La truffa è aggravata se si scelgono come vittime uomini di chiesa

Condanna confermata per un uomo che con un racconto assolutamente falso ha convinto tre sacerdoti a donargli del denaro contante. Indiscutibile la truffa messa in atto, ed evidente come la scelta delle vittime non sia stata assolutamente casuale.

Ha impietosito con una storia strappalacrime – assolutamente falsa – tre preti ed è riuscito a farsi dare del denaro. Una volta scoperta la bugia, però, l’uomo si è ritrovato processato e condannato per la truffa messa in atto, resa più grave proprio dall’avere approfittato della sensibilità di tre uomini di chiesa Cassazione, sentenza n. 10238/21, sez. II Penale, depositata il 17 marzo . Scenario della vicenda è la provincia piemontese. Lì un uomo, Claudio – nome di fantasia -, avvicina tre sacerdoti, chiedendo loro un aiuto economico e spiegando di essere disperato per l’improvvisa perdita della madre e per l’indisponibilità del denaro liquido necessario per affrontare il viaggio e partecipare al funerale in Sicilia. I tre uomini di chiesa, impietositi dal dramma raccontato dall’uomo, gli consegnano denaro contante . Come si scoprirà poi, però, la storia è assolutamente falsa, e peraltro è stata raccontata da Claudio anche al titolare di una tabaccheria, sempre per ottenere soldi. Inevitabile lo strascico giudiziario. E, una volta ricostruita la condotta tenuta da Claudio, i giudici di merito ritengono sacrosanta la condanna per il reato di truffa , avendo l’uomo utilizzato artifizi e raggiri per impietosire i tre sacerdoti e convincerli a consegnargli denaro contante. E a rendere più grave il comportamento dell’uomo è proprio l’avere agito contro tre ministri del culto cattolico, vulnerandone l’integrità morale . In Cassazione il difensore di Claudio sostiene che il suo cliente ha posto in essere le proprie condotte senza scegliere in base alla qualità o all’attività delle proprie vittime, come dimostra la circostanza che una truffa è stata consumata in danno del titolare di una tabaccheria . Peraltro, l’essere vittima di un comportamento fraudolento non sminuisce le qualità morali della vittima , osserva il legale, aggiungendo che in questo caso specifico la truffa non appare condotta idonea ad offendere l’integrità morale ossia l’onore e il decoro delle persone offese , cioè dei tre uomini di chiesa. Dalla Cassazione ribattono però che è legittimo considerare più grave la condotta tenuta da Claudio proprio perché compiuta contro alcuni ministri del culto cattolico. Nella vicenda, poi, è evidente che le tre persone offese sono state individuate e più facilmente raggirate proprio in quanto preti , osservano i giudici. In sostanza, la condotta fraudolenta è stata agevolata dalla propensione delle persone offese, derivante dal precetto religioso, di aiutare il prossimo e la truffa ha altresì cagionato danno all’integrità morale dei tre sacerdoti , precisano ancora i giudici. Su questo fronte il legale di Claudio ha posto in evidenza un’identica truffa messa a segno dal suo cliente in danno del titolare di una tabaccheria ciò dimostrerebbe, a suo dire, che la scelta dei parroci è stata del tutto casuale, e che la truffa non è idonea a lederne l’integrità morale . Questa visione viene però respinta in modo netto dai magistrati della Cassazione, i quali sottolineano che la ratio della specifica aggravante consiste nell’esigenza di garantire una tutela rafforzata in favore di alcuni soggetti in ragione del peculiare ruolo da loro svolto e che proprio le opere di carità rappresentano un servizio tipico del ministero cattolico, sicché modeste elargizioni a persone bisognose o indigenti costituiscono una costante dell’attività dei parroci . Legittimamente, quindi, si è ritenuta più grave la condotta di Claudio, tenendo presente la maggiore vulnerabilità dei tre sacerdoti, vulnerabilità derivante dalla loro peculiare funzione di ministri del culto . Tirando le somme, la qualità di ministro di culto ha indirizzato la scelta delle vittime da parte di Claudio, consapevole che i preti erano soggetti più sensibili ad accoglierne le finte istanze di aiuto , concludono i giudici della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 gennaio – 17 marzo 2021, n. 10238 Presidente Verga – Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1.La CORTE di APPELLO di Torino, con la sentenza impugnata, parzialmente riformando la sentenza resa il 7 giugno 2018 dal Tribunale di Aosta, ha confermato la responsabilità di S.G. in ordine a diversi reati di truffa a lui ascritti e ha escluso l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 5, rideterminando la pena inflitta. Si addebita all’imputato di avere con artifizi e raggiri, consistenti nel fingersi disperato per l’improvvisa perdita della madre e per l‘indisponibilità del denaro liquido necessario per affrontare il viaggio e partecipare al funerale,indotto tre parroci a consegnargli denaro contante. 2.Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo 2.1 violazione di legge in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 10 e vizio della motivazione in quanto la corte d’appello ha giustificato la sussistenza di detta aggravante, riconosciuta in ordine agli episodi di truffa contestati ai capi A, B e D, sul rilievo che le vittime sono ministri del culto e nell’occasione sarebbe stata vulnerata l’integrità morale delle persone offese. Osserva il ricorrente che l’imputato ha posto in essere le proprie condotte senza scegliere in base alla qualità o all’attività delle proprie vittime, come dimostra la circostanza che la truffa contestata al capo C dell’imputazione è stata consumata in danno del titolare di una tabaccheria. Quanto al secondo assunto, nella motivazione della sentenza si richiama la giurisprudenza di legittimità e in particolare la pronunzia del gennaio 2013 numero 3339 per sostenere che nel caso concreto l’imputato truffando tre parroci avrebbe leso l’integrità morale delle persone offese e per ciò stesso avrebbe agito contro e non soltanto in danno dei ministri di culto. E tuttavia nel caso in esame l’essere stato vittima di un comportamento fraudolento non sminuisce le qualità morali della vittima e la truffa non appare condotta idonea ad offendere l’integrità morale ossia l’onore e il decoro delle persone offese. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Occorre preliminarmente ricordare che non sono denunciabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza impugnata con riferimento ad argomentazioni giuridiche delle parti, in quanto, se il giudice ha errato nel non condividerle, si configura il diverso motivo della violazione di legge, mentre, se fondatamente le ha disattese, non ricorre alcuna illegittimità della pronuncia, anche alla luce della possibilità, per la Corte di cassazione, di correggere la motivazione del provvedimento ex art. 619 c.p.p. Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 - dep. 26/10/2017, Emmanuele, Rv. 27145101 . La previsione di un aggravamento di pena, per qualsiasi tipo di reato, allorché il fatto sia commesso contro determinate figure istituzionali nell’atto o causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio , non può spiegarsi altrimenti che con l’intento del legislatore di offrire loro una protezione rafforzata, quale ulteriore presidio di garanzia del prestigio e dell’autorevolezza delle istituzioni pubbliche o di rilevanza pubblica, nel caso delle autorità religiose che essi rappresentano. Se, dunque, questa è la ratio della fattispecie circostanziale in rassegna, essa deve reputarsi integrata tutte le volte in cui sia possibile stabilire un collegamento di tipo funzionale tra l’offesa integrante il reato ed il ruolo del soggetto passivo ciò che si realizza, irrefutabilmente, nel caso in cui la condotta delittuosa attinga una di quelle figure istituzionali durante l’esercizio delle sue funzioni nell’atto , anche se per motivi non attinenti a queste ma altresì quando l’offesa criminale sia comunque ricollegabile a causa al ruolo istituzionale del destinatario di essa. Nel caso in esame la corte ha respinto lo specifico motivo di appello affermando che le tre persone offese sono state individuate e più facilmente raggirate proprio in quanto ministri del culto cattolico la condotta fraudolenta è stata agevolata dalla propensione delle persone offese, derivante dal precetto religioso, di aiutare il prossimo e la truffa ha altresì cagionato danno all’integrità morale delle vittime. Il ricorrente contesta le dette argomentazioni rilevando che altro analogo episodio di truffa, oggetto del medesimo processo, è stato consumato in danno del titolare di una tabaccheria il che dimostrerebbe che la scelta dei parroci è stata del tutto casuale, e che la truffa non appare idonea a ledere l’integrità morale delle persone offese. Le medesime argomentazioni sono state reiterate con la memoria conclusiva, in cui sono stati riportati alcuni passaggi della sentenza di questa Sezione del 23 gennaio 2013 numero 3339. E tuttavia proprio la lettura della sentenza riportata dalla difesa evidenzia come nella specifica ipotesi di un furto in danno di un parroco, il ricorso della difesa diretto ad escludere la sussistenza dell’aggravante in parola è stato respinto rilevando che la ratio della specifica aggravante consiste nell’esigenza di garantire una tutela rafforzata in favore di alcuni soggetti in ragione del peculiare ruolo svolto dagli stessi e che proprio le opere di carità rappresentano un servizio tipico del ministero cattolico, sicché modeste elargizione a persone bisognose o indigenti costituiscono una costante dell’attività dei parroci. Deve pertanto ritenersi che la corte abbia motivato in modo congruo e corretto il rigetto della censura in forza della maggiore vulnerabilità delle vittime della truffa consumata dall’imputato, derivante dalla loro peculiare funzione di ministri del culto. Inoltre, come correttamente sottolineato dal Procuratore Generale, la citata aggravante appare integrata tutte le volte in cui sia possibile stabilire un collegamento di tipo funzionale tra il reato e il ruolo del soggetto passivo e non vi è dubbio che la qualità di ministro di culto abbia indirizzato la scelta delle vittime, in quanto soggetti più sensibili ad accogliere le finte istanze di aiuto dell’imputato. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.