La bancarotta fraudolenta nel nuovo codice della crisi di impresa

Le disposizioni penalistiche contenute nel codice della crisi di impresa d.lgs. n. 14/2019 si pongono in evidente continuità con le norme previste dalla legge fallimentare r.d. n. 267/1942 . Non può dunque essere invocata l’abolitio criminis da parte dell’imputato condannato per bancarotta fraudolenta.

Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12056/21, che ha rigettato il ricorso avverso la decisione di condanna di un imputato per il reato di bancarotta fraudolenta pluriaggravata , patrimoniale e documentale, in qualità di amministratore unico di una s.r.l Tra le diverse censure proposte, il ricorrente ha lamentato la ritenuta ultrattività dei reati fallimentari a seguito dell’ introduzione del d.lgs. n. 14/2019 , il c.d. codice della crisi di imprese e dell’insolvenza . Secondo il Collegio tale censura non rileva nel caso in esame. L’art. 389 d.lgs. n. 14 cit. prevedeva l’ entrata in vigore decorsi 18 mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, quindi il 15 agosto 2020. Il termine ha però subito diverse proroghe, difettano quindi i presupposti per l’applicazione dell’art. 2, comma 2, c.p. invocato dal ricorrente. Ciò posto, la Corte sottolinea comunque che la riforma del codice della crisi di impresa non spiega alcun effetto sui reati fallimentari, essendo in presenza di un’evidente continuità normativa che connota i profili penalistici del nuovo impianto normativo. L’ art. 329 c.c.i. riprende infatti la lettera delle norme incriminatrici del r.d. n. 276/1942. Sotto la rubrica Fatti di bancarotta fraudolenta ” è infatti previsto che 1. Si applicano le pene stabilite nell'articolo 322 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. 2. Si applica alle persone suddette la pena prevista dall'articolo 322, comma 1, se a hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621,2622,2626,2627,2628,2629,2632,2633 e 2634 del codice civile. b hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società . Anche con riferimento alle norme civilistiche in tema di presupposti e procedura di liquidazione dell’impresa, già entrate in vigore con la sostituzione del termine fallimento ” con liquidazione ”, non sussistono elementi concerti tali da mutare il presupposto dello stato di insolvenza in cui versa l’impresa e che costituisce presupposto delle fattispecie penali. Diverso è il discorso relativo all’esplicita abrogazione dell’istituto dell’ amministrazione controllata e di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare. In questo caso, si è correttamente riscontrata l’ abolitio criminis con la soppressione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura art. 236, comma 2, r.d. n. 276/1942 . In conclusione, la Corte ritiene complessivamente infondato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 gennaio – 30 marzo 2021, n. 12056 Presidente Catena – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata delY18 aprile 2019, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 13 marzo 2017, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di P.M. in ordine al reato di bancarotta fraudolenta pluriaggravata, patrimoniale e documentale, in concorso con B.G. e C.C. , separatamente giudicati, nella qualità di amministratore unico di [ ] s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 23 dicembre 2010. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato per mezzo del difensore, Avv. Fabio Falcetta, affidando le proprie censure a sei motivi. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in riferimento all’ordinanza in data 24 febbraio 2017, con la quale è stata disattesa l’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato, sottoposto a radioterapia, come documentato al Tribunale, avendo sul punto del tutto erroneamente la Corte territoriale condiviso il difetto del carattere dell’assoluta impossibilità di partecipazione, oltre all’intempestività dell’istanza. 2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione quanto alla richiesta di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste in riferimento alla bancarotta patrimoniale, contestata in relazione alla distrazione di due automobili, di cui una in leasing ed altra solo formalmente intestata alla società, con conseguente esclusione di efficienza causale sul fallimento. 2.3. Con il terzo motivo, articola analoga censura quanto alla bancarotta documentale, avendo l’imputato consegnato al curatore la documentazione contabile ricevuta dal B. , come risulta dalla sentenza n. 13615/2015, emessa nel procedimento a carico di quest’ultimo e ritualmente acquisita, oltre che dalle dichiarazioni del curatore. 2.4. Il quarto motivo lamenta mancanza di motivazione riguardo la richiesta di assoluzione con la formula per non aver commesso il fatto . 2.5. Con il quinto motivo, deduce analoga censura quanto alla richiesta di derubricazione del reato in bancarotta semplice, avendo sul punto il ricorrente rappresentato in appello il contrasto con la sentenza di condanna del B. per tale reato. 2.6. Con il sesto motivo, censura violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla omessa applicazione del disposto dell’art. 129 c.p.p. in quanto, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 14 del 2019, artt. 389 e 390, recante riforma della legge fallimentare, si è verificata un’ipotesi di abolitio criminis , essendo mutata la legge extrapenale posta a fondamento delle norme penali incriminatrici, con conseguente applicazione dell’art. 2 c.p., comma 2. 3. Con requisitoria scritta D.L. 21 dicembre 2020, n. 37, ex art. 23, il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Con memoria trasmessa il 19 gennaio 2021, il difensore dell’imputato ha rassegnato per iscritto le proprie conclusioni, ribadendo le ragioni dell’impugnazione. Considerato in diritto Il ricorso è complessivamente infondato. 1. Sono infondate le censure contenute nel primo motivo. 1.1. Il ricorrente deduce nullità del giudizio di primo grado - e degli atti successivi - celebrato all’udienza del 24 febbraio 2017, nonostante l’imputato avesse documentato di essere sottoposto a trattamento radioterapico di una neoplasia, con programmazione delle sedute dal 16 al 22 marzo 2017, in un generalizzato quadro patologico certificato, mentre il Tribunale ha disatteso la richiesta di rinvio reputando non essere stata dimostrata l’assolutezza dell’impedimento, invece evincibile dalla documentazione prodotta, da cui discende - in correlazione alle diverse patologie pure attestate - evidenti difficoltà di deambulazione, con conseguente lesione del diritto di difesa. Siffatta prospettazione non è conducente. Da un lato, invero, del tutto ragionevolmente i giudici del merito hanno ritenuto l’istanza non tempestiva, in quanto la documentazione medica prodotta all’udienza del 24 febbraio 2017 risultava datata il 16 febbraio 2017 e sarebbe, pertanto, potuta essere depositata prima dell’udienza, nella quale era stato citato il curatore dall’altro, la decisione è incensurabile in quanto dalla produzione difensiva, mentre risulta effettivamente che l’imputato si sia sottoposto a visita ed alla prima seduta di radioterapia il 16 febbraio 2017, non è dato, invece, ritenere che il medesimo abbia, effettivamente, assunto l’ulteriore somministrazione, programmata per il 20 febbraio, nè che dall’assunzione terapeutica fossero derivati effetti tali da incidere, con il carattere dell’assolutezza, sulla capacità dell’imputato di presenziare all’udienza. Ne deriva l’incensurabilità della decisione sul punto, nella parte in cui la Corte territoriale ha reputato come la seduta di terapia, calendarizzata per il 16 febbraio precedente, non configurasse ex se, seppur correlata a pregresse patologie, i requisiti di assolutezza e gravità che legittimano il rinvio, in assenza anche solo della rappresentazione di uno stato di alterazione, conseguente alla somministrazione farmacologica, tale da impedire la partecipazione all’udienza. 1.2. Nei termini predetti, l’avversata sentenza ha fatto corretta applicazione del principio per cui, in tema di legittimo impedimento dell’imputato, è legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisita la certificazione medica prodotta dal difensore, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l’insussistenza di una condizione tale da comportare l’impossibilità per l’imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute Sez. 4, n. 13102 del 21/12/2018 - dep. 2019, Falcione, Rv. 275285 in fattispecie in cui questa Corte ha ritenuto esente da censure l’ordinanza che aveva rigettato l’istanza di rinvio avanzata per impossibilità di deambulazione . In particolare, non risultano irragionevolmente applicate massime di comune esperienza in quanto, in assenza di evidenze di segno contrario, il decorso di otto giorni dall’assunzione di radioterapia non evidenzia immediatamente l’assoluto impedimento a comparire in udienza ed a parteciparvi attivamente, laddove l’imputato non documenti l’insorgenza di particolari effetti collaterali, correlati al personale quadro clinico complessivo e tali da escludere la possibilità di intervenire all’udienza. Va, pertanto, ribadito il principio per cui l’impedimento a comparire dell’imputato, che concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa, può essere integrato anche dagli effetti dell’assunzione di una terapia debilitante, purché determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dal medesimo imputato ed allo stesso non ascrivibile, se documentata. Il primo motivo è, pertanto, infondato. 2. Sono, del pari, inconducenti le censure svolte sul capo relativo alla bancarotta patrimoniale. 2.1. L’avversata sentenza ha dato atto del mancato rinvenimento, da parte della curatela, di due auto intestate alla società, mentre il ricorrente - che non contesta la circostanza - postula, da un lato, la qualificazione giuridica della distrazione della Mercedes condotta in leasing e, dall’altro, la natura solo fittizia dell’intestazione alla fallita della Panda, acquistata con documentate rimesse dell’usuario. Siffatte deduzioni sono infondate, al limite della genericità, nella misura in cui reiterano censure alle quali la Corte territoriale ha dato ineccepibile risposta. 2.2. Con orientamento mai smentito, questa Sezione ha affermato come la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di contratto di leasing integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determina un pregiudizio per la massa fallimentare Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, Ceravolo, Rv. 279212 . Allo stesso modo, nessun rilievo dispiega la circostanza per cui un bene, intestato alla società, sia stato acquistato con risorse di terzi, realizzandosi in tal caso - ed in assenza della prova della simulazione - una donazione indiretta, che incrementa il patrimonio della società e che vincola il bene alla garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c. con la conseguenza per cui ove lo stesso bene non sia consegnato alla curatela, viene a configurarsi un atto dissipativo, peraltro ex se generante passività, venendo a gravare sulla società intestataria dell’autoveicolo gli oneri connessi. E se la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa, il ricorrente si limita a rivendicare una circostanza ex se non risolutiva pagamento del prezzo , mentre non contesta, con la necessaria, specificità, la proprietà del bene, attestata dalla sua intestazione alla fallita. Deve essere, pertanto, qui precisato come, in caso di intestazione di beni alla fallita, grava sull’imputato, che ne rivendichi l’altrui sostanziale proprietà, dimostrare che trattasi di mera titolarità formale di beni di cui la società non abbia mai avuto la disponibilità. Il motivo è, pertanto, complessivamente infondato. 3. È, invece, aspecifico il terzo motivo. 3.1. Il ricorrente predica l’insussistenza della responsabilità per il delitto di bancarotta documentale, richiamando fonti dichiarative - acquisite in diverso procedimento - alla cui stregua il P. avrebbe consegnato al curatore la documentazione dal medesimo ricevuta, in forma incompleta, dal precedente amministratore B. , dispiegando un argomento del tutto irrilevante, ed anzi ammissivo dell’inattendibilità delle scritture. Costituisce, invero, principio assolutamente consolidato quello per cui l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita cosiddetta testa di legno , in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari ex multis Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271754 . 3.2. Ne discende come nessun rilievo critico introduce la censura del ricorrente, che si limita a rivendicare la traditio delle scritture, inattendibilmente tenute, tra gli amministratori succedutisi, senza criticare il dato essenziale delle caratteristiche delle medesime, alle quali le conformi sentenze di merito riservano la doverosa valutazione, reputandone l’inattendibilità secondo un percorso motivazionale che non evidenzia profili di criticità. 4. Il quarto ed il quinto motivo sono generici. 4.1. Il ricorrente si limita a segnalare il dato, meramente formale, inerente l’omessa esplicita reiezione della richiesta di assoluzione con la formula per non aver commesso il fatto ed il silenzio sulla richiesta derubricazione, omettendo di confrontarsi con il principio, anche di recente riaffermato Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741 per cui non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa ricostruzione - assorbente delle proposte censure che l’avversata sentenza rassegna incensurabilmente, laddove delinea l’elemento soggettivo del reato in termini di dolo generico, facendo corretta applicazione del criterio di imputazione delle responsabilità richiesto tanto per la bancarotta patrimoniale ex multis Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763 , che per quella documentale c.d. generica per tutte Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 . 4.2. Nè la deduzione afferente le diverse statuizioni emesse nei confronti del coimputato B. in separato procedimento risultano assistite dall’allegazione di quale profilo di identità del fatto avrebbe dovuto determinare il medesimo epilogo decisorio, in punto di qualificazione giuridica dei fatti, per il ricorrente. Per altro verso, va ribadito come la sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto, mentre non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017 - dep. 2018, Boschetti, Rv. 271928 . Pertanto, il contrasto di giudicati rilevante, anche virtualmente, sub specie di vizio della motivazione, non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi. Ne discende che la genericità della censura preclude ex se di apprezzare anche il dirimente profilo del se la diversa qualificazione giuridica operata nei confronti del B. sia frutto di una valutazione in diritto o in fatto. 5. Il sesto motivo è manifestamente infondato. 5.1. Le questioni poste in punto di ultrattività dei reati fallimentari in seguito all’introduzione del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza , emanato in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155, non rilevano nel presente procedimento. L’art. 389 del medesimo decreto ne prevede va l’entrata in vigore decorsi diciotto mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 14 febbraio 2019, e, quindi il 15 agosto 2020 termine ulteriormente prorogato dal D.L. n. 23 del 2020 c.d. decreto Liquidità , convertito con L. 5 giugno 2020, n. 40 la L. 1 settembre 2021. Difettano, pertanto, all’evidenza i presupposti in fatto per l’applicazione dell’art. 2 c.p., comma 2, evocati nel ricorso. 5.2. Va, ad ogni modo, già affermato come nessun effetto dispieghi la riforma sul sistema dei reati fallimentari, in presenza di un’evidente continuità normativa che connota i profili penalistici del nuovo codice . Ed invero, non diversamente, ed anzi riproducendo la lettera delle norme incriminatrici declinate nel R.D. 276/1942, , l’art. 329 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza , sotto l’identica rubrica Fatti di bancarotta fraudolenta , prevede che 1. Si applicano le pene stabilite nell’art. 322 nei casi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessi dall’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale , e, quindi, non più fallito agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. 2. Si applicano alle persone suddette la pena prevista dall’art. 322, comma 1, se a hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c Non vi è pertanto alcuna discontinuità del precetto penale nè la risposta sanzionatoria risulta diversa che subentrerà all’attuale disciplina. Nè, nell’odierna fattispecie, si è fatta questione circa l’applicabilità della, questa sì nuova, causa di non punibilità o, in alternativa qualora non ricorra il danno di speciale tenuità , circostanza attenuante, previste dall’art. 25, comma 2, del Codice della crisi d’impresa, peraltro riconducibili ad una iniziativa dell’imprenditore prevista solo dalle nuove norme. 5.2. Quanto alle modifiche introdotte nelle norme civilistiche che presiedono ai presupposti della liquidazione dell’impresa ed alla relativa procedura, solo in minima parte già entrate in vigore in applicazione dell’art. 389, comma 2 del decreto , sostituendo al fallimento la liquidazione , dalla stessa non si ravvisano elementi concreti - e certo non possono esserlo la diversa distribuzione di compiti e poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato e le diverse scansioni processuali - tali da mutare il presupposto, l’ insolvenza dell’impresa , su cui si fondano le norme penali, che, difatti, sono rimaste immutate, tranne nell’aggiornamento del lessico dei nuovi presupposti di applicabilità. Si verte, pertanto, in ipotesi del tutto diversa da quella richiamata dal ricorrente, e relativa all’esplicita abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata ed alla soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 147 , rispetto alla quale è stata, coerentemente, ritenuta l’aboliti criminis Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243586 l’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 147 hanno determinato l’abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale R.D. n. 267 del 1942, art. 236, comma 2 , mentre, nel nuovo codice, al fallimento è stata sostituita la procedura di liquidazione , senza che siffatta modificazione abbia in alcun modo inciso sulla rilevanza penale dei fatti previsti dal R.D. n. 267 del 1994, integralmente richiamati dall’art. 329 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza . Le nuove norme si pongono, pertanto, in perfetta continuità normativa con le precedenti disposizioni contenute del R.D. 16 marzo 1942, n. 267. Il ricorso è, pertanto, complessivamente infondato. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’imputato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.