Assolto ma…giustamente detenuto

Al Giudice della cognizione penale occorre molto” per poter condannare, al Giudice della riparazione basta poco” per negare l’indennizzo all’ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p. In specie, osta all’indennizzo l’accertamento di una condotta negligente, imprudente o trascurata del richiedente che ha ingenerato nei suoi confronti la ragione dell’intervento restrittivo della libertà personale.

Così la Cassazione, sez. IV Penale, sentenza n. 11475/2021, depositata il 25 marzo. Una condotta però ambigua del ricorrente. L’operatore di una azienda pubblica siciliana in cronico deficit di bilancio avrebbe falsamente attestato il chilometraggio di più mezzi pubblici al fine di consentire all’azienda di ottenere dalla Regione più consistenti erogazioni e rimborsi delle accise sui carburanti. Finì agli arresti domiciliari, poi revocati a seguito di riesame ex art. 309 c.p.p. per mancanza delle esigenze cautelari – pur ritenuti sussistenti gli indizi di reità -. La condotta fu poi giudicata inoffensiva dal Giudice della cognizione penale per l’irrilevanza dei sistemi di tracciamento chilometrico – mal funzionanti e comunque vetusti - per l’ottenimento dei contributi e per una sorta di vacua incoscienza dell’operatore, poco attento a svolgere con dovizia l’incarico preposto. Non fu reato, l’operatore assolto. Questi produce domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p., che la Cassazione in parola nega avendo comunque ravvisato elementi di colpa in capo al richiedente – in specie, ritenendo che il mancato controllo/riparazione a basso costo degli apparecchi di rilevazione chilometrica avesse agevolato il reato -. Giudice della riparazione contro” Giudice della cognizione penale. Condotte dolose o colpose dell’indagato possono essere rivalutate dal Giudice della riparazione – se escluse dal Giudice della cognizione -, a sondare la sussistenza del diritto all'indennizzo. Non osta al Giudizio della riparazione l’esame di materiale istruttorio non acquisito al fascicolo dibattimentale ex art. 431 c.p.p. – ossia gli atti fisiologicamente inutilizzabili -. Il Giudice della riparazione deve comunque apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili – nessuno escluso, salvo il limite delle prove contra legem -, con particolare riferimento all’indagine di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, pur anche non integranti reato, allorchè abbiano ingenerato o concorso a ingenerare – ammesso l’errore dell'autorità procedente –la falsa apparenza della configurabilità di un illecito penale. Ancor prima, devesi intendersi rilevanti anche i comportamenti antecedenti all’inizio dell'attività investigativa purchè idonei a trarre in inganno l'Autorità giudiziaria che ha disposto sulla coercizione dell’indagato. In breve, al Giudice della cognizione occorre molto per poter condannare – cfr. l’oltre ragionevole dubbio ex art. 533 c.p.p. -, al Giudice della riparazione basta poco per negare l’indennizzo all’ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p. Negligenza e trascuratezza escludono l’indennizzo. L’incombenza di servizio avrebbe richiesto più attenzione, con poca spesa l’operatore avrebbe potuto riparare il sistema di rivelazione ed impedire la protrazione del reato. La colpa grave ostativa all’indennizzo è tale quando determinata da negligenza, imprudenza o trascuratezza macroscopiche, tali da superare il comune buon senso ed ingeneranti la prevedibile ed evitabile ragione di intervento dell'Autorità giudiziaria con l'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 febbraio – 25 marzo 2021, n. 11475 Presidente Ciampi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Messina, con ordinanza del 4/7/2019 rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex art. 314 c.p.p., dall’odierno ricorrente, C.C. , subita per i reati di cui agli artt. 640 bis, 48, 476 e 479 c.p., in regime di arresti domiciliari dal 18/11/2011 al 9/12/2011 in cui si chiedeva di tenere conto del licenziamento illegittimamente subito, del danno patrimoniale conseguito ai mancati guadagni, di quello non patrimoniale determinato dal danno all’immagine e del danno biologico, nonché delle spese legali sostenute. A seguito dell’ordinanza di custodia cautelare emessa in data 15/11/2011 C.C. era stato sottoposto agli arresti domiciliari per reati di cui agli artt. 640 bis, 48, 476 e 479 c.p., per avere, con condotte reiterate nel tempo dal 2003 al 2006 , nella qualità di direttore generale dell’ATM Azienda Municipalizzata Trasporti di Messina con artifici e raggiri consistiti nel trasmettere alla Regione Siciliana falsi consuntivi relativi alla percorrenza chilometrica annuale dei mezzi di trasporto dell’azienda, che riportavano una falsa percorrenza, ben maggiore di quella reale, indotto in errore la Regione che negli anni erogava maggiori contributi pubblici denominati Contributo di Esercizio, procurando ingiusti profitti per l’Azienda da utilizzare per pagare un maggior numero di ore di straordinario ai dipendenti, consentendo ai dipendenti dell’ATM di percepire indebitamente l’indennità mensile detta premio corse . Secondo l’impostazione accusatoria il meccanismo truffaldino si estendeva anche nella trasmissione alla Agenzia delle Dogane di falsi consuntivi sulla percorrenza chilometrica annuale ben maggiore di quella reale ottenendo così indebiti rimborsi delle accise sul carburante effettivamente consumato. L’ordinanza custodiale veniva annullata dal Tribunale per il Riesame con specifico riferimento alle esigenze cautelari fermo restando il grave quadro indiziario prospettato nell’articolato provvedimento. Con sentenza emessa dal Tribunale di Messina in composizione monocratica in data 26/2//2016 il C. è stato assolto dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. La sentenza è divenuta irrevocabile il 22/3/2017. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, C.C. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, nonché vizio motivazionale del provvedimento impugnato. Con un unico motivo si deduce violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 111 Cost., in relazione agli art. 314 c.p.p., comma 1, art. 315 c.p.p., commi 2 e 3 e in relazione all’art. 36 c.p.p., comma 3. Ci si duole dell’illegittimità dell’ordinanza resa all’udienza del 7/2/2019 con cui il Presidente della Corte, rilevato che uno dei componenti del collegio, Dott.ssa ORLANDO, aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare, rinviava il procedimento ad altra udienza, assegnando per la trattazione la Dott.ssa ARENA. Il ricorrente rileva che sarebbe stata necessaria la dichiarazione di astensione della Dott.ssa Orlando e la decisione del Primo Presidente della Corte di Appello per l’astensione e la designazione di nuovo consigliere ai sensi dell’art. 36 c.p.p., comma 3. Ci si duole, inoltre della contraddittorietà del rigetto dell’istanza di riparazione rispetto all’ordinanza del 7/3/2019, con cui la Corte di Appello, rimettendo il procedimento sul ruolo, onerava la difesa della produzione del verbale di interrogatorio di garanzia. L’ordinanza impugnata viene definita antitetica rispetto alla ritenuta necessità di allegazione del verbale di interrogatorio, che di fatto non viene valutato, se non per la parte in cui il giudice della riparazione ravvisa un’implicita ammissione della manomissione dei contachilometri. Ma, rileva il ricorrente, l’ordinanza del 7/3/2019 disponeva l’acquisizione del verbale di interrogatorio di garanzia, mentre la Corte distrettuale analizzava un altro documento, fornito spontaneamente dal difensore, costituito dal verbale di interrogatorio del 6/10/2010, precedente alla fase cautelare. Si sottolinea, anche, che la corte di appello avrebbe ignorato altri tre verbali, sempre depositati dal difensore. In ogni caso, con riferimento al verbale di interrogatorio richiamato dal giudice della riparazione, l’ordinanza impugnata viene definita abnorme, laddove ritiene la consapevolezza del C. sull’avvenuta manomissione dei contachilometri, perché lo stesso C. definiva equivoco il sistema dei contachilometri. In realtà, si chiarisce che il C. definiva equivoco il sistema dei contachilometri in quanto tali strumenti segnavano il chilometraggio di tutti i percorsi effettuati dai veicoli, anche per rifornimento carburante, manutenzione, collaudi, dal capolinea al deposito, e non solo quello da capolinea a capolinea ammesso ad ottenere il contributo. Pertanto il riferimento a tale unico sistema avrebbe certamente indotto la Regione a erogare un contributo superiore al dovuto. Se il giudice della riparazione avesse analizzato tali dichiarazioni contenute nella sentenza del tribunale, non avrebbe potuto ravvisare dolo o negligenza nella condotta del C. . In nessuna considerazione sarebbe stato tenuto che il C. , direttore generale, doveva relazionarsi con i responsabili del procedimento per l’elaborazione dei consuntivi chilometrici e non aveva alcuna ragione per contrastare le loro conclusioni. Ci si duole che il giudice della riparazione abbia fondato il proprio convincimento sugli atti della fase cautelare, sconfessando la sentenza di assoluzione e ignorando le acquisizioni probatorie dibattimentali, tra cui la perizia che avrebbe smentito gli indizi acquisiti durante le indagini, fondati principalmente sulla consulenza disposta dal P.M. Il provvedimento di rigetto sarebbe fondato, quindi, su elementi fattuali, genericamente evocati, acquisiti in fase di indagine e smentiti dall’istruttoria processuale. Pertanto, sarebbe illegittimo detto utilizzo di elementi acquisiti in fase di indagini senza verifica delle prove contrarie acquisite nel dibattimento, in particolare della perizia che avrebbe determinato l’assoluzione, non impugnata. Si sottolinea che anche la Procura concludeva per l’accoglimento dell’istanza di riparazione. La motivazione del provvedimento impugnato viene definita illogica e carente, in particolare laddove, attribuendo un comportamento doloso o quantomeno negligente al C. , sostiene che lo stesso avrebbe dovuto predisporre maggiori controlli. Vi sarebbe stata una sottovalutazione del ruolo apicale del C. , superiore ai funzionari dell’A.T.M. che avevano l’onere di verifica delle schede e di attestazione della veridicità. Viene fatto ricorso al principio di gerarchia negli enti pubblici per la diversificazione di funzioni e responsabilità, che sarebbe stato ignorato dalla corte di appello riconducendo la responsabilità al direttore generale C. . Il ricorrente rileva, in relazione all’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata sulla condivisione da parte del tribunale del riesame della valutazione operata dal giudice della cautela sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza, che tale convincimento era stato determinato dalle deduzioni del consulente del P.M., poi rivelatesi completamente errate. Vengono, quindi, riportati numerosi passi della sentenza assolutoria che smentiscono completamente la perizia. In riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato relativamente alla consapevolezza da parte del C. del malfunzionamento dei contachilometri, che avrebbe dovrebbe indurlo ad un maggiore controllo, si osserva, ancora, che la constatazione del malfunzionamento avrebbe rappresentato il maggior elemento di suggestione a fondamento dell’accusa. La stessa circostanza viene richiamata -continua il ricorrente quale elemento probante la volontà di perpetrare i reati contestati dal P.M. ed esclusi dal tribunale con la formula dell’art. 530 c.p.p., comma 2. Si insiste sull’avvenuta dimostrazione, in sede dibattimentale, dell’insussistenza dei reati, riportando la motivazione della sentenza di assoluzione ed evidenziando l’ininfluenza del chilometraggio segnato dai contachilometri ai fini dell’erogazione dei contributi e l’incompetenza del consulente del P.M. sull’argomento. Si evidenzia la mancanza di nesso logico tra malfunzionamento dei contachilometri e presunta alterazione dei consuntivi chilometrici, smentendo così l’argomentazione dell’impugnato provvedimento, dal momento che il C. non avrebbe mai potuto mettere in relazione il malfunzionamento dei contachilometri con la presunta alterazione dei consuntivi chilometrici. Si ricorda infine che, come si legge nella sentenza del tribunale, un controllo delle percorrenze nei cinque anni di indagine avrebbe richiesto un impegno di circa 1000 giorni lavorativi, risultando quindi non compatibile con l’impegno del direttore generale, che delegava per tale compito un responsabile del procedimento e due addetti. Ci si duole, inoltre, della contraddittorietà del provvedimento impugnato laddove da un lato rimprovera la mancata manutenzione dei contachilometri, comportante, tra l’altro, una spesa esigua e, dall’altro, dà atto dei rilevanti problemi di bilancio gravanti sull’azienda. Si aggiunge che certamente quella spesa non era tra le più urgenti e che l’esiguità del costo non comprendeva la manodopera nè i minori incassi per il fermo tecnico. Di conseguenza apparrebbe infondata la ritenuta negligenza per non aver provveduto alla riparazione dei contachilometri. Si contesta l’avvenuta attribuzione al C. della frase sulla stampa è uscito che siamo usciti con 31 autobus perché risalente ad epoca successiva alla notifica degli avvisi di garanzia. Così come si c. sta la negligenza del C. per non aver tenuto conto del presunto mancato raggiungimento del 97% di corse effettuate rispetto a quelle programmate per la corresponsione del premio risultato ai dipendenti. Anche questa affermazione sarebbe frutto delle errate e suggestive argomentazioni del consulente del P.M. che produceva ben sei relazioni, di volta in volta, a correzione della precedente. Si lamenta la mancata analisi delle trascrizioni dei verbali di udienza e delle dichiarazioni dei testi L. e G. sulle modalità del premio erogato agli autisti. Così come sarebbe stata ignorata la circostanza che il C. veniva confermato nella carica per 15 anni, con attestati di stima, mentre il licenziamento sarebbe dipeso esclusivamente dal procedimento penale, legittimandosi così il diritto all’elevato importo chiesto per la riparazione dell’ingiusta detenzione. Si conclude ribadendo la non ravvisabilità di una negligenza del C. ed evidenziando l’incongruenza dell’affermazione sulla possibilità di garantire la quasi totalità delle corse programmate con un parco mezzi estremamente ridotto. Anche tale affermazione sarebbe frutto di errore essendo stati esclusi dal conteggio per il rimborso delle accise tutti i veicoli non idonei, ottenendo un rimborso inferiore a quello possibile. Ancora una volta ci si duole della valorizzazione degli elementi offerti dagli inquirenti dal consulente del P.M., piuttosto che dalla sentenza del tribunale. Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, eventualmente senza rinvio, con quantificazione dei danni morali e patrimoniali. 3. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 18/12/2020 ha rassegnato ex art. 611 c.p.p., le proprie conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. 4. In data 18/1/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte il Ministero dell’Economia e delle Finanza, a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso è infondato. Il ricorrente pare chiedere una verifica della legittimità della sostituzione del componente del collegio Dott.ssa Orlando, la quale aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare, con la Dott.ssa Arena, senza che la prima avesse dichiarato di astenersi. Ebbene, il motivo è infondato, dovendosi richiamare sul punto e qui ribadire l’orientamento di cui alla sentenza di questa Sez. 4, n. 113 del 31/1/1994 Corrias, Rv. 196972 per cui il procedimento di cui all’art. 314 c.p.p. riparazione per l’ingiusta detenzione ha natura civile processualistica ed è del tutto diverso dal processo penale da cui trae origine pertanto non possono applicarsi ad esso, perché inconfigurabili le situazioni di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento previste dall’art. 34 c.p.p Va anche ricordato, peraltro, che per costante orientamento di questa Corte, l’assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio, salvo il possibile rilievo disciplinare, può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all’art. 33 c.p.p., comma 1, non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti. Peraltro, al riguardo, il ricorso appare privo della necessaria specificità ed anzi meramente esplorativo . 3. Infondate sono anche le doglianze che censurano l’ordinanza della Corte messinese laddove ha ritenuto che il C. versasse in colpa grave per aver controfirmato le schede pur avendo elementi per dubitare della loro veridicità e così dovendo piuttosto predisporre adeguate verifiche. Va ricordato, in proposito, che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non può investire naturalmente il merito. Ciò ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 646 c.p.p., secondo capoverso, da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’art. 315 c.p.p., comma 3. Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito in sede di corte di appello non può trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiché una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l’art. 646 c.p.p., comma 3 al quale rinvia l’art. 315 c.p.p., u.c. stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall’art. 606 c.p.p., con tutte le limitazioni in essi previste cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte . 4. Il giudice della riparazione, nel caso che ci occupa, motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto. L’art. 314 c.p., com’è noto, prevede al comma 1 che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave . In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare art. 314 c.p.p., comma 1, ultima parte l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004 . In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637 . Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto dell’art. 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso. In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034 . Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664 . E, ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un errore giudiziario , venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta , in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto così Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni travisanti , aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni . 5. Va poi osservato che vi è totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione anche atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Ciò perché è prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che può essere ritenuta insufficiente e condurre all’assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell’imputato, l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice. È pacifico cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418 che, in sede di giudizio di riparazione ex art. 314 c.p.p., ed al fine della valutazione dell’an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l’ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine è necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall’istante sia prima che dopo la perdita della libertà personale e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico cfr. Sez. Un. 32383/2010 , onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall’esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto cfr. anche la precedente Sez. Un. 26/6/2002, Di Benedictis . A tal fine vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo , quanto di tipo processuale autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi che non siano state escluse dal giudice della cognizione cfr. questa sez. 4, n. 45418 del 25.11.2010 . La colpa dell’istante è ostativa al diritto per le argomentazioni espresse, tra le altre, da Sez. 4, n. 1710 del 27.11.2013 sez. 4, n. 1422 del 16 ottobre 2013 . non potendo l’ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, . obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società trattasi, infondo, della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056 c.c. , deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo . non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui ci interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione . quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso . . 6. Nel provvedimento impugnato è stato congruamente e logicamente posto in evidenza come vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza della colpa grave nella condotta del ricorrente. Come evidenzia il giudice della riparazione, con la sentenza di assoluzione, divenuta irrevocabile, il tribunale ha recepito il contenuto della perizia conferita all’ing. L.C. , avuto riguardo alle contrapposte conclusioni dei consulenti delle parti processuali, ritenendo di non poter affermare con la dovuta certezza la responsabilità del C. in ordine ai reati a lui ascritti. La Regione Siciliana ricorda ancora il provvedimento impugnato eroga alle aziende per i trasporti un contributo d’esercizio in funzione delle percorrenze chilometriche annuali dei veicoli, nonché un rimborso dell’accisa sul carburante consumato, sempre in proporzione della percorrenza annuale. È evidente, quindi, che l’indicazione di tale dato e, prima ancora, la sua determinazione precisa abbia un rilievo fondamentale al fine dell’ottenimento dei contributi pubblici. Al momento dei fatti contestati il C. , Direttore Generale dell’ATM di Messina, azienda con rilevanti problemi di bilancio, secondo l’impostazione recepita dal giudice della cautela, proprio in virtù dell’incarico ricoperto, avrebbe avuto un ruolo determinante nella perpetrazione delle condotte truffaldine contestate avendo egli compilato e trasmesso le richieste di contributi in questione determinando l’avvio della procedura di erogazione delle somme. Invero, in base alla ricostruzione effettuata nell’ordinanza di sottoposizione della misura in seno alla predetta azienda pubblica era stato ordito un complesso meccanismo finalizzato, tramite la falsa attestazione dei chilometraggi percorsi dei mezzi del trasporto pubblico e del relativo carburante utilizzato, ad ottenere l’erogazione da parte della Regione di finanziamenti indebiti. Sulla scorta di tale ricostruzione, il C. veniva quindi sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per il periodo compreso tra il 15 novembre 2011 e il 9 dicembre 2011, data in cui la misura veniva revocata da parte del Tribunale del Riesame. Il giudice del gravame cautelare, infatti, pur ritenendo di condividere in toto la valutazione operata dal giudice della cautela sotto il profilo della sussistenza in capo al C. di indizi di colpevolezza di consistenza tale da giustificare l’applicazione della misura giudicava, tuttavia, non attuali le esigenze cautelari, avuto anche riguardo alla cessazione dell’accusato dalla carica per l’innanzi ricoperta ed alla conseguente impossibilità di perpetrare ulteriormente le condotte in questione. Ebbene, con motivazione logica e congrua -che, pertanto, si sottrae alle censure di legittimità il giudice della riparazione spiega che la condotta del C. sebbene non ritenuta dal giudice di merito tale da integrare gli estremi del reato contestato, si è certamente prestata a ingenerare dubbi che hanno pienamente giustificato, alla luce del materiale probatorio in atti, l’applicazione della misura. È fuori discussione che, come si legga alle pagg. 64/65 della sentenza è risultata accertata ai fini di una possibile condanna l’assoluta irrilevanza del malfunzionamento dei contachilometri e alla omessa riparazione degli stessi . Diversa, tuttavia, è la considerazione che le condotte di chi doveva controllare possano costituire la colpa grave ostativa al riconoscimento del chiesto indennizzo. Logico appare il rilievo del giudice della riparazione che, anche a voler ritenere che il chilometraggio effettivamente percorso dai mezzi non fosse misurabile con precisione a causa di malfunzionamenti dei contachilometri, si tratti di circostanza di cui il C. era perfettamente consapevole e che avrebbe potuto e dovuto indurre quest’ultimo, alla luce del ruolo di responsabilità ricoperto, ad effettuare, prima di sottoscrivere le schede da inviare alla Regione e consapevole della loro funzione, controlli particolarmente penetranti. Il C. , invece, si limitava a rilasciare di anno in anno, in allegato alla documentazione contabile peraltro, assai lacunosa consegnata all’Agenzia delle Dogane in sede di richiesta di rimborso accisa, un’attestazione di responsabilità in cui si precisava che relativamente alle colonne litri consumati e km. percorsi le stesse non sono state compilate per ogni singolo veicolo in quanto a causa della vetustà di una consistente parte di essi, i relativi contachilometri non sono più funzionanti nè è stato possibile procedere alla loro riparazione per la soggettiva difficoltà od impossibilità di reperire sul mercato i necessari ricambi . Peraltro, anche tale assunto risultava foriero di numerosi dubbi per avere gli investigatori e il consulente tecnico di parte stimato la somma necessaria per la riparazione di siffatta strumentazione in un ammontare particolarmente esiguo punto questo non oggetto di perizia nel corso del giudizio di primo grado . Per la Corte messinese la condotta negligente del C. è tanto più evidente se si considera che lo stesso, pur consapevole della grave situazione del parco mezzi della società in una conversazione lo stesso, infatti, affermava chiaramente pure sulla stampa è uscito che siano usciti con 31 autobus, 27 autobus, 24 .è ovvio che non mi metto a fare il conto però , non aveva avuto remore nel sottoscrivere le schede in questione attestanti livelli di chilometraggio che ictu oculi dovevano quantomeno destare qualche sospetto in quanto particolarmente elevate se valutate alla luce dei mezzi a disposizione il cui numero nel tempo si era assottigliato. Sulla scorta di tali emergenze, logica appare la considerazione del giudice della riparazione che ritiene indubbio come un maggior rigore nei conteggi fosse, alla stregua dei mezzi nella disponibilità dell’azienda, ben possibile, diversamente non comprendendosi come mai proprio a partire dal 2008, cioè in corrispondenza dell’avvio delle indagini dei Carabinieri sull’assenteismo, si sia registrato un maggior rigore nella compilazione delle schede. Per la Corte messinese una non comune negligenza nello svolgimento dei compiti a lui affidati è evidente poi se si considera che il C. , pur consapevole dell’indisponibilità di molti mezzi con conseguente riduzione delle corse effettive rispetto a quelle programmate, non si sarebbe neppure insospettito dall’attribuzione del c.d. premio corsa ai dipendenti, premio che presupponeva il raggiungimento della soglia del 97% delle corse programmate. Logico pare in proposito il rilievo che non si vede come, se non a causa di una non comune negligenza e leggerezza nello svolgimento dei suoi compiti, l’accusato potesse ritenere che con un parco mezzi estremamente ridotto e colpito da numerosi guasti, si fossero potute garantire la quasi totalità delle corse programmate. Tenuto conto della situazione in cui versava l’azienda tale da un lato, alla luce della riduzione dei mezzi effettivamente funzionanti, da rendere inverosimile un chilometraggio elevato e dall’altro, essendo il C. consapevole delle manomissioni dei contachilometri o quanto meno dell’equivocità di quel sistema di controllo nel corso dell’interrogatorio del 6/10/2010 lo stesso definiva il sistema dei contachilometri come equivoco , e basta questo, al di là che ciò costituisca, come afferma il giudice della riparazione, una consapevolezza della loro manomissione , da imporre una particolare cautela nel relativo calcolo, essendo questi tenuto, per il ruolo ricoperto, a controfirmare le schede attestandone la veridicità e curandone la trasmissione all’ente per l’erogazione dei contributi, è evidente che lo stesso abbia tenuto una condotta che se non dolosa è stata quantomeno gravemente negligente. 7. Il ricorso del C. , che non casualmente richiama l’art. 125 c.p.p., comma 3, si muove sul piano della prova della colpevolezza, che nel caso che ci occupa è pacifico essere stata esclusa. Il piano che ci occupa, invece, è quello della colpa sinergica all’adozione della misura a suo carico, e su tale piano appare corretto il rilievo operato dal giudice della riparazione che, anche ammesso che lo stesso non fosse consapevole del carattere indebito delle attestazioni funzionali all’erogazione dei contributi pubblici come ritenuto dal primo giudice, avrebbe dovuto avere il dubbio che le schede da lui controfirmate non corrispondessero al vero e di conseguenza predisporre maggiori e più penetranti controlli. La motivazione con cui la condotta emersa dall’intero compendio integra appare logica e fare buon governo del già ricordato e richiamato principio secondo cui la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta detenzione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extraproces-suale grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da avere dato causa all’imputazione o processuale autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incidenza della detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente conferente il richiamo a Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014 dep. 2015, Garcia De Medina, Rv. 263197 . Coerente appare, pertanto, la conclusione che il C. abbia creato i presupposti per l’applicazione della misura cautelare attraverso la propria condotta connotata di evidente colpa grave poiché nel rispetto dell’incarico affidatogli avrebbe dovuto, proprio in quanto consapevole della possibile manomissione dei contachilometri dei mezzi e del numero ridotto di quelli effettivamente in funzione, attivare i controlli necessari ad esempio, anche tramite la verifica dell’estensione chilometrica effettiva delle varie tratte nonché del numero dei mezzi che aveva riportato guasti . Il C. , a prescindere dalla questione sollevata in ricorso sul tema della gerarchia nell’amministrazione degli enti, era il firmatario dell’attestazione di responsabilità che veniva consegnata annualmente all’Agenzia delle Dogane unitamente alla documentazione contabile, definita assai lacunosa, per il rimborso delle accise. 8. Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese al resistente Ministero dell’Economia e delle Finanze che, alla luce dei pertinenti e puntuali motivi versati in atti dall’Avvocatura dello Stato, tesi efficacemente a contrastare quelli di cui al proposto ricorso, vengono liquidati come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi Euro mille.