La bevanda alcolica in mano a una ragazzina fuori da un cocktail-bar non basta per condannare il titolare del locale

Vacilla l’accusa nei confronti del proprietario del locale. Necessario ricostruire, spiegano i Giudici, le modalità che hanno consentito alla minorenne di ottenere la disponibilità della bevanda alcolica.

Beccare una ragazzina – che non ha ancora raggiunto i 16 anni di età – a bere una bevanda alcolica all’uscita di un cocktail-bar di tendenza non è sufficiente per condannare il titolare del locale Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 12058/21, depositata il 30 marzo . All’origine della battaglia legale c’è un controllo effettuato dalle forze dell’ordine all’uscita di un locale in Sicilia. A richiamare l’attenzione è la presenza di una ragazzina – di neanche 16 anni di età – che ha in mano una bevanda . Quella bevanda risulterà essere alcolica , come riscontrato a livello olfattivo dagli agenti. Passaggio successivo è l’atto di accusa nei confronti del titolare del locale , che finisce sotto processo e viene condannato per somministrazione di bevande alcoliche a minorenni . Questa decisione viene contestata col ricorso in Cassazione, ricorso con cui l’uomo sostiene sia mancata la dimostrazione dell’effettiva attività di somministrazione, risultando la mera assunzione della ragazzina, con conseguente assoluta incertezza di una effettiva attività di cessione di bevande alcoliche in suo favore ad opera dei dipendenti del locale. Dando per acclarate l’età della ragazza e la presenza nelle sue mani di una bevanda alcolica, i Giudici della Cassazione ritengono necessario un approfondimento – con una nuova decisione del Giudice di Pace – in merito alla condotta del titolare del locale. Prima di prendere in esame la vicenda, viene ribadito che in linea generale il reato di somministrazione di bevande alcoliche a minori si può concretizzare nella condotta di colui che, in qualità di gestore di bar, somministri bevande alcoliche ad un ragazzino che non ha ancora 16 anni. Per somministrazione si deve intendere, però, letteralmente il concetto di erogazione, ovvero di una forma di cessione a titolo oneroso , mentre in termini giuridici la somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, dietro corrispettivo di un prezzo, ad eseguire prestazioni in favore dell’altra parte . Di conseguenza, stante la natura di reato di pericolo della contravvenzione in questione, la condotta penalmente sanzionata deve ricondursi alla nozione di cessione, anche in unica soluzione , e ciò richiede, precisano i Giudici, la prova della diretta datio di bevande alcoliche da parte del gestore di un pubblico esercizio . Ciò comporta che non vi è responsabilità del titolare del locale se il soggetto minorenne ha direttamente prelevato la bevanda dal frigo bar servendosi da sé, cosiddetto self service , in quanto, in tal caso, la richiesta della merce avviene attraverso un comportamento concludente ed il cliente può consumarla prima ancora di pagarla, con la conseguenza che né il titolare né il gestore dell’esercizio prestano alcun consenso in ordine al prelievo ed al consumo della bevanda e, pertanto, essi non rivestono una posizione di garanzia nei confronti dei clienti . Logico, quindi, affermare che per il reato di somministrazione di bevande alcoliche a minorenni è necessaria la dimostrazione dell’ effettiva somministrazione di bevande alcoliche a soggetti che non hanno ancora 16 anni da parte del gestore del locale o dei suoi dipendenti, solo a tale condotta potendo riferirsi la specifica posizione di garanzia, che non si estende ex se al consumo . Questa visione mette in discussione la responsabilità attribuita dal Giudice di Pace al titolare del cocktail-bar. Per fare chiarezza è ora necessario ricostruire in modo certo le modalità attraverso le quali la ragazzina ha ricevuto la bevanda che stava consumando all’esterno del locale .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 gennaio – 30 marzo 2021, n. 12058 Presidente Catena – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’11 ottobre 2019, il Giudice di pace di Caltanissetta ha affermato la responsabilità penale di M.A. , nella qualità di gestore del locale omissis , per il reato di cui all’art. 689 c.p., per aver somministrato bevande alcoliche a P.R. , infrasedicenne. 2. Avverso la sentenza del Giudice di pace di Caltanissetta ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma del difensore, Avv. Massimiliano Bellini, articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge, sub specie di mancanza della motivazione quanto all’accertamento degli elementi costitutivi del reato, in assenza dell’esplicitazione degli accertamenti svolti tanto in riferimento all’età della P. , ritenuta infrasedicenne alla sola stregua delle dichiarazioni rese dalla medesima alla polizia giudiziaria e senza alcun accertamento anagrafico, che sulla bevanda che la medesima stava consumando. 2.2. Con il secondo motivo, formula analoga censura in riferimento alla dimostrazione dell’effettiva attività di somministrazione, risultando dal testo della sentenza impugnata la mera assunzione della P. , con conseguente assoluta incertezza di una effettiva attività di cessione di bevande alcoliche in suo favore da parte dell’imputato. 3. Con requisitoria scritta D.L. 28 ottobre 2020, n. 37, ex art. 23, il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento con rinvio. Considerato in diritto Il secondo motivo di ricorso è fondato. 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibilmente formulato. 1.1. Il ricorrente lamenta il mancato accertamento della natura effettivamente alcolica della bevanda che P.R. stava assumendo all’atto del controllo, oltre che dell’età della medesima, solo riferita agli operanti. Ebbene, quanto al primo profilo, la sentenza impugnata dà atto della percezione, almeno olfattiva, degli operanti riguardo la natura della bevanda, ben potendo il giudice di merito - in un sistema che non prevede l’utilizzazione di prove legali - ricavarne l’esistenza da elementi sintomatici quali l’aroma vinoso V. in tema di accertamento dello stato di ebbrezza ex multis Sez. 4, n. 4633 del 04/12/2019 -dep. 2020, Carrara, Rv. 278291 donde la sentenza impugnata non rivela, sul punto, il vizio denunciato. 1.2. L’ulteriore profilo di doglianza è, invece, generico. Il ricorrente si limita a predicare l’inadeguatezza delle mere dichiarazioni della P. in riferimento alla data di nascita, rese agli operanti, in punto di dimostrazione dell’età, senza confrontarsi con il principio per cui la genuinità della autenticità delle predette dichiarazioni è, da un lato, logicamente corroborata dalla mancanza di interesse al mendacio dall’altro, siffatta dichiarazione non è stata contrastata dalla difesa mediante produzione del certificato di nascita della medesima che, a prova contraria, l’imputato avrebbe ben potuto introdurre. Con conseguente genericità della censura. 2. È, invece, fondato il secondo motivo. 2.1. La sentenza impugnata non ha affrontato - e risolto - il tema inerente l’elemento oggettivo del reato. Integra, invero, il reato di somministrazione di bevande alcoliche a minori art. 689 c.p. , la condotta di colui che, in qualità di gestore di bar, somministri bevande alcoliche ad un minore degli anni sedici Sez. 5, n. 7021 del 02/12/2010 dep. 2011, R., Rv. 249830 , con conseguente necessità - prima ancora della verifica del grado di diligenza dell’agente - di precisare cosa debba intendersi per somministrazione. Ebbene, nell’ermeneusi della norma incriminatrice, il significato letterale della espressione verbale implica il concetto di erogazione, ovvero di una forma di cessione a titolo oneroso, mentre, in termini giuridici, la somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, dietro corrispettivo di un prezzo, ad eseguire in favore dell’altra prestazioni, specificatamente periodiche o continuative, siffatto ultimo dato costituendo elemento specializzante rispetto alla compravendita. Se ne tre la conseguenza per cui, stante la natura di reato di pericolo della contravvenzione in questione, la condotta penalmente sanzionata deve ricondursi alla nozione di cessione, anche in unica soluzione il che, se da un lato non richiede il carattere della pluralità, postula, nondimeno, sotto il profilo materiale del reato, la prova della diretta datio di bevande alcoliche da parte del gestore di un pubblico esercizio. 2.2. Facendo applicazione di siffatti principi, questa Sezione ha già affermato Sez. 5, n. 4320 del 06/11/2012 - dep. 2013, Celani, Rv. 254391 , coerentemente, come non sussistono gli estremi della fattispecie costitutiva del reato di somministrazione di bevande alcooliche a persona appartenente alle categorie previste dalla norma incriminatrice minori degli anni sedici o soggetti in stato di manifesta ubriachezza , qualora queste ultime abbiano direttamente prelevato la bevanda dal frigo bar servendosi da sé, cosiddetto self service , in quanto, in tal caso, la richiesta della merce avviene attraverso un comportamento concludente ed il cliente può consumarla prima ancora di pagarla, con la conseguenza che nè il titolare, nè il gestore dell’esercizio prestano alcun consenso in ordine al prelievo ed al consumo della bevanda e, pertanto, essi non rivestono una posizione di garanzia nei confronti dei clienti. Deve, pertanto, ribadirsi come, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 689 c.p., è necessaria la dimostrazione dell’effettiva somministrazione di bevande alcoliche a minori degli anni sedici da parte del gestore o dei propri dipendenti, solo a tale condotta potendo riferirsi la specifica posizione di garanzia, che non si estende ex se al consumo, trattandosi di post-factum estraneo all’area di prevenzione delineata a carico del soggetto attivo del reato dalla fattispecie contravvenzionale di pericolo in parola. 2.3. Nel caso in esame, la sentenza impugnata non ha affrontato il punto essenziale inerente le modalità attraverso le quali la P. avesse ricevuto la bevanda che stava consumando all’esterno del locale, e dunque in una fase successiva alla somministrazione, che lascia del tutto impregiudicata la ricostruzione del segmento fattuale antecedente, necessario al fine della integrazione della condotta del reato. 3. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata perché il giudice del merito - in piena libertà di giudizio, ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati - proceda a nuovo esame. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Caltanissetta.