Urla durante la messa, chiede soldi per star zitto: condannato per estorsione

Respinta la tesi difensiva, mirata a presentare i comportamenti incriminati come meramente molesti. Evidente, invece, come l’uomo abbia agito col chiaro scopo di ottenere del denaro.

Rendere problematico lo svolgimento della Messa – arrecando fastidio al sacerdote e ai fedeli, con urla e schiamazzi e utilizzando un linguaggio blasfemo – e chiedere denaro per interrompere quel comportamento molesto è comportamento catalogabile come un’estorsione in piena regola Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 11949/21, depositata il 29 marzo . Contesto dell’assurda vicenda è una parrocchia nella periferia di Roma. Lì un uomo si presenta sistematicamente in chiesa durante lo svolgimento della messa per arrecare fastidio ai fedeli e al sacerdote, a cui chiede poi denaro per smetterla con quel comportamento molesto. Gli incresciosi episodi si ripetono nel corso del tempo, con le funzioni sacre interrotte da urla e blasfemie. Alla fine il parroco segnala la situazione alle forze dell’ordine. Inevitabile il processo per l’uomo, facilmente identificato. E inevitabile la condanna per il reato di estorsione. La linea tracciata dai Giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, viene condivisa e fatta propria anche dalla Cassazione. Nessun dubbio sulla condotta tenuta dall’uomo, che ha costretto il parroco a versargli piccole somme di denaro – tra i 15 euro e i 40 euro – disturbando ripetutamente la celebrazione delle funzioni sacre con schiamazzi ed urla e minacciando il sacerdote di non cessare l’azione di disturbo senza la dazione dei soldi . Respinta la tesi difensiva, mirata a inquadrare i comportamenti dell’uomo come meramente molesti . Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è evidente il delitto di estorsione , poiché vi è stata la coartazione del soggetto passivo che – in quanto ministro di culto – era messo nella sostanziale impossibilità di svolgere la sua funzione dalle attività di disturbo dell’uomo che – ben conoscendo la presenza di simili condotte perpetrate anche da parte di un’altra persona – aveva avuto facile gioco nell’ottenere un corrispettivo per la cessazione delle proprie gridate esibizioni . Evidente, infine, che le azioni di disturbo messe in atto dall’uomo hanno assunto una finalizzazione patrimoniale del tutto estranea al reato di molestie e coessenziale al delitto di estorsione , concludono i Giudici della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 2 dicembre 2020 – 29 marzo 2021, n. 11949 Presidente Gallo – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza in data 20 settembre 2018 del Tribunale di Roma di condanna dell’odierno ricorrente per estorsione per avere costretto, dal 2012 con condotta perdurante, il parroco della chiesa omissis , a versargli piccole somme di denaro tra i 15 e i 40 Euro disturbando ripetutamente la celebrazione delle funzioni sacre con schiamazzi ed urla e minacciando il sacerdote P. di non cessare l’azione di disturbo prima del pagamento delle somme medesime. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato articolando i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge, in merito alla ritenuta configurabilità della fattispecie di cui all’art. 629 c.p La difesa afferma la mancanza di minaccia alcuna non essendovi stati alcun disturbo delle funzioni sacre ed alcuna coartazione effettiva della volontà del parroco ad opera dell’imputato, ma semmai mera condotta molesta da qualificarsi ai sensi dell’art. 660 c.p. Difetterebbe in sostanza l’uso di modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, facendo sì che non le venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire un pregiudizio in tali termini ritenendo debba essere qualificata la condotta di chi alzando il tono della voce per attirare a sé l’attenzione omissis , anche utilizzando un linguaggio blasfemo omissis , chiede denaro per poter cessare da tale comportamento . 2.2. Travisamento della denuncia della persona offesa in punto sussistenza delle condotte minatorie e conseguente illogicità della motivazione. La difesa segnala che il denunciante non aveva fatto riferimento specifico a funzioni religiose ma aveva parlato sia della presenza di fedeli, sia nei vicini uffici e luoghi di svago dell’oratorio e sia della presenza in chiesa di fedeli e che comunque mai di minacce si parlava ma di disturbi con correlativa richiesta di danaro per poter cessare da tale comportamento . Ne deriverebbe che la ricostruzione giudiziale in termini di minacce estorsive si fonderebbe su basi fallaci e risulterebbe nel suo complesso contraddittoria. 2.3. Omessa motivazione in ordine alla richiesta di derubricazione del fatto in termini di molestia continuata avanzata in sede di appello. 3. Il Procuratore Generale - in persona del sostituto Franca Zacco - ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Quanto alla sussistenza degli elementi strutturali del delitto di estorsione, deve rilevarsi come risulti pacifico nel caso di specie che vi sia stata la coartazione del soggetto passivo che - in quanto ministro di culto - era messo nella sostanziale impossibilità di svolgere la sua funzione dalle interessate attività di disturbo del T. che - ben conoscendo la presenza di simili condotte perpetrate anche da parte di altro coimputato - aveva avuto facile gioco nell’ottenere un corrispettivo per la cessazione delle proprie gridate esibizioni. Nel valutare tali condotte, la Corte ha valorizzato caratteri qualificanti della condotta quali la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso operava, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima sul punto cfr. Sez. 6, Sentenza n. 3298 del 26/01/1999 Rv. 212945 - 01 Sez. 2, Sentenza n. 2702 del 18/11/2015 Rv. 265821 - 01 . 1.2. In questi termini, risulta del tutto infondata la prospettazione di alcun travisamento della prova posto che la Corte risulta avere correttamente contestualizzato e descritto le condotte in conformità delle dichiarazioni in atti e il ricorrente propone per altro verso una sotto distinzioni giuridicamente infondate e irrilevanti ai fini della decisione. 1.3. Quanto sopra esclude la possibilità di qualsivoglia diversa qualificazione dei fatti perché molestie e disturbo richiamati dall’art. 660 c.p. risultano avere assunto nel caso di specie una finalizzazione patrimoniale del tutto estranea al reato di molestie e coessenziale al delitto di estorsione. Coerente a tali principi è del resto la consolidata e ultradecennale giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez. 2, n. 1977 del 09/10/1981 Rv. 152480 - 01 e Sez. 2, n. 1500 del 08/11/1978 Rv. 141086 - 01 . 1.3. In punto residua dichiarazione di penale responsabilità del T. e al dedotto travisamento in relazione agli elementi di fatto richiamati dal ricorrente, sussiste una doppia pronuncia conforme. Va al proposito ricordato che sussiste una preclusione alla deducibilità del vizio di travisamento della prova di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , in relazione a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori, suscettibili di autonoma considerazione, comuni al primo ed al secondo grado di giudizio Sez. 5, Sent. n. 18975 del 13/02/2017 Rv. 269906 Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, 29/01/2014, Capuzzi, Rv. 258438 . 1.4. Le rimanenti deduzioni risultano finalizzate ad una rilettura delle istanze istruttorie di cui si chiede a questa Corte una diretta valutazione. Va ricordato che, per consolidato orientamento di questa Corte, il giudizio di legittimità non si costruisce sull’esame delle possibilità rappresentative, anche plausibili, del fatto, ma sull’opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità nuove attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa, del tema probatorio si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178 . Del resto, nemmeno è possibile ritenere insussistente il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza sulla base di una inammissibile valutazione separata ed atomistica dei vari dati probatori, sussistendo motivazione che adeguatamente evidenzia come tali dati, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, risultino idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente Sez. 2, Sent. n. 9269 del 05/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 254871 . 2. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3000,00. L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.