di strumenti di controllo. Si è, ulteriormente, sottolineato come il legislatore sia intervenuto ancora, indirettamente, sul tema con la L. 16 aprile 2015, n. 47, contenente Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali , dilatandone ulteriormente il perimetro di applicazione, attraverso l’art. 4, comma 3, che ha inserito nell’art. 275 c.p.p. intitolato Criteri di scelta della misure il comma 3-bis, il quale prevede che il giudice che dispone la custodia cautelare in carcere deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1 la stessa legge, con l’art. 8, ha inserito nell’art. 292, comma 2, lett. c-bis, le parole autonoma valutazione , per cui l’ordinanza di custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari di cui all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure. Richiamando l’impatto della pronuncia della Corte EDU dell’8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia - che ha condannato il nostro Paese per violazione dell’art. 3 CEDU e, in particolare, per la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, come quello inflitto ai detenuti a causa del sovraffollamento carcerario e della Raccomandazione CM/REC 2014 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla Sorveglianza elettronica del 19 febbraio 2014 sulle modifiche normative intervenute e, in generale, sulla riforma in materia di misure cautelari introdotta dalla L. n. 47 del 2015, se ne è sottolineato il fine di ridurre il ricorso alla custodia cautelare ed il rafforzamento, nell’ottica di effettiva gradualità delle misure cautelari, degli arresti domiciliari controllati. Se ne è, coerentemente, ritratta una inversione del rapporto regola-eccezione, in cui la regola è rappresentata dagli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, e l’eccezione dalla custodia cautelare inversione confermata anche dal D.L. 14 agosto 2013, n. 93, art. 2 convertito dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, che ha introdotto, anche in relazione agli specifici delitti elencati all’art. 282-bis c.p.p., comma 6 la possibilità di disporre il braccialetto elettronico quale strumento di controllo dei soggetti nei cui confronti è disposta la misura dell’allontanamento dalla casa familiare, oltre che dall’intervento riformatore della L. 16 aprile 2015, n. 47, che ha inteso ulteriormente ridurre la possibilità di utilizzo della misura custodiale in carcere, sia nella fase applicativa che nel successivo svolgersi della vicenda cautelare. In tal senso è stato sottolineato che uno degli obiettivi principali della riforma è da individuare nella necessità di invertire la funzione della custodia cautelare in carcere come anticipazione e sostituzione della pena, in contrasto con lo spirito, se non anche con la lettera, dell’art. 27 Cost., comma 2 e tale obiettivo è stato perseguito, oltre che con la richiamata modifica dell’art. 275-bis c.p.p., attraverso la riaffermazione della funzione di extrema ratio attribuita dal sistema alla custodia in carcere, valorizzando e favorendo il ricorso a soluzioni alternative di nuovo conio quale quella dell’applicazione congiunta delle altre misure coercitive, finora praticabile solo nelle particolari circostanze di cui all’art. 276 c.p.p., comma 1, e art. 307 c.p.p., comma 1-bis e intervenendo, in modo significativo, sulle disposizioni del codice che in relazione ad alcuni reati art. 275, comma 3 , a particolari condizioni trasgressive dell’indagato art. 276, comma 1-ter , o alle sue condizioni personali art. 284, comma 5-bis precludevano al giudice una valutazione discrezionale circa l’individuazione della misura più appropriata, sancendo una presunzione di adeguatezza della sola misura inframuraria. Nella prospettiva delineata dalle Sezioni unite, l’approdo di tale percorso è stato individuato nella creazione di condizioni tali da ricondurre le misure cautelari al principio del minimo sacrificio per la libertà personale , facendo leva sul principio cardine di adeguatezza in base al quale la misura deve essere commisurata alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare, che devono essere indicate nella motivazione del provvedimento, di cui l’inserimento del comma 3-bis nel corpo dell’art. 275 c.p.p. costituisce diretta espressione. All’indomani della riforma, pertanto, ove non si sia al cospetto di una ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza ormai limitata, a seguito delle declaratorie di illegittimità costituzionale, agli artt. 270, 270-bis e 416-bis c.p. , deve ritenersi sempre necessaria, in sede di applicazione di una misura cautelare personale, una esplicita motivazione sulla inidoneità degli arresti domiciliari controllati. 1.2. Siffatte conclusioni sono state ricondotte, in linea di continuità, con il percorso interpretativo compiuto dalla Corte costituzionale sulla presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere a partire dalla sentenza n. 265 del 2010. La tutela della libertà personale costituisce il fondamento delle numerose decisioni della Corte costituzionale v. sentenza n. 48 del 2015 , con le quali è stato ribadito che i principi costituzionali di riferimento implicano che la disciplina della materia debba essere ispirata al principio del minore sacrificio necessario la compressione della libertà personale va contenuta, cioè, entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della pluralità graduata , predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale dall’altra, a prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte individualizzanti del trattamento cautelare, coerenti e adeguate alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. Le valutazioni espresse dal Giudice delle leggi in questo percorso demolitorio hanno evidenziato come i limiti di legittimità delle misure cautelari risultino espressi, a fronte del principio di inviolabilità della libertà personale art. 13 Cost., comma 1 - oltre che dalle riserve di legge e di giurisdizione art. 13 Cost., commi 2 e 4 - anche e soprattutto dalla presunzione di non colpevolezza art. 27 Cost., comma 2 , a fronte della quale le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l’accertamento definitivo della responsabilità. Questo insieme di indicazioni costituzionali, come anche sottolineato dalla sentenza n. 231 del 2011, trova puntuale espressione nella disciplina generale dettata in materia dal codice di procedura penale che, a fronte della tipizzazione di un ventaglio di misure, di gravità crescente artt. 281-285 , con il criterio di adeguatezza art. 275, comma 1 - dando corpo al principio del minore sacrificio necessario - impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie. In un numero tutt’altro che marginale di casi, continua la Corte, le esigenze cautelari - pur non potendo essere completamente escluse - sarebbero suscettibili di trovare idonea risposta anche in misure diverse da quella carceraria, che valgano a neutralizzare il fattore scatenante o ad impedirne la riproposizione. E così, anzitutto, quanto ai fatti legati a particolari contesti, tramite misure che valgano comunque ad operare una forzosa separazione da questi dell’imputato o dell’indagato arresti domiciliari in luogo diverso dall’abitazione art. 284 , eventualmente accompagnati da particolari strumenti di controllo quale il cosiddetto braccialetto elettronico art. 275-bis obbligo o divieto di dimora o anche solo accesso in determinati luoghi art. 283 e allontanamento dalla casa familiare art. 282-bis . Ed è parimenti significativo che le innovazioni in materia di misure cautelari sono seguite anche alla necessità di dare attuazione a sentenze della Corte EDU. Il riferimento è, in particolare, alla più volte citata sentenza nel procedimento Torreggiani e altri c. Italia, che tanta rilevanza ha assunto quale spinta alle riforme normative della materia in esame. 1.3. Lineare corollario di tale percorso ermeneutico è che è rimessa al giudice, nel caso concreto, sia nel momento di prima applicazione della misura cautelare ex art. 291 c.p.p. sia nel caso di sostituzione della misura ex art. 299 , in caso di indisponibilità dello strumento elettronico di controllo, la scelta se applicare la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari semplici , sulla scorta di un giudizio di bilanciamento che, dato atto della impossibilità di applicare la misura più idonea, ossia gli arresti domiciliari elettronici , metta a confronto l’intensità delle esigenze cautelari e la tutela della libertà personale dell’imputato. Non può negarsi infatti che, proprio in ragione dello stretto collegamento esistente tra la natura ed il grado delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura, ritenuta più adeguata ad affrontarle, rispetto alla misura restrittiva più grave e a quella degli arresti domiciliari semplici, la mancata reperibilità del dispositivo imponga al giudice una rivalutazione della fattispecie concreta, alla luce dei principi di adeguatezza e proporzionalità di ciascuna delle misure, in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. Deve, pertanto, ribadirsi l’esclusione di ogni automatismo nella scelta della misura in altri termini, l’applicazione della misura inframuraria o quella meno grave degli arresti domiciliari semplici non è automaticamente ricollegabile all’accertata indisponibilità del dispositivo elettronico, ma necessita di un previo apprezzamento sulle esigenze cautelari da soddisfare in concreto. In tal senso, sono significative le modifiche apportate, oltre che al già richiamato art. 276, comma 1-ter, all’art. 284, comma 5-bis, a seguito delle quali l’applicazione della misura inframuraria non è più automaticamente ricollegata all’avvenuta trasgressione, ma necessita di un previo apprezzamento del giudice procedente in ordine all’effettivo disvalore della trasgressione medesima. 2. Dalla ricostruzione sistematica dei rapporti tra le misure in disamina, si trae la conferma - per quanto di interesse in questa sede - che il principio di extrema ratio della custodia in carcere impone al giudice la previa delibazione negativa di inadeguatezza di altre misure, rispetto allo specifico profilo di rischio ricorrente nella specie. 2.1. La giurisprudenza successiva di questa Corte ha, invero, unanimemente ribadito come il giudice, chiamato a svolgere la valutazione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere rispetto ad altra misura meno afflittiva, sia chiamato a valutare l’idoneità di quest’ultima rispetto alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c , anche in relazione alla prognosi di spontaneo adempimento degli obblighi e delle prescrizioni eventualmente ad essa collegati, avendo particolare riguardo alla pericolosità sociale dell’indagato ex multis Sez. 2, n. 27272 del 17/05/2019, Cacciola, Rv. 275786 . In particolare, quanto al pericolo di reiterazione del reato, la custodia cautelare in carcere sarà applicabile - in presenza dei prescritti limiti edittali - solo all’esito della valutazione negativa di idoneità in concreto degli arresti domiciliari a contenere il rischio di recidiva, all’esito di un giudizio, legato alle concrete circostanze del concreto contesto, di inaffidabilità dell’indagato inaffidabilità rispetto al pericolo di reiterazione, al quale è strumentale la verifica di ragionevole osservanza delle prescrizioni imposte a corredo della misura che, all’evidenza, assumono la funzione di presidiare il suddetto pericolo. In altri termini, le prescrizioni, principale ed accessorie, della misura degli arresti domiciliari si sostanziano nel divieto di allontanarsi dall’abitazione e di mantenere rapporti esterni e rilevano, quindi, non quali limitazioni ex se, bensì quali presidi contenitivi del periculum cautelare, finalizzati ad impedire la reiterazione del reato. 2.2. L’equiparazione ad ogni effetto degli arresti domiciliari alla custodia in carcere, del resto, fonda proprio sulla fungibilità ed omogeneità delle misure rispetto alle esigenze cautelari, quando sia positivamente svolto ex ante un complessivo giudizio di affidabilità nella capacità di autolimitazione dell’indagato. Correlativamente, la dimostrazione dell’inosservanza delle prescrizioni esprime, ex post, l’inadeguatezza in concreto degli arresti domiciliari, al pari di qualunque circostanza dimostri l’inefficacia della misura rispetto allo specifico profilo cautelare posto a suo fondamento. In altri termini, seppure l’inosservanza delle prescrizioni non introduce alcun automatismo in riferimento alla valutazione di inaffidabilità, nondimeno l’esecuzione di altri reati nel corso della misura prova, superando il mero dato formale, l’inadeguatezza in concreto della stessa, avendo le prescrizioni fallito la precipua funzione preventiva e disvelando, in concreto, l’inaffidabilità del beneficiario. Deve essere, pertanto, qui affermato come ai fini della verifica di adeguatezza degli arresti domiciliari, costituisce circostanza neutra il fatto che a carico del medesimo indagato non siano state rilevate formali inosservanze nell’esecuzione della stessa misura, applicata in procedimenti diversi, quando risulti accertato che la stessa esecuzione non abbia impedito la reiterazione del reato. 3. Nel quadro così delineato, le censure proposte con il ricorso s’appalesano inammissibilmente formulate. Il ricorrente predica ancora una sorta di merito cautelare domiciliare, derivantegli dalla trentennale esecuzione presso l’abitazione sia di misure cautelari che di pene definitive, intrinsecamente smentito - e dunque del tutto illogicamente prospettato - dalla ininterrotta serie di reati contro il patrimonio consumati, all’evidenza, grazie alla permanenza domestica, ex se rivelatasi del tutto inadeguata, lungo un trentennio, a prevenirne la reiterazione. A fronte di siffatto, insuperabile vulnus della prospettazione difensiva che, senza confrontarsi con il fallimento conclamato del benevolo trattamento riservato al B. , si limita a predicare una formalistica osservanza invece smentita ex actis, perdono di spessore le notazioni intese a ribadire le conclusioni del magistrato di sorveglianza e di altri giudici della cautela, evidentemente indotte da una visione frammentaria e necessariamente limitata al petitum devoluto nei diversi procedimenti, così come il riferimento alla violazione delle limitazioni introdotte per il contenimento dell’emergenza sanitaria profilo, quest’ultimo che ha - come rilevato dal Tribunale - invece cinicamente agevolato l’irrefrenabile inclinazione alla reiterazione del reato mediante profittamento delle mutate abitudini di vita delle vittime designate, come opportunamente segnalato mediante il richiamo al contenuto delle intercettazioni, dalle quali emerge, invece, la regia dell’indagato, dal proprio domicilio, dell’esecuzione dell’azione antigiuridica. Il ricorso è, pertanto, inammissibile. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al pagamento di una sanzione in favore della Cassa delle ammende, che stimasi equo determinare - in considerazione del grado della colpa Corte Cost., n. 186 del 13 giugno 2000 nella determinazione dell’inammissibilità - in Euro 3000. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.